Alcune considerazioni sull’ostensione del crocifisso, la libertà religiosa ed il principio di laicità alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il caso Lautsi c. Italia.

 

Abstract

Obiettivo di questo lavoro è analizzare il ragionamento seguito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel celebre caso Lautsi c. Italia, così da poter fornire alcune considerazioni sull’ostensione del crocifisso, libertà religiosa e principio di laicità. Per fare ciò, si seguirà tale percorso: da un lato, si ripercorreranno le differenti tappe che hanno portato la signora Lautsi a ricorrere dinanzi la Corte EDU; dall’altro, occorrerà fare necessariamente riferimento, in primis, al ragionamento della Seconda Sezione, e poi a quello – totalmente discordante – adottato dalla Grande Chambre. Infine, dopo esserci soffermati sui concetti di “margine di apprezzamento”, “neutralità, laicità e divieto di indottrinamento” e sulla valenza simbolica del crocifisso in bilico tra “segno esteriore forte” e “symbole essentiellement passif”, si proporranno delle considerazioni sulla peculiarità del principio di laicità in uno Stato moderno di democrazia pluralista, sempre tenendo ben presente l’importanza ed il peso specifico che le radici tradizionali e storiche hanno avuto ed ancora oggi hanno nella carta costituzionale dei diversi Stati europei.

The purpose of this paper is to analyse the legal reasoning of the European Court of Human Rights behind its decision in Lautsi v. Italy, tackling the issues of freedom of religion, show of the crucifix, and principle of secularity. In doing so, the path will be to recall the steps that led Mrs. Lautsi before the ECHR and to compare the different judgements from the Section II and  the Grand Chamber of the Court. Also, the principles of “margin of appreciation”, “neutrality, secularism and indoctrination ban” are taken into account, together with the different considerations of the crucifix as a “strong exterior symbol” or as a “symbole essentiellement passif”. The paper will lastly consider the peculiarity of the principle of secularism in a modern, pluralist and democratic State, bearing in mind the importance and the weight of the traditional and historical roots still present nowadays in many European constitutions.

SOMMARIO: Introduzione. – 1. Il presunto fatto lesivo alla base del ricorso. – 2. Il ragionamento della Seconda Sezione della Corte EDU (Lautsi I). – 3. Il ragionamento della Grande Chambre della Corte EDU (Lautsi II). – 3.1. Margine di apprezzamento nazionale e principio di sussidiarietà. – 3.2. Neutralità, laicità e divieto di indottrinamento. – 3.3. Crocifisso come “symbole essentiellement passif”. – 4. Conclusioni, riflessioni e prospettive future. – 5. Bibliografia.

Introduzione

E’ ormai trascorso più di un lustro dalla sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha statuito definitivamente sul caso Lautsi c. Italia[1], caso in cui si affrontava la delicata questione alla relativa alla compatibilità tra l’obbligo di ostensione del crocifisso nelle aule scolastiche della Repubblica italiana ed alcune norme della CEDU, vale a dire l’art. 9 della Convenzione[2] – in materia di libertà di pensiero, coscienza e religione – e l’art. 2 del Protocollo addizionale n. 1 – relativo al diritto all’istruzione[3].

Il supremo organo giudiziario, decidendo a larga maggioranza  (15 contro 2), ha così determinato che la presenza del crocifisso non integra una violazione di queste norme e ribaltato quanto era stato precedentemente affermato in proposito dalla Sezione Seconda della stessa Corte[4]. Sembra opportuno, pertanto, rivedere ed analizzare il ragionamento seguito dalla Corte di Strasburgo, anche per valutarne l’impatto negli anni successivi alla pronuncia.

I. Il presunto fatto lesivo alla base del ricorso.

La controversia ha origine nell’aprile del 2002, quando la signora Lautsi – di origini finlandesi e cittadina italiana per matrimonio – sollevò, durante una riunione con alcuni dirigenti dell’istituto scolastico frequentato dai due suoi figli, la questione della presenza di simboli religiosi nelle classi, in particolare dei crocifissi, chiedendone la rimozione[5]. Il consiglio d’istituto, tenendo fede alla normativa italiana vigente[6], negò la rimozione, e contro tale decisione la signora Lautsi ricorse al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, lamentando una violazione del principio di laicità[7] in relazione all’art. 3 (principio di uguaglianza), all’art. 19 (libertà religiosa), all’art. 97 (imparzialità della pubblica amministrazione) della Costituzione italiana, e all’art. 9 della CEDU (libertà di pensiero, coscienza e religione).

