Nella serata del 7 marzo, migliaia di cittadini georgiani si sono riuniti davanti al Parlamento di Tbilisi per opporsi all’approvazione in prima lettura di un progetto di legge che – sul modello della normativa vigente in Russia e in altri Stati dello spazio post-sovietico – disciplina le Organizzazioni Non Governative e i media indipendenti, richiedendo a coloro che ricevono più del 20% dei propri finanziamenti dall’estero di dichiararsi “agenti stranieri”. Ne abbiamo discusso con Cesare Figari Barberis, ricercatore presso il Graduate Institute di Ginevra, che ha documentato in tempo reale da Tbilisi gli sviluppi delle manifestazioni.
É particolarmente violento il bilancio di due giorni di proteste in Georgia nel cuore della capitale Tbilisi, dove migliaia di cittadini sono scesi in piazza per manifestare contro le disposizioni della legge sugli agenti stranieri approvata il giorno stesso dal Parlamento georgiano e proposta dal partito in carica “Sogno Georgiano”, guidato dal Presidente Irakli Kobakhidze. Ad infiammare i manifestanti la disciplina dei media e delle ONG, che con ogni probabilità avrebbe compromesso il percorso di adesione della Georgia all’Unione Europea, sopprimendo così quelle forti spinte europeiste che da anni alimentano le speranze di avvicinamento a Bruxelles di buona parte dei cittadini. Erano infatti europee le bandiere che hanno sventolato per le strade di Tbilisi e di fronte al Parlamento al grido di “Fuck Russia, we are Europeans!”, e nondimeno sono mancati espliciti riferimenti alla guerra in Ucraina, con il timore che la Georgia possa prendere la stessa deriva del Paese dilaniato dalla guerra. Nella mattina del 9 marzo, tuttavia, secondo alcune dichiarazioni ufficiali il partito al potere e i suoi alleati avrebbero dichiarato di voler ritirare la proposta di legge a causa delle divisioni che essa ha provocato nella società. Ciononostante, sono annunciate nuove manifestazioni per la giornata odierna, con il presagio che possa riesplodere la violenza degli scorsi giorni con una repressione ancora maggiore da parte delle forze di polizia. Per un quadro completo sulle proteste e sui possibili scenari che coinvolgeranno il Paese nel breve e medio periodo, abbiamo discusso con Cesare Figari Barberis, ricercatore presso il Graduate Institute di Ginevra, che ha documentato in tempo reale da Tbilisi gli sviluppi delle manifestazioni.
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Quali sono le motivazioni alla base delle proteste? Che cosa ha spinto la popolazione georgiana a scendere in piazza?
«Le proteste sono state scatenate martedì 7 marzo dall’inaspettato primo dibattito parlamentare dell’iter per approvare la proposta di legge sugli “agenti stranieri”. Il partito di governo Sogno Georgiano aveva già fatto intendere che avrebbe voluto far approvare questa proposta di legge, che richiede 3 dibattiti parlamentari, ma questo primo dibattito parlamentare è arrivato inaspettatamente. La Presidente Salome Zourabishvili, ultimamente spesso in contrasto con il governo, ha annunciato che non avrebbe firmato l’approvazione della legge, ma Sogno Georgiano ha sufficienti parlamentari per conseguentemente ribaltare la decisione della Presidente. La protesta di martedì quindi è stata molto spontanea e più piccola, mentre quella di mercoledì 8 (giorno di vacanza nazionale in Georgia) è stata meglio organizzata e immensa. Nella sostanza, le persone protestano in toto contro questa legge sugli agenti stranieri, non la vogliono approvata in alcun modo. Retoricamente, il confronto è diventato anche “ideazionale”, con il governo accusato di essere filo-russo e di allontanare così le aspirazioni europee della Georgia. Infatti, uno slogan spesso cantato era “Rusebo!” (“რუსებო!”), che vuol dire “Oh Russi!” ed era indirizzato contro i parlamentari di Sogno Georgiano, accusati appunto di essere russi. Dall’altra parte, le persone che protestavano hanno portato con sé molte bandiere dell’Unione Europea e dell’Ucraina, e si sono narrati come europeisti in lotta contro la Russia e il governo filo-russo georgiano. Non è quindi una semplice protesta contro la proposta di legge, ma anche una battaglia ideazionale. Ma non è nemmeno una rivoluzione anti-governativa, in quanto non c’è al momento né il desiderio né l’obiettivo esplicito di rovesciare il governo.»
