Dalle nuove accuse di corruzione all’attentato contro la vita della vicepresidentessa: il racconto di un paese spaccato a metà.


A cura di Rosa Scamardella

Introduzione

“Cristina, te amo”, poi il rumore sordo di un proiettile che decide di restare in canna fallendo l’obiettivo. È la sequenza che da giorni i principali media argentini trasmettono a ripetizione e che ritrae gli istanti esatti in cui Fernando André Sobag Montiel, brasiliano di 35 anni, attenta alla vita della vicepresidente dell’Argentina Cristina Fernández de Kirchner[1]
Solo qualche settimana prima, nuove accuse di corruzione si abbattevano sulla leader peronista, per la quale i giudici della Fiscalía chiedevano dodici anni di carcere e l’interdizione perpetua dalle cariche pubbliche. Immediate le dimostrazioni da parte dei suoi sostenitori, riversatisi nelle principali piazza della capitale e nei dintorni della sua abitazione. Ed è proprio camminando in mezzo al suo popolo, fra dichiarazioni di solidarietà e finanche d’amore, che si è confuso il braccio armato di Sobag Montiel, pronto a darle la morte.

Il volto del kirchnerismo

La scena dell’attentato del 1 settembre ben cattura la frattura nella politica argentina che durante gli ultimi anni si è costituita intorno alla figura di Cristina Fernández. Considerata irriducibile leader e simbolo del peronismo da una parte di elettorato, fonte di tutti i mali e responsabile della rovina economica nazionale dall’altra. Una polarizzazione che affonda le sue radici ben oltre le sue vicende biografiche, ma che trova una spiegazione nell’assoluto protagonismo, nell’arco degli ultimi quindici anni, di questa donna sulla scena politica argentina.
Eletta senatrice nel 1995 col Partido Justicialista, lo stesso di suo marito Néstor divenuto presidente nel 2003, passò, nel 2007, dall’essere primera dama a candidata a sorpresa per la campagna presidenziale. Vittoria che si assicurò due volte di seguito, rimanendo alla Casa Rosada fino al 2015[2].
Quindici anni di kirchnerismo hanno profondamente cambiato il volto dell’Argentina, risollevandola dagli effetti della crisi del 2001, in seguito alla quale milioni di persone poco prima appartenenti alla classe media si erano ritrovate al di sotto della soglia della povertà.
Il mandato di suo marito si era caratterizzato per un deciso disallineamento rispetto alle politiche economiche suggerite dal Fondo Monetario Internazionale, giudicate responsabili del disastro finanziario e dell’enorme debito pubblico accumulato. Rinnegando il “Washigton Consensus” delle privatizzazioni, della deregolamentazione dei mercati e dell’abbattimento di ogni barriera per facilitare il libero commercio, Kirchner aveva attinto alle risorse della Banca Centrale per ripagare il debito con l’istituzione di Bretton Woods, rinegoziandone la restante parte con gli investitori in possesso di titoli di Stato. Rinnegata l’austerità imposta negli anni precedenti, aveva incentivato investimenti pubblici e sussidi necessari ad arrecare sollievo ai milioni di nuovi poveri. Si era ritrovato alleato naturale della prima ondata progressista latino-americana, del Brasile di Lula, del Venezuela di Hugo Chávez, della Bolivia di un emergente Evo Morales, dell’Ecuador di Rafael Correa e di altre esperienze simili che nel sub-continente, più o meno simultaneamente, stavano tentando di articolare una risposta alle politiche liberiste promosse negli anni Novanta dagli organismi finanziari internazionali[3].
La svolta progressista argentina si reggeva, secondo molti analisti, sulla possibilità di spesa sancita dal boom del prezzo delle materie prime esportate in tutto il mondo e sul nuovo peso, fra i  partner commerciali, della Repubblica Popolare Cinese.
Nel 2007, il passaggio di consegne fra marito e moglie alla Casa Rosada avvenne annunciandosi e realizzandosi nell’intenzione della continuità.