Il TAR – dopo aver sollevato finanche questione di legittimità costituzionale poi rivelatasi inammissibile[8] – respinse il ricorso, ritenendo compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato l’obbligo di esposizione del crocifisso, che – in quella sede – non aveva valenza esclusivamente religiosa, bensì “rappresentava allo stesso tempo lo sviluppo storico e culturale caratteristico dell’Italia ed in generale dell’intera Europa”[9].

Contro tale decisione, la signora Lautsi presentò ricorso davanti al Consiglio di Stato, non ottenendo comunque soddisfazione. Il Consiglio di Stato, infatti, confermò  l’orientamento del TAR: il crocifisso nelle aule scolastiche – secondo la suprema corte amministrativa – costituisce un “simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”[10].

Così, dopo aver denunciato senza successo dinanzi alle giurisdizioni nazionali ciò che considerava una violazione del principio di laicità, la signora Lautsi si è appellata alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), lamentando una presunta violazione del  diritto d’istruzione dei propri figli – garantito dall’art. 2 del Protocollo addizionale n.1 – e del loro diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione – sancito dall’art. 9 della Convenzione.

II. Il ragionamento della Seconda Sezione della Corte EDU (Lautsi I).

In prima istanza, la Seconda Sezione ritenne all’unanimità che l’ostensione del crocifisso (e di altri simboli ad esso equiparabili) presupponesse una violazione del “diritto dei genitori ad educare i propri figli secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche” in riferimento alla “libertà religiosa” di quest’ultimi. In particolare, la Sezione affermò che l’art. 2 del Protocollo addizionale n. 1 doveva essere letto in combinato disposto con l’art. 9 della Convenzione, poiché “è sul diritto fondamentale all’istruzione che si innesta il diritto dei genitori al rispetto delle loro convinzioni religiose e filosofiche”, e ciò affinché sia salvaguardata “la possibilità di un pluralismo educativo, essenziale alla conservazione della società democratica come la concepisce la Convenzione”.

Lo Stato, quindi, sarebbe tenuto alla “neutralità confessionale nel quadro dell’educazione pubblica”[11], per cui “il rispetto per le convinzioni religiose dei genitori e delle credenze dei bambini implica il diritto di credere in una religione o di non credere in nessuna religione (cd. libertà negativa)”[12].

Questa “libertà negativa” evocata dalla Corte “si estende alle pratiche ed ai simboli che esprimono in particolare o in generale, una credenza, una religione, o l’ateismo. Questo diritto negativo merita una tutela particolare se è lo Stato che esprime una credenza e se la persona è messa in una situazione in cui non può liberarsi o può farlo soltanto con sforzi e con sacrifici sproporzionati”[13].

Ed ancora – secondo la Corte – il crocifisso reca con sé una pluralità di significati, ma è indubbio che tra i tanti “la signfication religieuse est prédominante”, per cui esso è “segno esteriore forte”[14], così come lo sono altri simboli ad esso equiparati[15], e la cui presenza (obbligatoria) non può passare inosservata, avendo un evidente impatto nello sviluppo degli alunni, tenendo anche in debito conto l’età di questi ultimi[16].

Inoltre, l’ostensione del crocifisso “non può essere giustificata né dalla richiesta di altri genitori che desiderano un’istruzione religiosa conforme alle loro convinzioni, né […] dalla necessità di un compromesso necessario con le componenti di ispirazione cristiana”[17].

Con queste argomentazioni, la Seconda Sezione si è pronunciata quindi per la violazione dei diritti della ricorrente.

III. Il ragionamento della Grande Chambre della Corte EDU (Lautsi II).

La sentenza della Seconda Sezione della Corte EDU ha suscitato critiche da quasi tutte le forze politiche italiane ed ovviamente anche dal Vaticano, il quale ha definito “miope la decisione della Corte di Strasburgo”[18]. Pertanto, il governo italiano ha chiesto che il caso fosse assegnato alla Grande Camera per la revisione della sentenza[19], supportando la richiesta con diverse argomentazioni, tra cui:

  1. innanzitutto, la mancata considerazione della giurisprudenza precedente della Corte che riconosce l’esistenza del margine di apprezzamento nazionale, quale applicazione pratica del principio di sussidiarietà;
  2. inoltre, ritenendo che la decisione fosse basata su di un misunderstanding tra il concetto di “neutralità” e quello di “laicità”;
  3. ancora, ritenendo che “per quanto possa essere evocativo il potere di un’immagine”, nell’ottica del governo, si trattava di un “simbolo passivo”;
  4. ed infine che, “nel configurarlo come rischio potenziale al disturbo emotivo ravvisandovi una violazione del diritto all’istruzione ed alla libertà di pensiero, coscienza e religione, la Seconda Sezione aveva notevolmente ampliato la portata applicativa di quelle previsioni”[20].

