Nell’ area che vide trionfare le truppe britanniche del comandante Montgomery nel 1942, il presidente Al-Sisi ha avviato la costruzione di una nuova metropoli. Che la obliterazione del sito archeologico sia metafora della debolezza italiana in politica estera?
Cos’è El Alamein?
A 106 chilometri ad ovest di Alessandria d’Egitto e a 240 chilometri a nord del Cairo si trova la città di El Alamein, ricompresa nel governatorato del Matruh, fino alla fine del secolo scorso fondamentale essenzialmente per il suo porto, utilizzato per il trasporto di petrolio, oggi principalmente meta turistica fra le tante che si affacciano sulla costa egiziana.
El Alamein è nota tuttavia per la sua storia: è stata, infatti, teatro di una delle battaglie considerate decisive per le sorti del Secondo conflitto mondiale. Nel 1942 il generale Erwin Rommel, comandante tedesco degli Africa Korps, soprannominato “la volpe del deserto” per i suoi successi militari in Nord Africa, era infatti determinato ad eliminare definitivamente le truppe britanniche che ripararono presso El Alamein, ultima roccaforte alleata prima di Alessandria, in seguito alla disfatta di Tobruk.
La strategia difensiva britannica risultò, tuttavia, immediatamente vincente: la linea di difesa si prolungava dalla costa fino alla depressione di Al-Qattara, impraticabile per i mezzi corazzati dell’Asse, il cui schieramento comprendeva tre corpi dell’armata italiana, due di fanteria ed uno corazzato, tra cui le celeberrime divisioni “Folgore” e “Ariete”.
Presto, la guerra di movimento divenne guerra di posizione a causa della instancabile resistenza inglese che in breve tempo si trasformò in contrattacco, costringendo l’Asse ad un ripiegamento: le divisioni italiane, mal equipaggiate, vennero facilmente aggirate ed annientate.[1]
Tale battaglia, pur rappresentando nei fatti una delle più pesanti sconfitte della storia militare italiana, tuttavia, valse ai nostri (ai militari della “Folgore” soprattutto) l’onore delle armi e l’ammirazione degli eserciti alleati e nemici. «I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane.», riecheggiò nelle trasmissioni di Radio Londra dell’11 novembre 1942, e ancora: «Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore.» ebbe a dire Winston Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni successivo agli eventi di El Alamein[2].
Recentemente, proprio nella stessa area che vide trionfare le truppe britanniche del comandante Montgomery nel 1942, il presidente Al-Sisi ha avviato la costruzione di una metropoli destinata ad ospitare circa due milioni di abitanti, dalla natura ibrida tra meta turistica in stile Sharm el Sheikh e un centro direzionale all’avanguardia, con tanto di grattacieli, università e centri commerciali: l’asfalto sta prendendo rapidamente il posto delle ‘buche’ scavate dai militari della Folgore per resistere alla controffensiva Alleata, operazione che ha tutte le carte in regola per essere definita ‘obliterazione’, ovvero ‘eliminazione di una testimonianza storica materiale’ nel gergo degli archeologi[3].
L’Egitto oggi
È diffusa tra gli analisti e gli esperti di geopolitica la convinzione che l’Egitto sia “geograficamente in Africa, storicamente in Asia”, nel senso che “la storia, la cultura e la religione derivano dal mondo asiatico; la vita, l’acqua e la popolazione da quello africano”.[4] È possibile affermare che l’Egitto si muove sotto ogni aspetto nel segno del tre: si affaccia su tre continenti (a sud verso l’Africa, ad est verso l’Asia e a Nord, tramite il Mediterraneo, sull’Europa); ricomprende tre dimensioni socio-culturali (quella araba, quella africana e quella islamica); ed è centrale, geograficamente e storicamente, per le tre principali religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam).
In seguito agli sconvolgimenti socio-politici degli anni 2012-2013, conclusisi con il colpo di Stato che portò al potere l’attuale presidente Abdul Fattah Al-Sisi[5], il Paese si è avviato verso una progressiva stabilizzazione che rischia, tuttavia, di essere soltanto apparente.
La recente crisi pandemica ha infatti evidenziato tutte le fragilità di un sistema politico solo in apparenza solido, le quali facilmente potranno essere causa di rivolgimenti dalle forme e dagli esiti imprevedibili, scatenati dalle precarie condizioni economiche e sociali in cui versa attualmente la popolazione.
È infatti evidenziata da molti la strumentalizzazione da parte del governo di Al-Sisi delle misure restrittive imposte per fronteggiare il contagio da Covid19 (la chiusura dei confini, la sospensione dei voli internazionali, l’autoisolamento della popolazione, la chiusura delle moschee e di tutti i luoghi di assembramento, la sospensione dei permessi di lavoro e di tutte le attività non ritenute di primaria importanza e il coprifuoco notturno[6]), le quali rischiano di essere una vera e propria spada di Damocle per il governo stesso: il tasso di crescita del PIL a prezzi costanti che solo nel 2019 era attestato a 5,6 punti percentuali, è sceso intorno al 3,6% nel 2020[7].
