A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, le ripercussioni sono state puntuali e risolute in ogni ambito, persino quello sportivo.


Nelle prime ore dopo l’attacco del 24 febbraio, arrivano i primi messaggi di solidarietà da tutto il globo contro il conflitto; a Donetsk, nel club calcistico dello Shakhtar Donetsk, i giocatori e l’allenatore si trasferiscono repentini in un albergo nella speranza di trovare aiuto dalle ambasciate e dal governo ucraino, lasciando le proprie case e i propri averi.
Ruslan Malinovs’kyj, il centrocampista dell’Atalanta, posta su instagram un messaggio di sgomento: “Questo è un crimine contro tutta l’umanità!”, dice. 
Dal calcio alla Formula 1, Vettel è determinato e manifesta il suo dissenso per la gara a Sochi, in Russia, del 25 settembre; la Formula 1 risponde duramente al conflitto: conferma che il gran premio in Russia non si giocherà ed espelle i team russi e bielorussi, con l’eccezione per i piloti disposti a gareggiare con una bandiera neutrale. A questo si aggiungono le distanze che Haas prende, prima dallo sponsor russo Uralkali rimosso dal veicolo, poi dal pilota russo Nichita Mazepin, con il quale rescinde il contratto.
Iniziano a girare le prime voci su un possibile provvedimento riguardo la finale di Champions a San Pietroburgo; Aleksander Ceferin, presidente della UEFA, convoca un esecutivo straordinario per la mattina seguente: la finale si giocherà a Parigi, allo Stade de France. Durante la riunione viene anche deliberato che club e nazionali russe e ucraine, nelle competizioni UEFA[1], dovranno giocare le partite casalinghe in campi neutrali. La Formula 1 fa da eco e nella stessa mattinata cancella la gara a Sochi: questa avrebbe dovuto essere l’ultima gara prima del trasferimento di tappa a San Pietroburgo.


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Il 27 febbraio arriva la decisione da parte dell’organo calcistico più autorevole, la FIFA[2]: nessuna competizione internazionale potrà essere giocata in Russia e, laddove le partite casalinghe si giocheranno in sedi neutrali e senza pubblico, la nazionale russa dovrà assumere il nome di “Unione calcistica russa” (RFU), dovendo fare a meno della rappresentanza di inno e bandiera. Ad alimentare una posizione di contrasto le nazionali di Polonia, Svezia e Repubblica Ceca che si rifiutano di giocare le partite di playoff con la Russia nelle qualificazioni ai Mondiali in Qatar.
Al Cairo, negli ottavi di finale della coppa del mondo di fioretto la squadra ucraina si rifiuta di affrontare quella russa, con annesso cartello di protesta con scritto: “Stop Russia! Stop the war! Save Ukraine! Save Europe!”[3].
Il giorno seguente, 28 febbraio, si muovono anche Eurolega ed Eurocup: sospese le squadre russe Cska Mosca, Zenit San Pietroburgo e Unics Kazan. FIFA e UEFA si allineano al modus operandi del CIO[4], che raccomanda alle federazioni mondali di escludere le squadre russe e bielorusse da ogni competizione, sospendendole con effetto immediato. Ma non è tutto: la Lega Europea di Nuoto squalifica dal torneo inizialmente solo l’Uralochka Zlatoust, poi tutte le squadre russe e bielorusse per quanto riguarda la pallanuoto; l’IPC[5], invece, rifiuta le iscrizioni agli atleti russi e bielorussi il giorno prima dell’inizio dei giochi.

Differente la situazione per la Coppa Davis, l’ITF ha optato per una modalità più meritocratica: a sostituire le squadre russe e bielorusse, sospese dal torneo, viene ripescata una squadra sconfitta durante i preliminari.
Campo sportivo e campo di guerra si mescolano in un fulmineo singolare obiettivo: contrastare con ogni mezzo possibile le intenzioni vacue di Putin. Scendono in prima linea diverse figure sportive: ad aprire le danze è l’ormai ex tennista ucraino Sergiy Stakhovsky, iscrittosi nelle liste dei riservisti dell’esercito ucraino. A seguire: Jurij Vernydub, l’allenatore dello Sheriff Tiraspol conosciuto per la sua storica vittoria contro il Real Madrid al Bernabeu, fa una scelta drastica e si arruola nell’esercito ucraino, ma non è il solo: anche i biathleti Yuliia Dzhima e Dmytro Pidruchnyi, i fratelli pugili Wladimir e Vitalij Klitschko e gli ex pugili Oleksandr Usyk e Vasiliy Lomachenko; uno shock profondo arriva dalla morte di Yevhen Malyshev, biathleta ucraino di 20 anni; Dmytro Martynenko e Vitalii Sapylo, calciatori di Hostomel e Karpaty; i dilettanti del Fc Catanzaro Oleksandr Aliyev e Andriy Bohdanov; e Alexander Kulyk, tecnico della nazionale di ciclismo.

