Dalla dissoluzione dell’URSS del 1991, sotto la guida di Nursultan Nazarbaev, il Kazakistan ha adottato una strategia di politica estera multivettoriale, che si sostanzia nell’instaurazione di relazioni amichevoli e non-ideologiche con gli altri paesi. Questa linea ha portato nel tempo all’espansione della cooperazione con Pechino, Mosca e altri attori occidentali (Stati Uniti, UE e NATO) sul piano economico e sul piano politico. Restano tuttavia una serie di problemi irrisolti, tra cui la dipendenza dell’economia kazaka dal petrolio e forti dubbi di fronte al cambio della leadership.
La Perestrojka e la Glasnost’: le gocce che hanno fatto traboccare il vaso

Dagli anni ’80 inizia a diffondersi in Kazakistan un certo risentimento. Il paese, che fino a quel momento aveva accettato il mantra dell’ “amicizia tra i popoli” (druzhba narodov), cominciò a non sopportare più l’idea di essere relegato ai margini della sua stessa società. Basti pensare che solo il 22% della popolazione dell’allora capitale Alma-Ata era di etnia kazaka, poiché a molti kazaki veniva impedito di risiedervi per “motivi burocratici”.
Con l’ascesa al potere di Gorbačëv, i kazaki confidavano nell’inizio di un periodo di rinnovamento in nome della Perestrojka (ricostruzione) e Glasnost’ (apertura e dialogo), ma la situazione sfuggì presto di mano al Cremlino.
Con una decisione del 16 dicembre 1986, Dinmuchamed Achmedovič Kunaev venne sollevato dal suo incarico di Segretario del Partito Comunista del Kazakistan. Al suo posto fu nominato il russo Gennadij Vasil’evič Kolbin, che non aveva mai operato in Kazakistan fino a quel momento. Ciò provocò una protesta passata alla storia col nome di Zheltoksan (dicembre), in cui molti giovani manifestanti chiesero di essere ascoltati proprio in nome della Glasnost’. Quando la protesta cominciò a diffondersi in altre città del Kazakistan, oltre che nella capitale di Alma-Ata, le autorità sovietiche decisero di lanciare l’Operazione Metel. Furono dispiegati 8.000 soldati armati di manganelli e vanghe e utilizzati cani e cannoni ad acqua allo scopo di disperdere la folla. Molti dei manifestanti furono arrestati ed etichettati come “nazionalisti” in grado di mettere in pericolo “l’amicizia tra i popoli”.
Alcuni di essi furono poi accusati di gravi reati (circa 900 persone), espulsi dalle università o licenziati dal loro lavoro (circa 1.400 persone). La leadership sovietica provò in vari modi ad insabbiare quanto accaduto, ma il ricordo dello Zheltoksan resta ancora vivido nella memoria dei kazaki, che celebrano questa ricorrenza ogni anno come una tappa cruciale della loro indipendenza. Il Cremlino prese atto della volontà dei kazaki solo nel 1989, anno in cui nominò Nursultan Nazarbaev Segretario del Partito Comunista del Kazakistan. Dopo il Putsch di agosto, Nazarbaev emanò un decreto unilaterale con cui dispose la chiusura definitiva del poligono di Semipalatinsk e avviò un programma di bonifica e smaltimento delle scorie radioattive, realizzato successivamente con l’aiuto della Russia e degli Stati Uniti. Il 16 dicembre del 1991 il Kazakistan si dichiara ufficialmente indipendente dall’Unione Sovietica.
A distanza di trent’anni dalla dissoluzione sovietica, Nursultan Nazarbaev continua a guidare il paese, anche se più recentemente nella carica di Presidente del Consiglio di Sicurezza (2019).
Per capire l’influenza esercitata della figura di Nazarbaev nel paese, basti pensare che in occasione del termine del suo mandato di Presidente della Repubblica, la capitale “Astana” è stata rinominata “Nur-Sultan” in suo onore.
