I Doms del Medio Oriente sono stati colpiti dai disordini che hanno scosso la regione negli ultimi anni e aumentato la loro dispersione. La loro preoccupazione d’integrazione nei paesi di accoglienza li ha spinti a privilegiare le lingue locali a scapito della propria lingua, derivata dal sanscrito e unita a parole arabe, che i giovani si impegnano ormai a preservare e a far rivivere.
A cura di Thomas Abgrall, tradotto da Roberta Zobi. Articolo pubblicato su OrientXXI
A partire dalla loro migrazione dal subcontinente indiano, i Dom hanno conservato la loro lingua, il domari, ma la dispersione della comunità potrebbe minacciarla definitivamente. Warda pone delicatamente un grande vassoio d’argento sulla moquette. Olive verdi, labneh immersi in olio d’oliva, pita e torte croccanti all’anice. Fadi, accomodato su di un cuscino, si raddrizza, e Farah e Negham, 7 e 9 anni, si avvicinano alla colazione.
«Iba»! grida la figlia più piccola che viene ad abbracciare suo padre. «Guarda, non è complicato», mi spiega Fadi. «Per l’acqua diciamo pani, il sale lo chiamiamo lon et il pane mana» dice. Alla mia pronuncia esitante, le bambine esclamano. «Kakie namor» (come ti chiami?), si diverte Farah con un sorriso grande fino alle sue orecchie. La famiglia, che abita a Seine-Saint-Denis, parla il domari quotidianamente, una lingua propria della comunità emarginata dei Doms.
«La lingua degli uccelli»
Almeno 15000 Doms sono fuggiti dalla Siria dall’inizio degli scontri armati nel 2011. Dopo aver percorso migliaia di chilometri, si sono stabiliti in Europa, principalmente in Belgio e in Francia dal 2014. Fadi e i suoi familiari non sono siriani ma hanno sempre vissuto in Libano, senza tuttavia essere libanesi. Apolidi, come una parte dei Doms nel paese del cedro (il Libano), hanno preso la rotta dell’esilio, seguendo dei parenti che erano fuggiti da Homs. «In Libano, parlare la nostra lingua era molto mal visto, ci vergognavamo, la gente la chiama il nawari» (dalla parola nawar, un termine spregevole in arabo), racconta Fadi. «Ma noi ne siamo fieri; il domari fa parte della nostra storia, della nostra identità, ci ricorda le difficoltà che abbiamo attraversato. La chiamiamo “la lingua degli uccelli” [1] perché non smettiamo mai di blaterare quando discutiamo tra di noi», scherza il padre di famiglia. «Certo che trasmettiamo il domari ai nostri figli, è importante», esclama. Eppure, Farah non sembra entusiasta. «Il domari, non è bello», conclude. «Io preferisco parlare francese con le mie amiche Jennifer, Marie e Yara. E anche imparare l’inglese con la mia maestra», spiega la piccola che inizia a contare fino a 20 nella lingua di Shakespeare. I bambini Doms, che raramente seguivano un percorso scolastico completo in Libano, sono ormai in maggioranza scolarizzati, dopo anni di adattamento. La lingua rischia di sparire? Dalla fine degli anni ‘90, dei linguisti contemporanei tentano di trascriverla.
Una grammatica simile al sanscrito
Le prime scoperte del domari risalgono all’inizio del XIX secolo. Nel 1806, l’esploratore tedesco Ulrich Jasper Seetzen, che realizza un viaggio attraverso il Medio Oriente, arriva in Palestina dove incontra delle tribù Doms vicino Hébron e Naplouse. Lui è il primo a elencare una lista di parole del vocabolario, pubblicato nel 1854, e nota che la lingua dei Doms contiene numerose parole arabe, con una grammatica simile al sanscrito. L’espansione coloniale, il miglioramento dei mezzi di trasporto (navi a vapore, il trasporto ferroviario) e la «questione del Medio Oriente» spingono i ricercatori accademici – scienziati, filologi, archeologi o storici – a recarsi nella regione. «Questi pionieri producono note di viaggio e si interessano in particolare alla lingua dei popoli dei commercianti nomadi per comprendere la loro origine storica, come prima con i Rom in Europa. All’epoca esisteva una visione romantica, si postulava l’esistenza di una lingua zingara asiatica comune mentre il domari era a parte», afferma Bruno Hérin, professore all’Istituto nazionale delle lingue e civiltà orientali (Inalco) e uno dei pochi specialisti del domari nel mondo.
