La Banca centrale europea è attualmente chiamata ad affrontare delicate questioni monetarie, in quanto la pandemia prima e la guerra in Ucraina subito dopo hanno innescato, tra l’altro, seri problemi per l’economia europea. Probabilmente dovremo fronteggiare alcune delle loro conseguenze per molto tempo.


Traduzione a cura di Aurora Minieri

Partiamo dai due eventi principali di questa estate. Innanzitutto, la fine a luglio del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program)[1]: l’acquisto di titoli di Stato al di fuori della capital key rule (cioè senza rispetto della proporzionalità con le quote statali del capitale della Banca centrale europea). Questo programma straordinario (1.850 miliardi di euro) è stato lanciato per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia e se ne prevedeva la fine. Per il secondo evento, invece, non è stato lo stesso: ci riferiamo all’aumento dei tassi di interesse dell’Eurozona[2]. A Francoforte è stata presa la decisione di alzarli di 25 punti base, per il momento, in quanto altri rialzi sono previsti per settembre. Questa è la conseguenza dell’alto tasso di inflazione che, contrariamente alle previsioni iniziali, si sta rivelando meno temporaneo di quanto inizialmente si pensasse.
Che tipo di effetti scateneranno questi eventi sull’economia europea? Quali tendenze possiamo aspettarci nei prossimi mesi?
Difficile da dire. Proviamo a riassumere alcuni punti.

  • Il lungo periodo di crescita economica generale, bassi tassi di interesse e stabilità dei prezzi, seguito alle crisi del 2008 e del 2011, è terminato.
  • L’ipotesi, sostenuta per molti mesi sia dalla Federal Reserve statunitense che dalla Banca centrale europea, che l’inflazione post-pandemia fosse temporanea[3] si è rivelata errata.
  • In Europa, il recupero dell’economia dopo la caduta causata dal Coronavirus sembra essere quasi annullato (o comunque fortemente ridotto) dalle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina. Le caute previsioni di primavera della Commissione Europea[4] saranno probabilmente riviste in autunno.
  • A differenza degli USA, dove la FED sta agendo su significativi rialzi dei tassi di interesse, nei paesi europei appare più difficile contrastare l’aumento dei prezzi con la sola politica monetaria: l’inflazione europea non è principalmente causata da un eccesso di domanda, ma è generata dal lato dei costi (incrementi eccezionali dei costi energetici e dei prodotti alimentari). È quindi esogena, nel senso che è prodotta da intoppi nelle catene di approvvigionamento, guerra in Ucraina, lockdown in Cina. Difficile combatterlo (solo) facendo leva sui tassi di interesse.
  • La via da seguire era comunque obbligata alla BCE. Impensabile rimanere inattivi di fronte a un’inflazione media dell’eurozona dell’8%[5].
  • L’interruzione della politica monetaria espansiva presenta tuttavia dei rischi. Lo spettro si chiama recessione. La banca centrale europea ha pochissimi strumenti per controllare l’inflazione senza frenare consumi e investimenti: fare entrambe le cose contemporaneamente è del tutto impossibile, poiché ciò richiederebbe azioni fiscali che sono ovviamente fuori dal mandato di Francoforte.
  • La posizione di Christine Lagarde sembra essere in linea con il pensiero “ortodosso” tedesco, nel senso che pensa che non spetti alle autorità monetarie contenere gli spread. E questo risulta corretto, tra l’altro, dato che ciò non rientra nei compiti della BCE (sono gli Stati che dovrebbero fare qualcosa, migliorando i loro fondamentali dell’economia e avviando adeguate politiche fiscali). Tuttavia, le grandi differenze nei rendimenti obbligazionari tra gli Stati membri dell’area dell’euro mettono a repentaglio l’esistenza stessa della moneta unica e la protezione dell’euro rientra sicuramente nel mandato della BCE!
  • Si rende quindi necessaria, oltre che inevitabile, una qualche forma di contenimento del cosiddetto rischio di frammentazione (un modo gentile di chiamare lo spread). Il contenimento si realizzerà probabilmente attraverso acquisti differenziati di titoli di debito solo di alcuni paesi (quelli i cui spread salgono troppo in alto), a meno che non vengano inventati nuovi strumenti.
  • È noto che la costruzione dell’area dell’euro risente della mancanza del “secondo pilastro”, ovvero la politica fiscale (che è rimasta di competenza nazionale), accanto alla politica monetaria. Una riforma globale della governance economica europea è più che necessaria. Una capacità fiscale centralizzata sarebbe di fondamentale importanza, almeno in alcuni settori e per fornire alcuni beni pubblici (salute, infrastrutture di trasporto, investimenti per la transizione ecologica, ecc.). Pertanto, è consigliabile un nuovo debito comune, sull’esempio di quanto fatto con SURE e NextGenerationEU.
  • La comunicazione puntuale e chiara è uno strumento chiave nell’economia moderna, in particolare per i banchieri centrali. Non stupisce che alcune frasi pronunciate da Lagarde (annuncio di strumenti anti-frammentazione e contestuale ammissione che non c’è ancora un piano operativo) abbiano provocato volatilità sui mercati. La mancanza di azione e le dichiarazioni poco chiare possono indurre gli operatori di mercato a pensare di poter guadagnare soldi giocando sui differenziali di rischio paese.

I tempi facili, se mai sono esistiti, sono finiti per i banchieri centrali.


Note 

[1] Conferenza stampa di Christine Lagarde, Presidentessa della BCE, e Louis De Guindos, Vicepresidente della BCE, Amsterdam, 9 giugno 2022.
[2] Decisione di politica monetaria della BCE, 9 giugno 2022.
[3] P. Pellegrini, Rising inflation and European monetary policy, Opinio Juris, 6 Ottobre 2021.
[4] Commissione europea, Spring 2022 Economic Forecast, 16 maggio 2022.
[5] Fonte: Eurostat.


Foto copertina: Christine Madeleine Odette Lagarde Presidente della Banca centrale europea