Vi è da dire che il clamore della pronuncia ha presto valicato i confini nazionali, tanto è vero che la Corte EDU – nel corso del giudizio dinanzi alla Grande Chambre – si è trovata ad autorizzare (per la prima volta nella sua storia) l’intervento (come amicus curiae) di rappresentanti di diversi Stati membri, trentatre parlamentari europei in azione collettiva ed alcune ONG [21].

La Grande Chambre, come noto, si è pronunciata ribaltando la precedente decisione, assolvendo l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’ostensione del crocifisso nelle aule scolastiche. In sostanza, la Corte ha ritenuto essere il crocifisso un “simbolo religioso essenzialmente passivo”[22] – sconfessando l’orientamento della Seconda Sezione secondo cui esso costituiva un “potente simbolo esteriore”[23] –, incapace quindi di costituire “une forme d’endoctrinement” e di rappresentare offesa alla libertà negativa di religione degli alunni e della loro madre, così come garantita dalla Convenzione ed interpretata dalla Corte”[24].

Vediamo adesso, brevemente, quali sono i punti salienti su cui si basato il giudizio della Corte.

III.I. Margine di apprezzamento nazionale e principio di sussidiarietà.

Ciò che giustifica l’inversione di tendenza della sentenza della Grande Camera rispetto a quella della Seconda Sezione è la diversa interpretazione del “margine di apprezzamento” riconosciuto alle autorità nazionali, in relazione ai metodi attraverso i quali garantire la protezione di specifici diritti.

Come affermato più volte dalla Corte stessa, il margine di apprezzamento “definisce i rapporti tra le autorità interne e la Corte”, nella misura in cui

[…] by reason of their direct and continuous contact with the pressing needs of the moment, the national authorities are in principle better placed than the international judge to decide both on the presence of such an emergency and on the nature and scope of the derogations necessary to avert it. Accordingly, in this matter a wide margin of appreciation should be left to the national authorities.[25]

Questo concetto – basilare applicazione pratica del principio di sussidiarietà[26] – funziona come una sorta di valvola di sicurezza che allevia la pressione dell’intero sistema, permettendo alla Corte di restringere od allentare il controllo sull’agire statale in ogni materia. In particolare, nell’ambito della protezione della libertà religiosa, “gli Stati contraenti godono di un amplio margine di discrezionalità nel determinare le misure da adottare per garantire il rispetto della Convenzione, tenuto conto delle esigenze e delle risorse della comunità e degli individui”.[27]

La discrezionalità accentuata in ambito religioso – se confrontata con altri diritti fondamentali[28] – è dovuta, essenzialmente, dall’assenza di un consenso europeo in materia religiosa: “non c’è consenso tra gli Stati europei che vieta la presenza di simboli religiosi, e pochi Stati lo vietano espressamente. C’è, naturalmente, una crescente tendenza alla prescrizione della possibilità di esporre i crocifissi nelle scuole di Stato ma il numero di Stati che hanno adottato provvedimenti volti a vietare l’esposizione dei crocifissi nei luoghi pubblici e l’estensione dell’attività giudiziaria nazionale non consente alla Corte di presumere che il consenso è stato raggiunto contro la loro esposizione. […] Si deve qui rilevare, che la Corte è un tribunale di diritto, non un organo legislativo. Ogni volta che ci si imbatte nella valutazione dei limiti di protezione della Convenzione, si prende cautamente in considerazione l’esistente grado di protezione a livello di Stati europei; e ci si sforza di sviluppare quella protezione ad un livello superiore rispetto a quello offerto da uno specifico Stato convenuto, sempre che un gran numero di altri Stati europei abbiano già adottato tale grado di protezione, o che vi sia una chiara tendenza verso quel maggior livello. Tale principio non si può positivamente applicare nel caso di specie, sebbene vi sia certamente una tendenza emergente verso il divieto di esposizione di simboli religiosi nelle istituzioni pubbliche”.

III.II.Neutralità, laicità e divieto di indottrinamento.