Cosa prevede la legge sugli agenti stranieri e da quale partito è stata proposta e quali sono le disposizioni principali della legge che contrastano i manifestanti?
«La proposta di legge discussa nella prima seduta parlamentare (c’erano due versioni) prevede che le NGOs che ricevono più del 20% del loro finanziamento dall’estero debbano registrarsi come “agenti stranieri” (უცხოელი აგენტები), e questo implica maggiori doveri e lavori burocratici oltre ad un poco definito monitoraggio da parte del Ministro della Giustizia. Vi è anche il problema dello stigma associato alla parola “agenti”, che in georgiano ha una connotazione negativa. Le NGOs che rifiutano di registrarsi andrebbero incontro a multe molto salate. La proposta di legge viene anche chiamata “Legge Russa”, e da qui lo slogan “No alla legge Russa!” (“არა რუსულ კანონს!”), poiché parzialmente assomiglia ad una legge approvata in Russia nel 2012, che portò a reprimere molte NGOs nel paese. La proposta di legge di per sé può sembrare non così terribile ed autoritaria come sostengono le persone che protestano, ma in un Paese di democrazia ibrida come la Georgia c’è sempre il problema dell’abuso delle leggi. Il governo, progressivamente meno democratico, potrebbe infatti utilizzare la legge in modo inappropriato per mettere pressione sulle NGOs ed evitare che critichino il governo. Vorrei giusto aggiungere un ultimo punto. La Russia non è l’unico paese al mondo ad avere questo genere di regolamentazioni sulle NGOs, quindi lo slogan “No alla legge Russa!” è più il risultato di già esistenti discorsi ideazionali anti-Russia e pro-UE piuttosto che un corretto paragone legislativo.»
Nelle immagini delle proteste si vede una chiara contestazione alla presenza russa nella regione, contrastata da una volontà forte di avvicinamento all’Unione Europea. Quanto è radicato l’europeismo all’interno della società e che ruolo può aver avuto nello scoppio delle proteste?
«L’Europeismo è fortemente radicato in Georgia, specialmente nella capitale Tbilisi. In giro per la città si vedono bandiere dell’Unione Europea e infatti i georgiani aspirano a diventare un paese membro dell’UE. Per esempio, un sondaggio condotto dallo Center for Insights in Survey Research (CISR) tra settembre-ottobre 2022 mostra come l’85% dei Georgiani o “supporta completamente” o “supporta parzialmente” l’ingresso del paese nell’Unione Europea. I Georgiani si sentono europei. E dunque come evidenziato precedentemente riguardo il confronto ideazionale, l’europeismo ha giocato un ruolo fondamentale nello scatenare le proteste.»
Durante le manifestazioni sono state sventolate anche numerose bandiere ucraine. Considerando le vicende interne alla Georgia negli ultimi anni, vi è il rischio che la situazione nel Paese prenda una deriva simile a ciò che è avvenuto in Ucraina?