Previsioni ottimistiche del Fondo Monetario Internazionale, tuttavia, ritengono che la crescita reale del PIL arrivi a sfiorare il 6,4% nell’anno finanziario 2021/22[8], complice anche una auspicata ripresa del settore turistico proprio a partire dal 2022.
Va segnalata, poi, l’importante riforma del 2019 con la quale è stato istituito il Senato egiziano, con funzioni meramente consultive, le cui elezioni si sono tenute l’11 e il 12 agosto dello scorso anno e che ha iniziato da allora il suo primo mandato quinquennale.
Poiché, però, la maggior parte dei candidati aveva il placet di Al-Sisi stesso, si è parlato di elezioni che, nei fatti, non apporteranno un vero cambiamento, né apriranno la strada ad un assetto realmente democratico[9]: ulteriore dimostrazione di quanto poco ci sia di stabile all’interno del Paese.
Quel che è certo, però, è che, in politica estera, l’azione del Cairo è decisa, tutta volta a rafforzare la posizione del Paese a livello internazionale (mantenendo rapporti amichevoli con gli Stati Uniti e l’Unione Europea senza perdere l’occasione di stringerne di nuovi con Russia e Cina); anche in questo caso vale il principio della triade: la geopolitica egiziana è orientata verso Mediterraneo orientale, Africa Orientale e Medio Oriente e, in particolare, sembra essersi consolidata in una posizione di contrasto velato con la Turchia.
Ciò è dimostrato anche dalla partecipazione attiva dell’Egitto alle operazioni in Libia: lo scorso giugno è partito proprio dal Cairo l’invito ad un ‘cessate il fuoco’ rivolto al governo di Tripoli e all’alleato turco: iniziativa apprezzata da importanti alleati europei tra cui la Francia, ma del tutto ignorata dai suoi destinatari.
La stabilizzazione della regione libica, tuttavia, resta una priorità per il governo di Al Sisi[10], che già guarda a ristabilire i rapporti con il Qatar, non senza contraddizioni e ambiguità, visto che si starebbero ancora esaminando le reali intenzioni di Doha, per comprendere se non si tratti, in realtà, di “mere manovre politiche”[11]. Senza dimenticare che Egitto fa sempre e comunque rima con Suez[12].
L’Italia e i rapporti con l’Egitto
La questione delle relazioni tra Italia ed Egitto è tornata alla ribalta recentemente, in seguito alla notizia della vendita da parte del nostro Paese di due navi classe FREMM al governo di Al-Sisi, mentre Fincantieri ha avviato una trattativa per fornire pezzi di ricambio e di riserva per tali unità[13].
L’operazione, difatti, ha suscitato numerose polemiche all’interno dell’opinione pubblica italiana, essendo stata percepita come un affare stretto con i responsabili della morte di Giulio Regeni[14]. Premesso che la questione risulta essere più complessa di come sembra, la politica estera italiana non può e non deve sempre restare impantanata in singoli episodi, seppur gravissimi e per i quali la verità va ricercata con fermezza e senza sosta: semplicemente è necessario tenere distinto il piano delle relazioni bilaterali tra Stati da quello del perseguimento della giustizia e della risoluzione del caso concreto[15].
Gli interessi italiani in Egitto permangono, ed anzi, non sono mai stati così importanti come in questo momento storico. E tali interessi riguardano, ancora, tre aspetti.
La questione economica.
L’ENI ha, infatti, quasi più interessi in Egitto che in Libia (la produzione di gas si attesta intorno ai 15,6 miliardi di metri cubi all’anno, circa 5 in più rispetto a quelli prodotti a Tripoli[16]), mentre l’export italiano verso il Paese nello scorso anno valeva 185 milioni di euro[17].
La questione geopolitica.
L’Egitto, per la sua peculiare posizione geografica e per la direzione che ha assunto la sua politica estera, si candida ad essere l’unico Paese che, nei fatti, può fronteggiare le mire espansionistiche turche nel Mediterraneo. Lo dimostrano le dinamiche della “questione greco-turca[18]” legata alla transizione di idrocarburi verso l’Europa: recente è l’accordo che Il Cairo ha stretto con la Grecia per definire i confini di una Zona Economica Esclusiva (area marittima su cui uno Stato ha autorità anche relativamente allo sfruttamento di idrocarburi) come risposta ad un accordo simile, precedente, tra Turchia e Libia, disegnando, così, ZEE tra loro incompatibili[19]. Lo scopo dell’azione greco-egiziana è quello di limitare le pretese turche nell’area, che, di certo, non si limitano a tale ambito, ma si inseriscono in un gioco geopolitico molto più ampio e complesso.
La questione strategica.
Stiamo assistendo ad una vera e propria nuova “corsa all’Africa”, proprio come avvenne per la colonizzazione europea del secolo scorso: con la differenza che oggi non si assiste più ad una “occupazione coatta del territorio” ma alla stipulazione di “accordi commerciali win-to-win, in cui tutti i contraenti abbiano dunque da guadagnare”[20], oltre al fatto che non sono più solo le potenze del Vecchio Continente artefici di tale operazione. Oltre alla Francia, sono la Russia e la Cina le potenze che più di tutte stanno investendo in campo militare e infrastrutturale, ben comprendendo le potenzialità del continente protagonista più del XXI secolo che del XX.