Subito dopo aver chiarito il proprio ambito di competenza – escludendo quindi qualsiasi pronuncia sulla compatibilità tra ostensione del crocifisso e principio di laicità così come concepito nel diritto italiano – la Corte ha evidenziato espressamente “che i sostenitori della laicità possono rivendicare delle istanze aventi un livello di cogenza, serietà, coesione ed importanza necessario per essere considerate convinzioni ai sensi del combinato disposto degli art. 9 della Convenzione e art. 2 del Protocollo addizionale n. 1”[29].

Laicità quindi non coincide con neutralità, ma, anzi, è essa stessa una visione del mondo, una convinzione filosofica. Essa è certo meritevole di rispetto, ma – in quanto tale – “non ha valore di principio generale nel sistema della Convenzione”[30].

La Grande Chambre, allora, ha dato seguito alle considerazioni svolte da alcuni Stati intervenienti secondo i quali la sentenza della Seconda Sezione si basava sul fraintendimento del principio di neutralità con quello di laicità[31].

Come brillantemente ricorda il giudice Bonello nel suo parere concordante, “la libertà di religione non è laicità. La libertà di religione non è equidistanza religiosa – tutte nozioni seducenti, ma di cui nessuno finora ha chiesto alla Corte di essere custode. In Europa, la laicità è facoltativa, la libertà di religione non lo è”. Appunto per questo, la neutralità richiede un approccio pluralista da parte dello Stato e non un approccio laicista.

Pertanto, compito della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – nel caso di specie – è solamente quello di stabilire se l’ostensione del crocifisso potesse dar seguito ad una qualche forma di indottrinamento degli studenti od a proselitismo, e, in caso di risposta affermativa, censurarlo. “Ciò che la Convenzione proibisce” – continua il giudice Bonello – “è qualsiasi indottrinamento, assurdo o subdolo, […] il proselitismo invadente, la messa in atto da parte del sistema pubblico educativo di qualsiasi ostacolo alla confessione dell’ateismo, agnosticismo o opzioni religiose alternative. La semplice esposizione di una testimonianza senza voce di un simbolo storico, così enfaticamente parte dell’eredità europea, in nessun modo pregiudica il diritto fondamentale dei genitori di determinare quale, se c’è, orientamento religioso i loro figli devono seguire” [32].

III.III. Crocifisso come “symbole essentiellement passif”.

Infine, la Corte ha cambiato orientamento anche per quanto riguarda la valenza simbolica del crocifisso nelle aule scolastiche. Se per la Seconda Sezione, il crocifisso “che era impossibile non notare nelle aule scolastiche, era stato necessariamente percepito come una parte integrante dell’ambiente scolastico” ed era quindi qualificabile come “segno esteriore forte”[33], per la Grande Camera,“le crucifix apposé sur un mur est un symbole essentiellement passif”, in quanto “non gli si potrebbe attribuire un’influenza sugli alunni simile a quella che può avere un discorso didattico o la partecipazione a delle attività religiose”[34].

A partire da ciò, l’argomentazione della Corte giustifica la presenza del crocifisso attraverso l’analisi di altri aspetti caratteristici del sistema educativo italiano, considerati nel suo complesso. A riguardo, la Corte sottolinea la non obbligatorietà dell’insegnamento del cristianesimo e la sostanziale apertura dell’ambiente scolastico italiano verso il pluralismo religioso, che si concretizza “nell’assenza di divieto di indossare il velo islamico o altri simboli o indumenti aventi una connotazione religiosa”, o, ancora, “nella possibilità di celebrare l’inizio e la fine del Ramadan”, e, in via generale, nella effettiva tolleranza delle autorità “verso ogni tipo di religione o convinzione filosofica non religiosa”[35].

Ancora, – secondo il parere concorde del giudice Power – “[…] all’interno di un contesto pluralista e tollerante verso le religioni, un simbolo cristiano su un muro in aula presenta un’altra visione del mondo. La presentazione e l’impegno con diversi punti di vista è una parte intrinseca del processo educativo. Esso agisce come uno stimolo al dialogo. Una formazione veramente pluralista comporta l’esposizione ad una varietà di idee diverse, comprese quelle che sono diverse dalla propria. Il dialogo diventa possibile, e, forse, è più significativo quando c’è una vera differenza di opinione ed un sincero scambio di punti di vista”[36].

