Intervista con Lorenzo Termine autore di Tigri con le ali.
La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare, sull’evoluzione del pensiero strategico cinese nel decennio succeduto alla morte del Grande Timoniere

L’evoluzione della politica di difesa e nucleare cinese all’indomani della morte di Mao Zedong rappresenta il filo conduttore di Tigri con le ali, il saggio che Lorenzo Termine[1] ha recentemente pubblicato con Aracne editrice. Un’opera che pur ponendo in evidenza gli aspetti politologici della politica estera post-maoista, non tralascia la ricostruzione storica degli avvenimenti che hanno condotto “l’impero del centro” verso una costante evoluzione strategica.
Anche per l’esigenza di comprendere le complesse dinamiche che stanno caratterizzando la regione dell’Indo-Pacifico, questo saggio ha senza dubbio il merito di approfondire in maniera originale le ragioni della rilevanza politica e militare della Repubblica popolare cinese, consentendo di comprendere come alcuni elementi di politica interna ed internazionale ne abbiano influenzato le relazioni internazionali e di difesa.
In una prima fase Mao non temeva le armi nucleari dell’occidente, sostenendo che l’esercito popolare avrebbe potuto comunque resistere anche ad un simile attacco. Quando e perché cambiò questo atteggiamento?
Il punto di svolta del pensiero maoista – e quindi della postura strategica cinese – nei confronti dell’arma nucleare è da ricerca nella serie di crisi che vide contrapporsi Pechino e gli Stati Uniti durante gli anni Cinquanta. In primis, la guerra di Corea e successivamente la prima e la seconda crisi dello stretto di Taiwan del 1954-5 e del 1958. Il trauma vissuto dalla leadership comunista cinese durante queste fasi, che videro anche il Presidente americano Eisenhower vagliare l’ipotesi – come svelato di recente in un report su alcuni documenti precedentemente classificati dal Pentagono[2] – di uno primo strike nucleare contro la Cina, spinse Mao a concludere che la bomba modificava l’equilibrio delle forze attraverso l’effetto della deterrenza, in quello che definì il “ricatto nucleare”. Scrivendo durante la guerra di Corea, il “Grande timoniere” attestava l’impotenza cinese di fronte al nemico americano per cui “se gli USA avessero colpito la Cina con bombe atomiche, i cinesi non avrebbero potuto fare nulla se non accettare il fatto”. In conclusione, la Cina “doveva ottenere questa cosa” se non voleva “essere minacciata dagli altri”.
A moderare le preoccupazioni di Mao durante gli anni Cinquanta almeno c’era l’egida nucleare sovietica che sembrava salda nel garantire deterrenza nucleare nei confronti del comune nemico americano. Tuttavia, una serie di eventi alla fine degli anni Cinquanta e inizio degli anni Sessanta convinsero il Grande timoniere che Mosca non era più un alleato affidabile. La conclusione della partnership nucleare sino-sovietica, il processo di destalinizzazione – che venne vissuto dai cinesi come un vero e proprio revisionismo ideologico – e l’avvio di un processo di détente russo-americana dopo la crisi di Cuba convinsero la dirigenza maoista che l’obiettivo dell’arma nucleare doveva essere perseguito a tutti i costi.
Alla morte di Mao, Deng Xiaoping e la sua fazione intraprendono una nuova politica estera. Ce ne può definire i tratti salienti?
Nel caos generato dalla morte di Mao, la fazione denghista riuscì gradualmente a garantirsi l’egemonia almeno sul processo decisionale di politica estera. L’orientamento globale propugnato da Deng da una parte non sminuiva certamente la minaccia di lungo periodo rappresentata dal Cremlino – che intanto era diventato la principale preoccupazione strategica per la RPC; dall’altra, però, Deng non credeva nella prospettiva di una guerra imminente e di un attacco a sorpresa ad opera dell’Unione Sovietica. Già dal 1975, l’ex vice-premier aveva affermato che la guerra poteva essere ritardata. Pertanto, la spesa militare doveva essere adeguatamente ponderata e bisognava dare priorità ad altri obiettivi, primo tra tutti lo sviluppo economico.