La geografia e la politica estera “multivettoriale”
Il Kazakistan vanta una superficie di ben 2,7 milioni di km2 ed è localizzato nel cuore dell’Asia centrale. Confina a Nord con la Russia, a Est con la Cina, a Sud con il Turkmenistan, l’Uzbekistan e il Kirghizistan ed è bagnato dal Mar Caspio ad Ovest. Oltre ad essere il nono paese per estensione al mondo (e il secondo per estensione tra le Repubbliche dell’ex URSS), è anche il paese senza sbocco sugli oceani più grande al mondo. La sua particolare geografia lo eleva al rango di paese intercontinentale, nonché crocevia delle maggiori rotte commerciali euro-asiatiche.
Per via della sua natura landlocked, che lo rende dipendente dall’economia dei paesi limitrofi a causa dell’assenza di sbocchi marittimi, il Kazakistan ha deciso di adottare una politica estera multivettoriale, già contemplata nel primo documento sul concetto di politica estera Nazionale del 1992 . Tale strategia si fonda su un approccio pragmatico e si sostanzia nell’instaurazione di relazioni cooperative, non ideologiche e non preferenziali con altri paesi, soprattutto con Cina e Russia. Oltre al mantenimento di relazioni amichevoli, il Kazakistan è particolarmente interessato alla pace e alla stabilità economica dei paesi con cui confina. Si è mostrato pertanto assai favorevole nell’assecondare varie iniziative regionali di natura economica e securitaria. Al fine di differenziare le sue rotte commerciali ha infatti aderito al progetto della New Silk Road (Nuova Via della Seta) promosso dalla Cina e l’AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank) per connettere logisticamente l’Asia e l’Europa. Secondo i cinesi questa nuova rotta sarebbe in grado di portare sviluppo in tutti paesi aderenti. Come afferma Maxat Kassen, Il Kazakistan ha elaborato una propria exit strategy, una via d’uscita per far fronte ai suoi limiti geografici, che si sostanzia in due elementi: la politica estera multivettoriale e un ruolo proattivo nei processi di integrazione regionale e che ha tutte le carte in regola per diventare un ponte logistico intercontinentale. Al contempo è necessario fare alcune considerazioni riguardo la partnership con il Cremlino. Più volte il Kazakistan si è ritrovato in difficoltà a causa del rapporto simbiotico tra la sua economia e quella russa. Un esempio lampante è dato dalle sanzioni occidentali a carico della Russia in seguito alla crisi del Donbass del 2014, che hanno colpito inevitabilmente anche l’economia kazaka. A ciò va aggiunta la recente decisione russa di chiudere la propria economia ai prodotti agricoli provenienti dall’estero, che ha determinato un aumento dei prezzi in entrambi paesi e un conseguente impatto negativo sui consumatori. Il rapporto con la Cina sembra essere invece più fruttuoso alla luce dei significativi investimenti cinesi in numerosi settori del paese (petrolifero, chimico, agricolo, trasporti e gas).
Si stima che gli scambi commerciali tra Pechino e Nur-Sultan per il 2016 abbiano raggiunto un valore complessivo superiore agli 8 bilioni di dollari. Un elemento che restituisce l’importanza del legame con la Cina è che il mandarino, dopo l’inglese, è la lingua più studiata tra i giovani kazaki.
L’open door policy del Kazakistan si è rivolta anche ad attori occidentali, quali l’UE e gli Stati Uniti, con cui ha stretto una partnership strategica e culturale. Nel 2016 gli Stati Uniti e il Kazakistan hanno reciprocamente introdotto un nuovo formato della Visa card dalla durata complessiva di 10 anni, oltre che un piano per garantire voli non-stop tra Nur-Sultan e le maggiori città americane. Gli interessi americani in Asia centrale hanno poi portato all’instaurazione di una nuova piattaforma di dialogo denominata “C5+1”, che include i paesi senza sbocco sul mare della regione (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tajikistan, Kirghizistan) allo scopo di affrontare tutti i problemi derivanti dalla condizione landlocked. Il Kazakistan collabora poi attivamente con la NATO attraverso la partecipazione ad esercitazioni militari e programmi (Partnership for Peace Program, Individual Partnership Action Plan e l’Euro-Atlantic Partnership Council). Non va inoltre dimenticato che il contingente di peacekeeping KAZBAT è l’unico in Asia centrale ad aver ottenuto lo status di interoperabilità con la NATO.