IV. Conclusioni, riflessioni e prospettive future.

Il sintetico esame delle pronunce – seppur contrastanti – degli organi di Strasburgo offre, di conseguenza, la possibilità di esprimere alcune considerazioni sulla peculiarità del principio di laicità in uno Stato moderno di democrazia pluralista.

In primis, si è detto che questo concetto non ha una definizione generalmente accettata a livello europeo sul quale la Corte sovranazionale possa basare una decisione, per cui è giusto il richiamo al margin of appreciation affinché la giurisdizione europea non riduca eccessivamente l’autonomia normativa e governativa dei singoli Stati. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è tenuta quindi a riconoscere la competenza statale in materia religiosa e – nel caso di specie – la legittimità dell’ostensione del crocifisso nelle aule scolastiche.

Inoltre, che non essendovi consenso sufficientemente esteso intorno ad una determinata concezione di Stato pluralistico, bisogna stare ben attenti a non confondere il principio di laicità con quello di neutralità.

Si è detto che laicità non è neutralità: è quindi possibile per lo Stato effettuare giudizi di valore in ambito religioso, apparendo le scelte compiute dal legislatore italiano perfettamente compatibili con un insegnamento che sia obiettivo, critico e pluralista, e libero da qualsiasi indottrinamento.

In caso contrario[37], il principio di laicità si ridurrebbe asetticamente – in nome della tutela di “valori democratici superiori” – ad un mero veto formale contro qualsiasi manifestazione o messaggio filosofico e religioso.

Infine, che la tradizione e la storia hanno un peso specifico non indifferente. La Carta costituzionale degli Stati deve essere perciò letta ed interpretata conformemente alle radici tradizionali e storiche che l’hanno prodotta, non potendosi fingere che sia calata ex abrupto dall’alto.

Certamente, negli anni a venire vi saranno nuove occasioni per vedere come si orienterà la giurisprudenza europea. Per il momento, non ci resta che “ringraziare la Signora Lautsi, ad ogni modo, per aver dato l’opportunità di discutere sull’argomento”[38].

Bibliografia

 

Arlettaz F., Las sentencias Lautsi en el contexto de la jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos, in REDUR, Vol. 10, 2012.

Bartole S., De Sena P., Zagrebelsky V., Commentario breve alla CEDU, Padova, 2012.

CEDU, sent. 15 febbraio 2001, Caso Dahlab c. Svizzera, ricorso n. 42393/98.

CEDU, sent. 10 novembre 2005, Caso Leyla Sahin c. Turchia, ricorso n. 44774/98.

CEDU, sent. 19 febbraio 2009, Caso A. e altri c. Regno Unito, ricorso n. 3455/05.

CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I), ricorso n. 30814/06.

CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), ricorso n. 30814/06.

Citrigno A. M., Esposizione del crocifisso e principio di laicità dello Stato: il contributo del caso Lautsi, in Annali della facoltà di Economia, vol. 1, n. 1, 2011.

Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 13 febbraio 2006, n. 556.

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Corte Costituzionale italiana, ord. 15 dicembre 2004, n. 389.

Corte Costituzionale italiana, sent. 18 ottobre 1995, n. 440.

Costituzione della Repubblica italiana, artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20.

Evans M.D., Lautsi v. Italy: An Initial Appraisal, in Religion and Human Rights, Vol. 6, 2011.

Fiorita N., Se il crocifisso afferma e conferma la laicità dello Stato: paradossi, incongruenze e sconfinamenti di una sentenza del Tar del Veneto, in www.olir.it, 2005.

Koltay A., Europe and the sign of the crucifix: on the fundamental questions of the Lautsi and others v. Italy case, in Temperman J. (ed.), The Lautsi Papers: Multidisciplinary Reflections on Relgious Symbols in the Public School Classroom, Brill, 2012.

Liu H., The meaning of religious symbols after the Grand Chamber judgement in Lautsi v. Italy, in Religion & Human Rights, vol. 6, n. 3, 2011.

Ministero degli Esteri della Repubblica italiana, Lautsi c. Italia, 28 gennaio 2010, ricorso n. 30814/06.

Morelli M.R., Sussidiarietà e margine di apprezzamento nella giurisprudenza delle Corti europee e della Corte Costituzionale, in Atti del convegno della Presidenza del Consiglio dei Ministri su Principio di sussidiarietà delle giurisdizioni sovranazionali e margine di apprezzamento degli Stati nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 2013.

Palma A. J., Il caso Lautsi c. Italia: spunti per una riflessione sul principio di laicità, in Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose, n. 75, 2011.