Nella visione di Deng, la serie di iniziative diplomatiche di cui la sua fazione si era fatta promotrice a partire dal 1978 aveva aperto una nuova fase delle relazioni internazionali e migliorato la posizione della Cina sullo scacchiere globale. Dal punto di vista dei suoi riformisti, la firma del trattato di amicizia con il Giappone nel 1978 e, ancora di più, la normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti nel 1979 avevano giocato un ruolo sostanziale nel dissuadere i sovietici dal condurre una ritorsione contro Pechino. La possibilità di contenere eventuali mosse aggressive da parte del Cremlino confermava quello che Deng aveva suggerito dal 1975, ovvero che una guerra “esistenziale” potesse essere ritardata e che l’equilibrio internazionale fornisse alla Cina un’importante opportunità di pace e sviluppo. Nei corridoi del Zhongnanhai, la sede del PCC e del Governo cinese adiacente alla Città Proibita, l’opinione condivisa era che la guerra appena conclusa avesse “indebolito Hanoi, avvertito l’Unione Sovietica ed educato l’Occidente”.
Nel 1982 la Cina adotta una nuova costituzione che ne cambia la postura anche a livello internazionale. Quali gli effetti sulla politica di difesa e nucleare?
Tra il 1976 e il 1985, le fondamenta stesse della politica estera e di difesa della RPC vennero scosse da un processo di revisione. Dall’allineamento con gli Stati Uniti per fronteggiare il comune nemico sovietico, Pechino passò alla “politica estera indipendente per la pace” nel 1982 e, infine, al “binario dello sviluppo pacifico” nella primavera del 1985. Senza entrare troppo nel dettaglio e lasciando al volume un approfondimento ben più dettagliato, possiamo dire che in questo contesto la politica nucleare denghista mostra sia elementi di continuità sia di discontinuità con l’era maoista.
Dopo il 1980, la politica nucleare cinese fu il prodotto delle impellenti esigenze economiche propugnate dalla fazione denghista che aveva fatto dello sviluppo nazionale la massima priorità politica. Pertanto, una postura nucleare coerente con il passato maoista e che prediligeva il second strike, l’occultamento e la mobilità dei vettori dovette apparire come una scelta decisamente più conveniente rispetto all’imbarcarsi in costosi programmi di ricerca e sviluppo di capacità di primo colpo o di difesa da missili balistici nemici. Tuttavia, la stessa esigenza economicistica rese possibili due sviluppi che rappresentano una cesura rispetto al passato maoista. Queste due innovazioni non furono solo tecniche ma anche – e in maniera ancora più interessante – dottrinali.
La leadership di Deng Xiaoping, infatti, si fece promotrice di un approccio pragmatico ed economicistico alle armi nucleari che non mancò di innovare parzialmente la postura atomica della Repubblica popolare cinese. Ciò interviene a sconfessare una parte della letteratura che vede nella postura nucleare di Pechino un dato immutabile e granitico.
In conclusione, il suo saggio rileva alcune discontinuità minori ma interessanti nella politica nucleare cinese. Cosa ci dicono del decision-making cinese in materia strategica?
Le due innovazioni menzionate non furono solo tecniche ma anche, e in maniera ancora più interessante, dottrinali. La leadership di Deng Xiaoping, infatti si fece promotrice di un approccio pragmatico ed economicistico alle armi nucleari che non mancò di innovare parzialmente la postura atomica della Repubblica popolare cinese. Ciò interviene a sconfessare una parte della letteratura che vede nella postura nucleare di Pechino un dato immutabile e granitico e, ancor di più, contribuisce a ridurre il peso “culturale” nell’analisi delle scelte strategiche di Pechino. La ricerca, infatti, cerca di dimostrare come la leadership denghista, mantenendo ovviamente una postura fortemente influenzata dall’ideologia comunista, fu anche in grado di valutare razionalmente il contesto strategico internazionale nonché di pesare le decisioni alla luce del conflitto tra le fazioni che scuoteva il Partito. Non fu, quindi, solo il peso culturale o ideologico a dare forma alla politica nucleare cinese dopo la morte di Mao.
Note
[1] Dottorando in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Sapienza Università di Roma e ricercatore del Centro Studi Geopolitica.info per cui coordina le attività dell’area Cina e Indo-Pacifico. [2]https://www.nytimes.com/2021/05/22/us/politics/nuclear-war-risk-1958-us-china.html
Foto copertina: La Cina promuoverà ulteriormente la cooperazione internazionale sull’uso pacifico dell’energia nucleare, condividendo le tecnologie del suo nuovo reattore di terza generazione