«I georgiani supportano molto la causa Ucraina, ed infatti pieno di graffiti “Slava Ukraini” o graffiti della bandiera ucraina in giro per Tbilisi. E ovviamente nelle proteste di questi giorni si sono viste sventolare anche bandiere ucraine. Le cause di questo sostegno sono da trovarsi nel parallelismo che i Georgiani traggono tra la guerra Russo-Georgiana del 2008, che portò i territori separatisti di Ossezia del Sud e Abkhazia più vicini a Mosca (l’Ossezia del Sud in particolare), e l’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Questa estate erano anche stati fatti parallelismi tra il massacro a Bucha in Ucraina e vari momenti sanguinari/tragedie della guerra Abkhazo-Georgiana dei primi anni novanta, quando Mosca diede supporto ai separatisti Abkhazi. Non vanno però assolutamente paragonate le attuali proteste in Georgia alle proteste in Ucraina nel 2013-2014, che portarono a rovesciare il governo. In Ucraina il governo decise di sospendere le trattative per la conclusione di un accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea, allontanando quindi in modo radicale le prospettive europee del paese. In Georgia, invece, il governo continua a ribadire le sue aspirazioni europeiste, non ha chiuso la porta in faccia all’UE. E non è nemmeno propriamente corretto accusare il governo di essere filo-russo, come dicono le persone che protestano e vari analisti o giornalisti europei. Al limite è “non anti-russo”, avendo cercato di mantenere un atteggiamento non-confrontazionale con la Russia durante la sua invasione dell’Ucraina, per esempio non adottando sanzioni contro Mosca. Piuttosto che filo-russo, il governo sta da tempo rendendo il paese meno-democratico, e questa proposta di legge sugli agenti stranieri avrebbe solo peggiorato la situazione, e quindi certamente indebolito de facto le aspirazioni europeiste della Georgia. Vanno quindi tenute in mente le differenze tra l’Ucraina nel 2013-2014 e la Georgia oggi.»
Al contrario, quanto è probabile che a seguito delle proteste venga avviata una politica europea di integrazione del Paese più preponderante rispetto alla mera inclusione nella politica di vicinato?
«L’approvazione di questa proposta di legge avrebbe probabilmente messo fine al cammino verso l’UE della Georgia, poiché avrebbe reso gli standard legislativi ed istituzionali del paese sempre più lontani da quelli richiesti dall’Unione Europea. E ricordiamo che i paesi europei erano già insoddisfatti del peggioramento della qualità della democrazia Georgiana, che a giugno 2022 si è infatti vista negare lo status di candidato all’UE, mentre fu concesso a Ucraina e Moldavia. Il governo quindi retoricamente continua a ribadire di avere aspirazioni europeiste, ma nei fatti fa poco per realizzare davvero questa aspirazione. In ogni caso, rimane anche la questione se la Georgia abbia a priori delle possibilità di diventare un Paese membro dell’Unione Europea. Non è solo volontà dei georgiani e del governo georgiano, ma anche dei paesi europei e delle istituzioni europee. La Georgia, infatti, non avrebbe contiguità territoriali con gli altri paesi membri dell’UE, è relativamente povera, e con problemi di sicurezza legati ai territori separatisti di Abkhazia e Ossezia del Sud supportati dalla Russia. Con o senza il partito Sogno Georgiano al governo, dunque, rimane secondo me molto discutibile la reale possibilità dell’accesso di Tbilisi in UE.»
A seguito di due giorni di violente manifestazioni sembra che il partito al potere Sogno Georgiano abbia dichiarato di voler ritirare la legge sugli agenti stranieri. Si può dunque affermare che le proteste abbiano ottenuto i primi risultati o si tratta invece di un tentativo di placare momentaneamente il movimento di opposizione per poi mantenere la legge in vigore?
«Dopo due giorni di proteste molto intense e a tratti anche violente, il partito di governo Sogno Georgiano ha annunciato che la proposta di legge verrà sospesa. Apparentemente quindi è una grande vittoria per chi ha protestato e per il popolo georgiano più in generale. Una vittoria parzialmente inaspettata. Rimangono ora però da sbrigare dei cavilli burocratici. Avendo già avuto il primo dibattito parlamentare, infatti, il governo non può semplicemente ritirare la proposta di legge. Andrà fatto un secondo dibattito parlamentare, e in quel contesto bisognerà votare contro la proposta di legge. La partita è quindi ancora teoricamente aperta, e stasera 9 marzo si terrà una nuova manifestazione per chiedere che venga fatto subito questo secondo dibattito parlamentare e che vengano rilasciate le persone arrestate in questi due giorni di proteste (almeno un centinaio). Vittoria parziale quindi, e ora non possiamo che attendere le mosse del governo e del popolo.»
Foto copertina: proteste in Georgia @Cesare Figari Barberis