Nella seconda metà del XIX secolo, una mezza dozzina di esploratori pubblicarono dei lessici più completi del domari e delle sue varianti, su un vasto territorio che si estendeva dal Caucaso al Sudano. «Il contributo più importante è quello di Robert Macalister, un archeologo irlandese che ha realizzato un lavoro eccezionale», spiega il linguista israeliano Yaron Matras, che si basò su questi lavori per pubblicare una grammatica del domari nel 2012. Macalister condusse una vasta campagna di scavi in Palestina a partire dal 1902 per conto del Palestinian Exploration Fund. Scopre il domari sentendo parlare gli operai sui cantieri e una volta conclusi i lavori di scavo, remunererà un intermediario che gli racconterà delle storie tradizionali in domari e le tradurrà in arabo. L’opera The Language of the Nawar or Zutt, the nomad smiths of Palestin, pubblicato nel 1914, include anche un lessico di 1350 parole e le basi della grammatica della lingua.
Per quasi un secolo il domari è stato poco studiato, poi è stato riscoperto all’inizio degli anni ’90, soprattutto da Yaron Matras. Questo professore di linguistica all’università di Manchester, specializzato nello studio del romanì, apprende che il domari sarebbe ancora parlato a Gerusalemme nel quartiere di Bab Al-Huta. «Restavano una cinquantina di parlanti all’inizio delle mie ricerche, oggi esiste solo una donna che lo parla. Lei è stata educata dai suoi nonni che le hanno trasmesso la lingua ma non ha più persone con cui parlare», assicura Matras.
Le reti di clan in Siria
Se il domari si è quasi estinto in Palestina, esso è ancora oggi parlato in altri paesi del Medio Oriente. «É nel nord-ovest della Siria che il domari è più dinamico, soprattutto ad Aleppo, Latakia, Homs e Saraqib. Le reti di clan in questa regione sono estremamente forti, con una significativa endogamia», precisa Bruno Hérin, che ha realizzato le sue prime registrazioni ad Aleppo nel 2009. Un’importante comunità vive ugualmente nel sud della Turchia e nel nord del Libano. Si tratta degli stessi clan familiari che sono stati separati dalla creazione delle nazioni moderne dopo lo scioglimento dell’impero ottomano. «Fino a Mersin e Urfa, il domari è ancora correntemente parlato, ma nell’est della Turchia è stato sostituito dal domani, una lingua quasi integralmente curda, con dei resti del vocabolario domari», precisa.
Il ricercatore fa una distinzione tra il domari del sud, più arabizzato e parlato in Giordania e in Palestina, e quello del nord, utilizzato in Libano, in Siria e in Turchia. I diversi strati della lingua permettono di indovinare il percorso migratorio della comunità. «Il domari è una lingua indo-ariana. Tra il II e il VI secolo, gli antenati dei Doms si sono spostati dall’India centrale verso il nord-ovest del continente, per poi migrare verso le zone iranofone, poi turcofone dove la lingua è stata influenzata dal curdo e dal turco», assicura. «Poi la comunità si è divisa diversi secoli fa: una parte è andata più lontana verso il sud, in Palestina e in Giordania, l’altra è tornata nelle zone arabofone più tardi».
Anche in altre parti del Medio Oriente ci sono i Doms, ma che hanno completamente perso l’uso del domari, per esempio in Iraq, in Iran o in Egitto. La ricercatrice Alexandra Parrs ha incontrato alcuni Doms in Egitto che vivono in quartieri poveri del Cairo e ad Alessandria. «Spesso chiamati Ghajar, a volte utilizzano il sim, che significa codice in arabo. Si tratta in realtà di un lessico di una cinquantina di parole che gli permette di riconoscersi tra di loro, ma che ha pochissimi legami con il domari. Questo vocabolario è ad esempio utilizzato nei suk dei gioiellieri al Cairo nelle trattative», spiega la sociologa.
La scelta dell’arabo per i sedentari
Perché la lingua dei Doms si è persa in alcuni territori e ha resistito in altri?
La progressiva sedentarizzazione della comunità nel XX secolo sembra aver giocato un ruolo importante. È stata favorita, tra l’altro, dai regimi nazionalisti arabi. In Iraq ad esempio, spiega il ricercatore Ronan Zeidel, i Doms sono stati integrati alla nazione da Saddam Hussein dal 1979, e hanno ricevuto terre fertili nella periferia delle grandi città, ad esempio nella zona d’Abu Ghraib, ad ovest di Bagdad.