Una leader divisiva

Alla fine del primo mandato (2007-2011) di Cristina Fernández il ciclo favorevole delle commodities cominciava ad esaurirsi ed i nodi del programma politico kirchnerista a venire al pettine. Ciò nonostante, la presidenta non si decise mai ad arretrare rispetto ai valori del peronismo progressista condiviso col marito. Le frizioni con alcuni settori della società finirono così per accentuarsi: l’intento di redistribuire i proventi delle esportazioni agricole, attraverso una tassazione triplicata che avrebbe finanziato programmi di previdenza sociale,  sanità e pubblica istruzione, culminò nello scontro aperto non solo con le grandi industrie agricole ma anche coi piccoli proprietari terrieri, già marginalizzati e sottoposti alle pressioni del land grabbing e, come gli altri cittadini, dall’impennata dell’inflazione, eterno problema dell’economia nazionale. Il braccio di ferro con gli agricoltori durò quattro mesi, durante i quali finanche l’allora cardinal Bergoglio tentò di convincere Kirchner a retrocedere, venendo invitato a farsi gli affari suoi[4].
Mentre gli effetti della crisi del 2008 raggiungevano con qualche ritardo il subcontinente, la presidenta guidava il recupero delle imprese nazionali che erano state privatizzate negli anni Novanta, come la compagnia di bandiera Aerolineas Argentinas.  Le fortune del kirchnerismo erano destinate a declinare definitivamente durante il suo secondo mandato. Il livello salariale, straordinariamente recuperate dopo la crisi del 2001 e fonte di legittimazione dell’esecutivo per la durata del precedente decennio, risentiva enormemente dell’aumento generale del livello dei prezzi. L’export argentino e, più in generale, le entrate dello Stato non riuscivano a sostenere più la spesa pubblica, dopo anni di erogazione di sussidi che coinvolgevano, ad esempio, il pagamento delle bollette dell’acqua, della luce e del gas.
Un primo scandalo legato alla corruzione investì i mesi finali dell’ultimo governo Kirchner, originatosi dall’accusa di aver esercitato pressioni sull’INDEC (Institudo nacional de Estadística y censos) affinché pubblicasse dati falsi che avevano lasciato sottostimare l’inflazione. Quest’ultimo avvenimento contribuì a minaret la credibilitàdi Cristina presso chi la accusava già di aver incrementato, a suon di assistenzialismo e sussidi, una povertà strutturale da cui attingere voti e su cui fondare la propria legittimazione politica[5].

Il ritorno al Fondo Monetario Internazionale

La decadenza del modello kirchnerista ebbe modo di riflettersi nei risultati delle elezioni del 2015, le quali premiarono Mauricio Macri, ex presidente del Boca Juniors, esponente di centro-destra distintosi, durante tutta la sua carriera politica, per le nette critiche all’operato dei coniugi Kirchner[6].
L’Argentina, grazie alle alleanze stabilite nell’ambito del ciclo progressista latinoamericano e al fortunoso ciclo delle materie prime, aveva sganciato per anni il suo destino dalle riforme imposte sottoforma di condizionalità per la fruizione dei prestiti dal Fondo Monetario Internazionale, intrapredendo politiche che mai l’istituzione di Bretton Woods avrebbe tollerato.
Macri ritenne di dover ripristinare l’immagine di un’Argentina affidabile per i mercati internazionali, ritornando ad allineare l’economia del paese all’ortodossia promossa dal Fondo, il che rese possibile, nel giugno del 2018,  l’erogazione di 50 miliardi di dollari, il prestito più vasto mai erogato dall’istituzione, all’indirizzo di Buenos Aires[7].
L’attacco ai sussidi, l’aumento dei costi delle utenze e tutte le politiche neoliberiste ed anti-kirchneriste messe in campo da Macri non arrisero comunque alla crescita dell’economia nazionale. Nel 2019, l’ex dirigente sportivo usciva dalla Casa Rosada lasciandosi alle spalle un’inflazione al 55% e un tasso di povertà altissimo, che riguardava il 35% della popolazione[8]. Alle successive elezioni, Alberto Fernández, capo di gabinetto prima di Néstor e poi brevemente per Cristina Kirchner, gli venne preferito, a seguito di una campagna elettorale in cui l’ex presidenta si era spesa enormemente. Cristina tornò così al potere, questa volta nel ruolo di vice-presidentessa.

L’Argentina post-Covid

Quando l’Europa ha cominciato a fare i conti col covid-19, in Argentina stava cominciando l’estate. I dati sanitari inizialmente non apparivano troppo sfavorevoli e l’economia nazionale, contro ogni previsione e nonostante l’inflazione e il debito pubblico, sembrava crescere a buon ritmo, come segnalato dal premio Nobel Joseph Stiglitz[9].
Solo 44 dei 50 miliardi promessi erano stati ricevuti dal FMI. Se il kirchnerismo si era contraddistinto e soggettivato principalmente per il perseguimento della sovranità finanziaria, questa volta un suo naturale discepolo, il nuovo presidente era forzato a cercare un compromesso col Fondo tramite la rinegoziazione del debito.
La strategia di Fernández fu innanzitutto di non riscuotere il resto del prestito e di intraprendere un’ampia azione diplomatica, ricercando interlocutori-leva anche in Europa, al fine di ottenere condizioni più favorevoli. L’idea era di poter fare affidamento sul mutato atteggiamento delle banche centrali rispetto a politiche espansive che, in tutto il mondo, stavano rendendo possibile l’erogazione degli aiuti per affrontare la crisi pandemica.
Nel maggio del 2020, nell’ambito di questo braccio di ferro, Buenos Aires non pagò una rata del prestito da 500 milioni di dollari, divenendo così insolvente e dichiarando il nono default della sua storia[10].
A fine gennaio del 2022, un accordo di ristrutturazione del debito è stato raggiunto ed approvato dal Congresso Nazionale con non poche polemiche, grazie al sostegno espresso dall’opposizione e col deciso dissenso di Cristina Kirchner. Secondo quanto stabilito dall’accordo vigente, l’Argentina si impegna entro il 2024 a ridurre il deficit fiscale allo 0.9%, sotto il controllo dell’organismo che eserciterà una revisione ogni due mesi e mezzo.