Puppinck G., Il caso Lautsi contro Italia, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, 2012.

Regio Decreto italiano n. 965 del 1924 , art. 118.

Regio Decreto italiano n. 1297 del 1928, art. 119.

Solar Cayón J.I., Lautsi contra Italia: sobre la libertad religiosa y los deberes de neutralidad e imparcialidad del Estado, in Cuadernos electrónicos de filosofía del derecho, n. 23, 2011.

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. III, sent. 22 marzo 2005, n. 1110.

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. I, sent. 14 gennaio 2004, n. 56.

Veronesi P., La Corte costituzionale, il Tar e il crocifisso: il seguito dell’ordinanza n. 389/2004, in Diritto e giustizia online, 2005.

[1] CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), ricorso n. 30814/06.

[2] L’art. 9 della Convenzione statuisce: “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza  e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui”.

[3] L’art. 2 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU recita: “Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”.

[4] CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I).

[5] I dettagli del caso – che per ovvie ragioni non trovano spazio in questa sede – sono puntualmente precisati sia nella prima che nella seconda sentenza del Caso Lautsi, cfr. Caso Lautsi c. Italia (II), § 10-16.

[6] Le norme risalgono agli anni ’20 del secolo scorso, in particolare si fa riferimento all’art. 118 del r.d. 965/1924 il quale stabilisce che “ogni scuola deve avere la bandiera nazionale ed ogni aula deve avere un crocifisso ed un ritratto del Re”, ed all’art. 119 del r.d. 1297/1928 secondo cui “il crocifisso deve formare parte necessaria dell’arredamento e dei suppellettili nelle aule scolastiche”. Si noti che l’obbligo di ostensione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane è da ultimo previsto dagli artt. 159 e 190 del d.lgs. 297/1994 (cd. T.U. delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), i quali confermano sostanzialmente quanto disposto dalle norme contenute nell’art. 118 del r.d. 965/1924 e nell’art. 119 del r.d. 1297/1928.

[7] Al riguardo è doveroso ricordare che il principio di laicità dello Stato non è esplicitamente enunciato nella carta costituzionale, ma è stato ricavato in via ermeneutica dalla Corte Costituzionale (sent. 18 ottobre 1995, n. 440) come “principio supremo”, stabilendo che “l’uguale protezione della coscienza di ogni persona che aderisce ad una religione è indipendente dalla religione scelta”. Secondo la suprema Corte, il principio di laicità implica un regime di pluralismo confessionale e culturale e presuppone, dunque, l’esistenza di una pluralità di sistemi di valori, di scelte personali riferibili allo spirito di pensiero, che sono dotati di pari dignità e nobiltà.

[8] Nel corso del giudizio (sent. 14 gennaio 2004, n. 56, prima sezione), il TAR sollevò questione di legittimità costituzionale – in relazione al principio di laicità dello Stato e degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. – delle norme regolamentari che prevedono l’ostensione del crocifisso nelle aule. La Corte Costituzionale dichiarò poi (ord. 15 dicembre 2004, n. 389) la manifesta inammissibilità del ricorso poiché diretto contro atti non aventi rango legislativo, ma regolamentare.

[9] “[…] Si può quindi sostenere che, nell’attuale realtà sociale, il crocifisso debba essere considerato non solo come simbolo di un’evoluzione storica e culturale, e quindi dell’identità del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra Carta costituzionale. In altri termini, i principi costituzionali di libertà hanno molte radici, e una di queste indubbiamente è il cristianesimo, nella sua stessa essenza. Sarebbe quindi sottilmente paradossale escludere un segno cristiano da una struttura pubblica in nome di una laicità, che ha sicuramente una delle sue fonti lontane proprio nella religione cristiana”. Così Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. III, sent. 22 marzo 2005, n. 1110. In proposito, ex pluribus, si v. le considerazioni svolte da Veronesi, cfr. Veronesi P., La Corte costituzionale, il Tar e il crocifisso: il seguito dell’ordinanza n. 389/2004, e Fiorita, cfr. Fiorita N., Se il crocifisso afferma e conferma la laicità dello Stato: paradossi, incongruenze e sconfinamenti di una sentenza del Tar del Veneto.

[10] In particolare, si legge nella citata sentenza, il crocifisso è simbolo che “può assumere diversi significati e servire diversi intenti”, a seconda del luogo in cui è posto. Pertanto, in un luogo di culto esso avrà valenza “propriamente ed esclusivamente religiosa”, mentre “in una sede non religiosa, come la scuola, […] esso è in grado di rappresentare e richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile”. Così Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 13 febbraio 2006, n. 556.