I Doms hanno anche ricevuto la cittadinanza nel 1957 in Siria e nel 1994 in Libano, anche se una parte di loro rimane apolide. Beneficiando di uno status più favorevole hanno avuto più accesso all’educazione, mescolandosi con le società arabe. I Doms si sono concentrati anche nella periferia di grandi città, con i loro mestieri tradizionali itineranti – fabbri, conciatori, fabbricanti di setacci, gioielli d’argento, dentisti informali – che sono gradualmente scomparsi. «A Gerusalemme e ad Amman, i Doms hanno abbandonato le loro attività nomadi, sono diventati lavoratori giornalieri e hanno iscritto i loro figli a scuola. I genitori li hanno incoraggiati a parlare arabo affinché si integrassero al meglio e non fossero più stigmatizzati», afferma Yaron Matras.
Le famiglie che praticano una vita semi-nomade (migrazione in estate e in inverno) parlano generalmente un domari migliore. «La questione della trasmissione è determinante: la lingua si perde quando i genitori smettono di parlare domari ai loro figli o viceversa». In Giordania, il domari sembra mantenersi ancora bene, ma resta fragile. Lo conferma un breve documentario della cameramen israeliana Einat Dattner, rara testimonianza di una famiglia che vive vicino Amman. «La famiglia mi ha detto che voleva conservare le tradizioni, ma che volevano dimenticare la loro lingua, che li rendeva persone diverse, e preferivano che i loro figli parlassero arabo», confida la regista di film indipendenti.
A Beirut la situazione è molto simile. Uno studio del 2011 dell’ONG Terre des Hommes in Libano ha mostrato che il 47% degli adulti parla il domari ma solo il 23% tra i bambini. «L’importanza numerica della comunità e la sua coesione sociale spiegano la dinamica della lingua», afferma Bruno Hérin.
La dispersione dei Doms dopo lo scoppio della guerra in Siria potrebbe minacciare il domari. La comunità è infatti divisa tra Libano, Turchia, Europa e Africa del Nord. Ma la migrazione in Europa potrebbe anche essere un’opportunità, perché i giovani Doms sono determinati a far conoscere la loro lingua.
Una nuova vita su YouTube e i social media.
Kamal Kelzi ne è convinto: se non avesse lasciato la Siria, non avrebbe mai potuto lanciare nel 2017 il suo canale YouTube in Domari, Kamal Doms people [2]. Los studente in odontoiatria di 24 anni, originario di Aleppo, ha un profilo atipico. Contrariamente alla maggior parte dei Doms, è arrivato in aereo da Istanbul nel 2012 in Svezia grazie al ricongiungimento familiare, in quanto suo padre vive nel paese. È anche un appassionato di lingue e partecipa volentieri a sfide online. Su YouTube ha iniziato a pubblicare delle vecchie canzoni in domari recuperate dagli anziani della comunità, dai racconti per bambini, dal vocabolario di base e poi ha caricato un video molto visualizzato sul coronavirus. «Il domari non è conosciuto perché i Doms non osano svelare la loro identità. Si presentano come curdi, turkmeni o membri di altre minoranze. Io stesso ho impiegato del tempo per parlarne ma non volevo più nascondermi», racconta.
Kamal si vede ottimista. «Io non penso che la nostra lingua scomparirà rapidamente in Europa, perché i bambini prenderanno coscienza della loro identità, della loro cultura senza paura di essere giudicati. C’è stato anche un tentativo di creare un’associazione per rappresentare una comunità.» Per il giovane uomo, che ha famiglia in Belgio, è piuttosto l’arabo che è in perdita di vitalità rispetto al domari e al francese. Il suo canale YouTube ha suscitato interesse nella sua comunità. «Sono stato contattato su Instagram da un Doms di 19 anni del sud d’Iskenderun, che mi ha detto che con i suoi cugini, aveva creato un gruppo WhatsApp per documentare il domari in Turchia».
A migliaia di chilometri nel sud-est dell’Andalusia, Bahaa, uno studente Doms fuggito durante la guerra in Siria ambisce a scrivere un dizionario domari-arabo. Studente con un master di arabo 2 all’università di Granada, il suo percorso è stato più caotico di quello di Kamal. Lui è passato per il Libano, l’Algeria e il Marocco dove ha iniziato gli studi dell’arabo a Oujda. Dopo aver attraversato il confine nell’enclave spagnola di Melilla, è arrivato in Spagna, poi in Francia e “dubliné” (richiedendo asilo) è stato rimandato in Spagna. «Voglio scrivere questo dizionario per salvare la nostra lingua. Nei paesi arabi il domari rischia di sparire. I Doms non possono neanche scrivere nella loro lingua e sono obbligati ad utilizzare l’arabo, non è normale. Coloro che non impareranno il domari dai loro genitori, potranno farlo più tardi se la lingua è scritta», spiega lo studente. «È una lingua molto ricca e ho molta voglia di condividerla con più persone è possibile».
Foto copertina: Domari woman in Israel — Source: en,wikipedia.org — Public domain