Dalle accuse di corruzione all’hate speech

Il dissenso di Cristina rispetto agli accordi raggiunti l’ha nuovamente resa protagonista della polarizzazione del dibattito pubblico argentino, che in lei, ancora una volta, ha volute riconoscere un simbolo del peronismo del XXI secolo, costituito di sovranità finanziaria e resistenza alle ingerenze internazionali, o la nemica per eccellenza della prosperità del paese sui mercati mondiali. Un deciso appoggio le è stato assicurato dalla parte della popolazione esposta, in tempi post-pandemici, al pagamento non sussidiato di utenze e servizi, dalle associazioni per i diritti umani e le storiche alleate, le Madres de Plaza de Mayo. Politici, analisti e commentatori di centro-destra hanno invece fomentato e continuato a proiettare l’immagine di donna spendacciona ed inutilmente battagliera, una vera e propria sciagura nazionale. Narrazione che ha nutrito i discorsi d’odio degli ambienti di estrema destra cui il kirchnerismo è inviso tanto quanto il peso dei movimenti femministi nella politica argentina.
La sicurezza di Cristina si trova in pericolo già da diversi mesi, come testimoniato da una telefonata ricevuta da  Fernández poco prima dell’attentato. Il presidente, informato dalla polizia, la metteva in guardia rispetto alla pericolosità del suo costante ed esposto contatto col pubblico. La stessa gente che si sarebbe radunata a supportarla, nel giorno dell’attentato, in seguito alle accuse del pubblico ministero Diego Luciani rivoltele poco più di una settimana prima: corruzione per l’assegnazione ad alleati politici degli appalti per la costruzione delle autostrade nella provincial di Santa Cruz.
Mentre in questi giorni il Congresso argentino si appresta a discutere una legge proprio sull’hate speech e il dibattito cavalca l’ondata emozionale suscitata dal tentato assassinio[11], la vice-presidentessa organizza la difesa raccogliendo la solidarietà di vecchi e nuovi alleati: quella di Lula, in corsa per le prossime elezioni brasiliane, di Evo Morales, del Frente Amplio colombiano, del presidente cubano Miguel Díaz Cañel, di Gabriel Boric dal Cile, di Pedro Castillo dal Perù. Esponenti di quella che per alcuni si prepara ad essere una seconda ondata progressista per l’America Latina. Con la sfida elettorale del 2023 alle porte per il Partido Justicialista, fondamentale momento di conferma o rigetto per il progetto kirchnerista che lo ha guidato nell’ultimo ventennio, nei sentimenti tanto violenti e contrastanti che si raccolgono intorno a questa donna è scritto il racconto dell’Argentina del XXI secolo. In quelli che prevarranno, il destino di un gigante del Sud.


Note

[1] https://www.pagina12.com.ar/478434-el-video-que-muestra-el-intento-de-asesinato-contra-cristina
[2] M. Wainfeld, Kirchner, El tipo che supo, Siglo Veintiuno Editores, Buenos Aires, 2016, cit. p. 65.
[3] F. Gaudichaud, J. Webber, M. Modenesi, Los gobiernos progresistas latinoamericanos del siglo XXI, Universidad Nacional Aututónoma de México, Città del Messico, 2002, cit. p. 23.
[4] P. H. Lewis, The Agony of Argentine Capitalism, from Menem to Kirchners, Preager, Santa Barbara, 2009, cit. p. 179.
[5] M. Rosti, “L’Argentina da Menem a Macri”, in V. Giannattasio, R. Nocera (a cura di), Democrazie inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano, 2017, cit. p. 31.
[6] https://www.treccani.it/enciclopedia/mauricio-macri
[7] https://www.imf.org/en/News/Articles/2018/06/20/pr18245-argentina-imf-executive-board-approves-us50-billion-stand-by-arrangement
[8] https://www.ilsole24ore.com/art/argentina-tornano-peronisti-fernandez-nuovo-presidente-ACn9U0u
[9] https://www.project-syndicate.org/commentary/argentina-covid-economic-miracle-by-joseph-e-stiglitz-2022-01?barrier=accesspaylog
[10] https://www.lavoce.info/archives/94376/argentina-sempre-sul-ciglio-del-baratro
[11]https://www.pagina12.com.ar/478845-atentado-a-cristina-kirchner-que-son-los-discursos-de-odio-y


Foto copertina: Cristina Kirchner