[11] CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I), § 56.

[12] CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I), § 45.

[13] CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I), § 55.

[14] CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I), § 54-55.

[15] CEDU, sent. 15 febbraio 2001, Caso Dahlab c. Svizzera, ricorso n. 42393/98.

[16] All’epoca dei fatti, i figli della signora Lautsi erano ancora minorenni (Dataico e Sami Albertin, rispettivamente di 11 e 13 anni).

[17] CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I), § 56. Si noti che la sintesi della Corte è – in questo passaggio della sentenza – diretta a censurare le osservazioni sottopostegli dal governo italiano.

[18] Così Citrigno, cfr. Citrigno A. M., Esposizione del crocifisso e principio di laicità dello Stato: il contributo del caso Lautsi, pp. 11.

[19] Nel caso di specie il governo si è avvalso della facoltà di chiedere il riesame della decisione alla Grande Camera, in virtù degli artt. 43 della Convenzione e 73 del Regolamento, che prevedono la possibilità – in casi eccezionali – di sollecitare il rinvio dinanzi alla Grande Camera in composizione plenaria (17 giudici). Cfr. Repubblica Italiana, Ministero degli Esteri, Lautsi c. Italia, 28 gennaio 2010.

[20] CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §34 (mancata considerazione del margine di apprezzamento), §35 (confusione tra neutralità e laicità), §36 (simbolo passivo e rischio di allargare eccessivamente l’ambito applicativo della convenzione).

[21] A sostegno delle argomentazioni presentate dal governo italiano sono intervenuti dal principio come terze parti i governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Russia, Grecia, Lituania, Malta, Repubblica di San Marino, Principato di Monaco e Romania. A questi si sono poi aggiunti, successivamente, numerosi altri governi (Albania, Austria, Croazia, Macedonia, Moldavia, Norvegia, Polonia, Serbia, Slovacchia, Ucraina, Ungheria). Le motivazioni dei governi e delle ONG intervenienti sono brevemente riassunti nella sentenza della Grande Camera, cfr. CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §47-56.

[22] CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §72

[23] CEDU, sent. 3 novembre 2009, Caso Lautsi e altri c. Italia (I), § 54-55.

[24] Sul tema, v. Puppinck, cfr. Puppinck G., Il caso Lautsi contro Italia.

[25] CEDU, sent. 19 febbraio 2009, Caso A. e altri c. Regno Unito, §179.

[26] Il principio di sussidiarietà, che ritroviamo all’art. 35 CEDU come condizione di ricevibilità del ricorso, si sostanza nella impossibilità di adire la Corte “se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne”. Da ciò, si ricava “per un verso, a monte, una opzione di preferibilità dell’intervento dello Stato nazionale, che si traduce, sul piano diacronico, nel riconoscimento del suo diritto a fare la prima mossa, con la conseguenza che, solo dopo l’esaurimento dei rimedi interni ed in caso di non effettività o di non satisfattività, degli stessi, intervenga in sussidiarietà l’autorità europea; per altro verso, a valle (nella fase, cioè, del successivo controllo di adeguatezza dell’intervento interno attivata nella sede europea) l’emersione di una linea di confine (tracciata, per via di autolimitazione, dalle stesse Corti europee), che delimita una residua zona franca, un’area cioè di rispetto, all’interno della quale è riconosciuta allo Stato una non sindacabile discrezionalità delle scelte”. Così il giudice costituzionale Morelli, cfr. Morelli M.R., Sussidiarietà e margine di apprezzamento nella giurisprudenza delle Corti europee e della Corte costituzionale, p. 2.

[27] CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §61.

[28] Si noti che per quanto riguarda la libertà d’espressione (art. 10) e di riunione ed associazione (art. 11), la Corte EDU ha ridotto al minimo il suddetto margine, attuando un controllo stringente – forse anche troppo, a nostro parere – sull’agire delle autorità statali.

[29] In particolare, “le loro opinioni devono essere considerate filosofiche, ai sensi della seconda frase dell’art. 2 del Protocollo addizionale n.1, affinché siano compatibili con la dignità umana e non siano in conflitto con il diritto fondamentale del minore all’istruzione”. Cfr. CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §58.

[30] Così Puppinck, cfr. Puppinck G., Il caso Lautsi contro Italia, p. 16.