Ancora, l’Egitto rischia una vera e propria guerra con l’Etiopia per via della Grand Ethiopian Renaissance Dam, diga etiope che sottrarrà quantità d’acqua dal Nilo Azzurro tanto cospicue che Il Cairo non potrà restare a guardare. E poiché anche l’Etiopia risulta essere partner strategico per il nostro Paese, l’attenzione italiana all’Egitto non può che essere seria e meticolosa, tenendo sempre presente che il canale di Suez è uno dei due sbocchi, insieme allo stretto di Gibilterra, che l’Italia ha sull’oceano.
Una nuova El Alamein?
Se è vero che la strategia italiana verso il Nord Africa e il Medio Oriente risulta essere improntata, da un lato, a dar seguito ai tradizionali rapporti bilaterali, dall’altro a stimolare nei confronti di alleati e partner un’azione multilaterale e coordinata, essa non è tuttavia adeguata a rispondere efficacemente alle nuove sollecitazioni provenienti da un’area tanto complessa quanto, si è visto, fondamentale per i nostri interessi strategici, rischiando con estrema superficialità che alleati (Francia) e Stati meno vicini (Cina) ci soffino continuamente l’occasione di diventare Paese leader strategico, militare, economico nell’area, e cioè di ambire (correndo il rischio di perdere la scommessa, ma cos’è la politica estera se non visione e rischio?) di riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti di Trump che hanno abbandonato il “ruolo di ordinatore di rapporti internazionali”[21], quantomeno in un’area di cui siamo storicamente, geograficamente, culturalmente esperti (non a caso, il Mediterraneo è-era- Mare Nostrum).
E probabilmente il vero problema è proprio questo: siamo talmente abituati a sentircelo dire che, alla fine, restiamo esclusi dalle posizioni di rilievo nella regione. E forse la distruzione del sito di El Alamein è, in questo senso, metaforica.
Perché se è vero che, naturalmente, nel concreto, non si sarebbe potuto far nulla per evitarne la obliterazione, è altrettanto vero che, quantomeno, sarebbe stato non di poco conto mostrare il nostro disappunto, sotto qualsiasi forma; mostrare, almeno, di voler provare a salvarlo, non fosse altro che per meritare l’ammirazione degli altri. Proprio come accadde ai nostri della “Folgore” settantanove anni fa.
Note
[1]Per approfondire: http://www.arsbellica.it/pagine/contemporanea/El_Alamein/El_Alamein.html#ariela
[2]http://www.arsbellica.it/pagine/contemporanea/El_Alamein/El_Alamein.html#ariela
[3]https://www.corriere.it/cronache/21_marzo_16/el-alamein-grattacieli-autostrade-spazzano-via-trincee-folgore-d757cafc-85aa-11eb-9163-c4d65be13e50.shtml
[4]https://www.limesonline.com/cartaceo/legitto-nazione-incompiuta
[5] Per approfondire: https://www.opiniojuris.it/primavere-arabe-a-dieci-anni-dalle-rivoluzioni/
[6] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/legitto-tra-pandemia-autoritarismo-e-ambizioni-geopolitiche-27567#n1
[7] https://www.infomercatiesteri.it/public/osservatorio/schede-sintesi/egitto_101.pdf
[8] https://dailynewsegypt.com/2020/09/02/egypts-real-gdp-to-reach-6-4-in-fy-2021-22-imf/
[9] https://www.al-monitor.com/originals/2020/08/egypt-senate-elections-sisi-supporters-low-turnout.html#ixzz6Xw8UpNJP.
[10] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/12/21/libia-legitto-ancora-linea-la-sicurezza-del-paese/
[11] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/03/10/qatar-egitto-un-riavvicinamento-ancora-ambiguo/
[12] Per approfondire: https://www.opiniojuris.it/il-blocco-del-canale-di-suez/
[13] https://espresso.repubblica.it/attualita/2021/03/25/news/italia_vende_armi_navi_da_guerra_egitto-293803351/
[14] Per approfondire: https://www.opiniojuris.it/giulio-regeni-e-lora-della-verita/
[15] Come spiega Stefano Stefanini: https://formiche.net/2020/12/italia-egitto-non-scherziamo-col-fuoco-firmato-stefanini/
[16]https://www.eni.com/it-IT/presenza-globale/africa/libia.html
[17] https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=101
[18] https://www.opiniojuris.it/grecia-e-turchia-le-frontiere-infiammabili-del-mar-egeo/
[19]https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/laccordo-egitto-grecia-e-il-grande-gioco-il-mediterraneo-orientale-27182
[20]https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/esteri/brennero-mogadiscio-sfida-italia-africa/
[21] https://voce.com.ve/2020/07/15/511064/il-declino-della-politica-estera-italiana/
Foto copertina: Memoriale italiano nella città di El Alamein.