Si può quindi affermare che le direzioni della strategia multivettoriale siano tre: occidentale (Stati Uniti e UE), asiatica (Cina) e post-sovietica (Russia, Bielorussia, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan e Kirghizistan). Ad oggi la strategia di Nazarbaev sembra aver portato effetti estremamente positivi dal punto di vista politico, rappresentando l’unica strada percorribile per la crescita del paese alla luce dei suoi ineludibili limiti geografici.
Gli effetti della politica estera multivettoriale nei rapporti tra Cina e Russia
La politica estera multivettoriale kazaka sembra essere andata anche oltre gli obiettivi prefissati, fino ad influenzare le relazioni sino-russe. Il Kazakistan si è elevato così al ruolo di stabilizzatore regionale dei rapporti tra Mosca e Pechino, grazie a delle concessioni tattiche ai russi e all’espansione della cooperazione con i cinesi. Con la dissoluzione dell’URSS, la Russia è entrata in un periodo di profonda crisi economica che le ha impedito di riguadagnare influenza nello spazio post-sovietico. È solo dopo l’elezione di Vladimir Putin che la Russia espande la sua cooperazione con i paesi dell’Asia centrale e contemporaneamente ottiene l’accesso alle risorse naturali e il controllo sulle rotte di trasporto energetiche, che le permettono di rivendere petrolio e gas asiatici a prezzi bassi in Europa. Le aspirazioni della Russia vengono però smorzate in seguito dalla rapida crescita cinese. La Cina comincia ad investire sempre più in Asia centrale nei settori del gas e del petrolio, fino a diventare nel 2007 il maggior partner commerciale del Kazakistan, mettendo in crisi il monopolio russo dell’energia. Nonostante questo elemento di competizione, Mosca e Pechino firmano nel 2001 un accordo di buon vicinato e cooperazione in risposta all’espansione della NATO verso Est. Nello stesso anno nasce la Shanghai Cooperation Organisation (SCO), un’organizzazione regionale con obiettivi economici e securitari, a cui aderiscono inizialmente Russia, Cina, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan. L’avvento della SCO dimostra che, al di là della competizione, Russia e Cina (e i paesi centro-asiatici) sembrano condividere le stesse preoccupazioni in tema di sicurezza.
Nur-Sultan, per migliorare i suoi rapporti con Mosca, ha garantito alle imprese russe un ampio controllo sulle esportazioni di petrolio kazake e corposi benefici derivanti dallo sviluppo dei settori del petrolio e del gas. Per capire le dimensioni di questo fenomeno basta considerare che i paesi europei importano i ¾ del petrolio greggio kazako, che però dipende inevitabilmente dagli oleodotti di trasferimento controllati dai russi.
Il Kazakistan ha poi ampliato la sua cooperazione economica con la Cina aderendo al progetto della New Silk Road, che ha individuato l’interporto kazako di Khorgos come uno dei principali hub di collegamento ferroviario con l’Europa.
Dal lato della cooperazione militare, vengono portate avanti operazioni congiunte con la Russia nell’ambito del CSTO (Collective Security Treaty Organization) e si è già annunciata la disponibilità a collaborare con la Cina, anche alla luce della nascita della SCO. Sempre riguardo il settore energetico, nel 1997 un’impresa petrolifera controllata dal governo cinese (Chinese National Petroleum Corporation) si aggiudicò la partecipazione ad un progetto petrolifero nella città di Aktobe. Furono in seguito invitate nell’affare altre imprese cinesi e russe. Il Kazakistan utilizza quindi una strategy of inclusion tramite cui non permette a nessun paese di ottenere per intero i diritti sul settore energetico kazako. Questa linea sembra aver portato a degli ottimi risultati, riuscendo ad attenuare considerevolmente le preoccupazioni russe riguardo la progressiva erosione del suo monopolio energetico. Mediante concessioni tattiche Nazarbaev è riuscito poi a far leva sui grandi partner per spronarli alla competizione, aggirando così la loro supremazia. Un esempio di tactical concession è relativo ad una disputa sul Mar Caspio, in cui il Kazakistan concesse informalmente alla Russia di stabilire un controllo coordinato dell’area, invece di dividerla in vari settori controllati dai singoli paesi rivieraschi. Gli interessi di alcune imprese Occidentali costrinsero però la Russia a fare marcia indietro. Si giunse infine ad un compromesso con la conclusione di un accordo nel 2018 che divideva l’area in varie zone territoriali e impediva agli stati non-rivieraschi di schierare navi militari nelle acque del Caspio.