[31] Si leggano le osservazioni dei governi intervenienti di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione Russa, Grecia, Lituania, Malta e la Repubblica di San Marino, cfr. CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §47.

[32] Interessanti le considerazioni del giudice Bonello: “La libertà di religione e la libertà dalla religione, in sostanza, consistono nel diritto di professare liberamente la propria religione, il diritto di non abbracciare nessuna religione, e il diritto di manifestare la propria religione per mezzo della fede, culto, insegnamento ed osservanza dei riti. In questo il catalogo Convenzione si arresta, ben al di là della promozione di qualsiasi laicità di Stato”. E lo stesso aggiunge poco dopo: “L’espiazione del crocifisso promossa dalla signora Lautsi non sarebbe in alcun modo una misura per garantire la neutralità in classe. Sarebbe un’imposizione della filosofia ostile al crocifisso dei genitori di un alunno, sulla filosofia aperta al crocifisso dei genitori di tutti gli altri 29”. Per approfondire, v. il parere concordante del giudice Bonello allegato alla sentenza Lautsi c. Italia (II), §3.6.

[33] La sentenza della Seconda Sezione della Corte EDU, richiama espressamente il Caso Dahlab c. Svizzera: esso riguardava il provvedimento che vietava al ricorrente di indossare il velo islamico – qualificato come “segno esteriore forte” – durante l’insegnamento, ai fini di tutelare le fedi religiose degli alunni e dei loro genitori e di applicare il principio della neutralità confessionale nelle scuole sancito dal diritto interno svizzero. Dopo aver osservato che le autorità avevano debitamente pesato gli interessi in gioco, la Corte dichiarava che le autorità non avevano superato il loro margine di apprezzamento. La Grande Camera, invece, “non condivide questo approccio, […] perché i fatti sono completamente diversi”. Cfr. CEDU, sent. 15 febbraio 2001, Caso Dahlab c. Svizzera, ricorso n. 42393/98.

[34] CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §72. Secondo l’argomentazione del governo italiano alla base del ricorso, il crocifisso è simbolo passivo in quanto esso non esige nessuna azione, preghiera o riverenza da parte di coloro che lo vedono, ed inoltre, non influenza in alcun modo la sostanza dell’insegnamento.

[35] CEDU, sent. 18 marzo 2011, Caso Lautsi e altri c. Italia (II), §74. Sul punto v. anche Solar Cayón, cfr. Solar Cayón J.I., Lautsi contra Italia: sobre la libertad religiosa y los deberes de neutralidad e imparcialidad del Estado.

[36] Nel suo parere in appendice alla sentenza Lautsi c. Italia (II), il giudice Power sostiene anzi che “l’istruzione sarebbe attenuata se i fanciulli non fossero esposti a diverse prospettive sulla vita e, così esposti, non avessero la possibilità di apprendere l’importanza del rispetto della diversità”.

[37] A quanti gridano allo scandalo, sostenendo che la sentenza della Grande Chambre si sostanzi essenzialmente in un giudizio politico a difesa di una tirannia culturale (quella cristiana), è possibile rispondere che “[…] il paradosso risiede nella volontà di combattere un’affermata tirannia culturale non un’altra forma, ancor più dispotica, di tirannia: quella che si concreta nell’imposizione coattiva del laicismo culturale: impostazione, questa, ancor più subdola, intollerante ed assolutista, in quanto, pur ammantandosi di neutralità ed imparzialità, rappresenta essa stessa un preciso vincolo di segno culturale”. Così Palma, Palma A. J., Il caso Lautsi c. Italia: spunti per una riflessione sul principio di laicità, in Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose, n. 75, 2011. Invece, per una rassegna delle censure fortemente critiche mosse alla pronuncia della Corte si vedano, su tutti, Arlettaz, cfr. Arlettaz F., op. cit., e Liu, cfr. Liu H., The meaning of religious symbols after the Grand Chamber judgement in Lautsi v. Italy, in Religion & Human Rights, vol. 6, n. 3, 2011.

[38] Così Koltay (la traduzione è nostra), cfr. Koltay A., Europe and the sign of the crucifix: on the fundamental questions of the Lautsi and others v. Italy case, in Temperman J. (ed.), The Lautsi Papers: Multidisciplinary Reflections on Relgious Symbols in the Public School Classroom, Brill, 2012.

Immagine in copertina: Renato Gattuso, Crocifissione, 1940-1941