Il mondo si tinge di giallo e blu: tanti stadi contribuiscono e si uniscono a monumenti storici come la Tour Eiffel e il Colosseo; scaldano gli abbracci tra sportivi di ogni genere con le bandiere sulle spalle e i messaggi sui social e quelli di persona.
Intanto, sul fronte politico subentra Roman Abramovich, oligarca russo e patron del Chelsea, chiamato dall’Ucraina al fine di favorire i negoziati di pace tra Ucraina e Russia. Il 2 marzo irrompe con una dichiarazione inaspettata, affermando: “vendo il Chelsea”; la notizia viene ufficializzata la stessa sera e iniziano a circolare voci su presunti offerenti, uno su tutti il gruppo svizzero-americano di Hansjorg Wyss e Todd Boehly.

Il governo inglese non si fa attendere e congela i beni degli oligarchi russi, nessuno escluso: anche Abramovich entra nel vortice di tensione del conflitto: le conseguenti sanzioni riguardano anche il Chelsea: sospesi vendita del club, mercato e attività di merchandising, compresa la vendita dei biglietti – con l’eccezione degli abbonati; alcuni giorni dopo Abramovich viene squalificato dal ruolo di presidente: nessun provvedimento per il club che può portare a termine la stagione calcistica.

Nel mondo del calcio risuonano forti le parole della FIFA che ha concesso a giocatori e allenatori militanti in Ucraina e in Russia un trasferimento prima in prestito, poi definitivo in una finestra di mercato esclusiva, valida fino al 7 aprile. Il primo a svincolarsi, anticipando le disposizioni FIFA, è stato Yaroslav Rakitskiy che il 2 marzo rescinde il suo contratto con lo Zenit San Pietroburgo, con il quale giocava dal 2019; Sead Haksabanovic e Anders Dreyer], entrambi giocatori del Rubin Kazan usufruiscono dell’opportunità data dalla FIFA e applicano una risoluzione consensuale del contratto.

Una situazione peculiare ha interessato due sportivi, apparentemente diversi: Ivan Kuliak e Anatoliy Tymoshchuk; il primo che sorprende il mondo con un gesto discutibile, portando sul petto una ‘Z’, lettera simbolo vista sui mezzi militari russi presenti nell’invasione ucraina, nella premiazione della Coppa del Mondo di ginnastica artistica a Doha, peraltro al fianco di un coetaneo ucraino; il secondo, tra i più rappresentativi nella storia del calcio ucraino e parte dello staff dello Zenit San Pietroburgo, per essere rimasto in silenzio e non aver preso le distanze dagli ultimi eventi accaduti in Ucraina. Viene da chiedersi se queste posizioni possano essere state imposte, consigliate da terzi o possano essere scelte personali. Il conflitto, è chiaro, influenzerà ancora per molto le dinamiche sportive; quello che non è prevedibile sapere è quanto condizionerà il mondo.


Note

[1] Union of European Football Associations, and the governing body of football in Europe (Unione Europea delle Federazioni Calcistiche Europee e organo del calcio in Europa).
[2] Fédération Internationale de Football Association (Federazione internazionale di calcio).
[3] Fermate la Russia! Fermate la guerra! Salvate l’Ucraina! Salvate l’Europa!
[4] Comité International Olympique (Comitato Olimpico Internazionale).
[5] International Paralympic Committee (Comitato Paralimpico Internazionale).


Foto copertina: La russa Mariya Savinova reagisce vincendo l’oro nella finale degli 800 metri femminili ai Giochi Olimpici di Londra 2012 allo Stadio Olimpico l’11 agosto 2012.Phil Noble / Reuters