In definitiva, l’approccio kazako sembra essere riuscito a mitigare significativamente le tensioni tra Russia e Cina, senza comunque perdere di vista gli interessi nazionali.
L’economia
Con riferimento all’economia kazaka, dal 1991 in poi sono individuabili tre macro-fasi . Nella prima fase, che va dal 1990 al 1997, si registra un trend negativo. In questo periodo il paese è impegnato nello smantellamento dell’economia pianificata e nel passaggio ad un’economia di mercato. Si assiste ad una massiccia campagna di privatizzazioni e deregolamentazione. Vengono varate varie riforme per consentire la transizione: liberalizzazione dei prezzi (1992), liberalizzazione del commercio interno e internazionale (1992), liberalizzazione finanziaria (1992), introduzione della valuta nazionale (1993), indipendenza della Banca Centrale (1993-1995), controlli sulla concessione di credito al settore pubblico (1993-1994), riforme legali sulla proprietà e sul commercio e altre. Nella prima metà degli anni ’90 c’è una contrazione del PIL del 37%, mentre negli anni successivi l’economia resta piatta.
Si registra inoltre un aumento del tasso di disoccupazione e una condizione di iperinflazione.
La seconda fase (2000-2007) vede un’inversione di questa tendenza, con tassi di crescita annuali del 10%. Ciò si deve soprattutto agli effetti benefici delle riforme degli anni ‘90, oltre che ad un cospicuo aumento del prezzo del petrolio. L’ultima fase (dal 2008 in avanti) è caratterizzata da un’improvvisa diminuzione del tasso di crescita a causa dell’avvento della crisi economico-finanziaria globale del 2008.
L’economia kazaka è stata particolarmente colpita da tale avvenimento, a causa della sua dipendenza strutturale dal petrolio e del gas.
In seguito, dopo una breve ripresa nel 2010, ripiomba in un periodo di stagnazione. Secondo Azretbregenova e Syzdykova l’economia kazaka necessita dello sviluppo di settori non-petroliferi, allo scopo di ridurre la dipendenza dal petrolio. Il settore degli idrocarburi, insieme a quello dei prodotti chimici, dei metalli e del gas rappresenta circa il 90% del totale delle esportazioni del paese. A ciò va aggiunto che tali risorse non sono infinite e che bisognerebbe cominciare a programmare il loro sfruttamento in modo razionale. Dal 2014 il PIL è in declino a causa del crollo dei prezzi del petrolio e il tenge kazako si svaluta del 20% rispetto al dollaro. È pertanto auspicabile un processo di diversificazione, che porti alla valorizzazione di altri settori, in modo da mitigare la volatilità e l’instabilità dei proventi derivanti dall’export.
