Le criptovalute non sono una bolla transitoria né, tantomeno, un fenomeno meramente finanziario. Le criptovalute sono il futuro degli interscambi e la loro importanza nell’arena internazionale è destinata ad aumentare col tempo.
A cura di Elham Makdoum
Per capire le origini delle criptovalute e della tecnologia blockchain occorre fare un salto indietro nel tempo e parlare del Movimento cypherpunk. I cypherpunks sognavano di fare la rivoluzione attraverso la crittografia, da loro vista come un mezzo per un fine: aggirare le minacce alla libertà e alla privacy poste dalla computerizzazione della società.
I cypherpunk iniziarono a organizzare dei raduni, che videro la partecipazione di un giovane Julian Assange e probabilmente di Satoshi Nakamoto, ed è in questo contesto che furono gettate le basi delle criptovalute.
Più di trent’anni dopo, le criptovalute hanno fatto irruzione nell’arena della politica internazionale. Il loro ruolo è centrale, la loro presenza è onnipervasiva, il loro rapporto con la politica ha la forma di una convergenza parallela – strade che non si incrociano, ma che si influenzano vicendevolmente – e il loro potenziale è eccezionale – stanno rovesciando le carte sul tavolo, come dimostrano i casi studio della guerra in Ucraina, dell’Internazionale jihadista e della Palestina.
Leggi anche:
La cripto-guerra in Ucraina
Nel corso dei primi trenta giorni della guerra in Ucraina, quando gli aiuti dall’Occidente tardavano ad arrivare, gli ucraini furono salvati dalle campagne di raccolta fondi effettuate nel web3, con Binance in prima linea, che gli permisero di magnetizzare 63 milioni di dollari in un mese. Denaro impiegato principalmente per acquistare armi [1].
Col tempo è venuto meno il bisogno di recuperare fondi nel criptoverso, ma la tendenza è stata creata: i venditori di armi, che prima dell’Ucraina non accettavano pagamenti in criptovalute, dal 24 febbraio 2022 hanno criptomonete nel loro portafogli.
La Russia è stata spesso descritta come una potenza di serie d in materia di criptovalute. Le campagne di raccolta fondi effettuate nel web3, in effetti, non hanno racimolato molto: Mosca ha ricevuto poche donazioni perché ha risentito della narrazione occidentale e le piattaforme globali si sono schierate con Kiev. La verità, però, è che la Russia ha raccolto criptovalute in altra maniera, ricorrendo a scammate, attacchi ransomware e hackeraggi, chiudendo il primo anno di guerra con un bottino difficile da quantificare – ma ben superiore a quello ucraino – che ha contribuito a rendere il 2022, secondo Chainalysis, “l’anno dei cybercrimini” [2].
Jihad nel criptoverso
Le criptovalute sono riuscite a sedersi anche al tavolo dell’Internazionale jihadista. Il loro slogan è stato: “finanzia la lotta islamica senza lasciar traccia”.
Le prime raccolte fondi promosse nel criptoverso da attori dell’Internazionale jihadista risalgono al 2012, coinvolgono Al Qaeda, Hamas e Stato Islamico, assumono una valenza propagandistica – le cripto come un mezzo per combattere le banche occidentali, accusate di derubare i fedeli islamici e di lavorare con metodi haram (come la speculazione e il tasso d’interesse). Esiste persino un documento manifesto che condensa i perché della corsa islamica alle criptovalute: Bitcoin wa sadaqat al jihad.
Scrivere di Jihad nel criptoverso equivale a raccontare storie sconosciute ai più. Storie come quella di Albanian hacker, un ignoto che chiedeva bitcoin alle vittime dei suoi attacchi con ramsomware e nel frattempo elaborava delle kill list. O come quella di Zoobia Shahnaz, una tecnica di laboratorio di Long Island che è riuscita a raccogliere fraudolentemente 62.000 dollari in bitcoin per conto del Daesh, lavandoli tra Cina, Pakistan e Turchia [3].
L’Intifada corre nel criptoverso
Non è soltanto nelle Terre palestinesi che il Mossad tenta di contenere il principale movimento di resistenza a Israele, Hamas, perché uno dei teatri di scontro tra israeliani e palestinesi è, da anni, un luogo invisibile agli occhi: il criptoverso [4].
La prima campagna di raccolta fondi nei criptomercati di Hamas è durata quattro anni: dal 2019 al 2023. Quantificarne i risultati non è semplice, anche se soltanto nel 2021 sembra che l’organizzazione sia riuscita ad attrarre circa otto milioni di dollari in criptovalute.
Il Mossad aveva reso la vita impossibile ad Hamas, procedendo a sequestrare wallet su wallet. Ma in quello che aveva assunto la forma di un effetto matrioska, per ogni wallet chiuso, ne comparivano una ventina. L’istinto di sopravvivenza aveva aguzzato l’ingegno di Hamas, che nei quattro anni di immersione nel criptoverso aveva forgiato una strategia archeofuturistica basata sull’utilizzo del sistema hawala, col risultato di evitare ai fedeli di mandare criptovalute nelle casse dell’organizzazione coi loro wallet privati.
Hamas ha infine optato per una ritirata temporanea dal criptoverso, chiudendo ogni campagna nel maggio 2023, ma non perché vinto: per tutelare i finanziatori da eventuali rappresaglie israeliane. E nell’attesa di capire quali mosse compiere ha iniziato a riprendere il fiato per il secondo round, mettendo in piedi una geheimen schule, una scuola segreta, per introdurre i palestinesi all’educazione finanziaria e, chissà, per trasformarne le case in centri operativi e mining farm.
Note
[1] Elham Makdoum, Criptovalute alla guerra, Dissipatio, 7 maggio 2023.
[2] Ibidem.
[3] Elham Makdoum, CriptoJihad, Dissipatio, 20 maggio 2023.
[4] Elham Makdoum, I Bitcoin di Hamas, 12 giugno 2023.
Foto copertina: la geopolitica delle criptovalute