Il ruolo proattivo nei processi d’integrazione regionale
Oltre ad intrattenere rapporti con singoli paesi, il Kazakistan ha aderito a numerose organizzazioni multilaterali allo scopo di aumentare la sua influenza sul piano regionale. In primo luogo, è membro dell’Unione doganale eurasiatica (EACU) insieme alla Russia, la Bielorussia, l’Armenia e il Kirghizistan. L’organizzazione ha costituito un unico spazio economico integrato, incoraggiando la libera circolazione di beni e servizi nel territorio dei paesi membri. I paesi stanno inoltre lavorando all’introduzione di una valuta comune e di nuove misure per aumentare l’integrazione. Sempre nel contesto dello spazio post-sovietico, il Kazakistan ha aderito alla Comunità degli Stati Indipendenti (CIS) e all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). È poi un membro attivo dell’OSCE, per cui ha svolto il ruolo di presidenza nel 2010 e ospitato a Nur-Sultan il consueto summit annuale, in cui ha voluto rappresentare gli interessi dei paesi senza sbocchi sul mare. Ha avuto un ruolo primario nel processo di formazione della Conference on Interaction and Confidence Building Measures in Asia (CICA), un forum intergovernativo per la promozione di pace, sicurezza e stabilità in Asia. All’interno di questa piattaforma di dialogo il Kazakistan è ampiamente considerato un paese mediatore. Non a caso gli organi amministrativi e la segreteria della CICA hanno sede a Nur-Sultan. Nel 2017 firma un accordo con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) per la creazione di un deposito internazionale di uranio a basso arricchimento. Nell’ottica di promuovere la stabilità regionale, dal 2011 ha cominciato a fornire aiuti alimentari all’Afghanistan e borse di studio per gli studenti afghani.
È poi impegnato nell’assistenza di paesi in via di sviluppo come il Kirghizistan, il Tagikistan e la Georgia tramite l’organizzazione umanitaria KazAID.
La Shanghai Cooperation Organisation (SCO)
Nel 2001 fonda insieme a Russia, Cina, Kirghizistan, Uzbekistan a Tagikistan la Shanghai Cooperation Organisation (SCO). L’organizzazione promuove la sicurezza e la cooperazione economica sul piano regionale in nome del cosiddetto Shanghai spirit , un insieme di principi-guida: non allineamento, apertura al resto del mondo, fiducia e benefici reciproci, uguaglianza, concertazione, rispetto per la diversità culturale e sviluppo congiunto.
La SCO nasce inizialmente come Shanghai five (1996) da un’iniziativa sino-russa e ha lo scopo di contrastare l’influenza di Stati Uniti e NATO; la sua formazione è quindi vissuta con particolare apprensione in Occidente. In seguito alla conclusione della Dichiarazione di Tashkent del 2005 si dota di un organo di presidenza e di una Struttura Regionale per l’Antiterrorismo (RATS), che ribadisce la primazia del target della sicurezza. Fino ad ora non sembra però aver raggiunto significativi progressi, a causa della mancanza di volontà degli stati membri a cedere autorità all’organizzazione e per un limitato budget economico a disposizione. In aggiunta non è riuscita a creare un senso di comunità e di appartenenza tra le popolazioni degli stati aderenti, essendo basata piuttosto sui legami personali che intercorrono tra le leadership delle Repubbliche centro-asiatiche. In ultima analisi “sembra mancare di una visione strategica di lungo periodo. La SCO si limita infatti a operare in risposta alle criticità che emergono nel sistema internazionale in determinati momenti, legando le politiche dell’organizzazione a un modello di policy-making dettato dalla contingenza”.
Conclusioni
Le raffinate tecniche diplomatiche di Nazarbaev hanno permesso al Kazakistan di guadagnarsi un posto di tutto rispetto nell’arena internazionale. La solida partnership con Mosca e Pechino gli ha consentito di mitigare (in parte) gli effetti negativi derivanti dalla mancanza di uno sbocco sui mari internazionali.
Inoltre, il ruolo di primo piano nei processi di integrazione regionale e la diversificazione dei canali diplomatici, sembrano averlo consacrato come uno dei principali attori asiatici.
Restano comunque tutta una serie di problemi irrisolti, di cui uno dei più pressanti è la dipendenza dal petrolio. Ad oggi, la gestione Nazarbaev non si è rivelata in grado di innescare lo sviluppo di altri settori dell’economia, costringendo il paese ad essere soggetto alle continue fluttuazioni dei prezzi del petrolio.
Resta inoltre l’incognita riguardo il cambio di leadership, poiché l’immagine del paese è inestricabilmente legata a quella di Nazarbaev.
Per cui sorge spontaneo chiedersi: quale sarà il futuro del paese con una guida diversa da quella di Nazarbaev?
Foto copertina: Discorso sullo stato della nazione del presidente della Repubblica del Kazakistan Nursultan Nazarbayev, 5 ottobre 2018.Akorda