Mentre centinaia di persone si sono radunate per assistere al corteo funebre, le forze dell’ordine israeliane hanno aggredito gli uomini che trasportavano la bara della reporter Shireen Abu Akleh, facendola quasi cadere. Il video dell’intervento della polizia ha fatto il giro del mondo, suscitando critiche e condanne sia in Israele che altrove.
L’aggressione è avvenuta fuori da un ospedale a Gerusalemme est, e le tensioni sono sorte tra i palestinesi e gli agenti di polizia israeliana dopo che i palestinesi hanno iniziato a sventolare bandiere e cantare slogan nazionalisti.
Gerusalemme est è per lo più popolata da palestinesi e la maggior parte del mondo la considera un territorio occupato. Tuttavia Israele ha annesso l’area considerandola parte della sua capitale e lì spesso impedisce espressioni di nazionalismo palestinese.
Dopo aver avvertito la folla di smettere di cantare, senza successo, e dopo che tre bottiglie di plastica sono state lanciate in direzione della polizia, gli agenti si sono diretti verso i civili, come mostrato dal video diventato virale. Gli ufficiali hanno preso a calci e picchiato gli uomini che trasportavano la bara, costringendoli a retrocedere. Mentre venivano colpiti, i portatori della bara hanno perso brevemente il controllo di un’estremità della bara, che è caduta improvvisamente a terra.
La polizia israeliana in seguito ha giustificato le proprie azioni affermando che la bara doveva essere portata dal carro funebre per volontà della stessa famiglia della giornalista, ma che è stata costretta ad intervenire perché i presenti al corteo si sarebbero poi rifiutati, trasportando il feretro a piedi.
Dopo l’attacco, la sua bara è stata infine collocata nel carro funebre e portata all’ingresso della Città Vecchia di Gerusalemme. Migliaia di palestinesi si sono poi recati alla Cattedrale dell’Annunciazione della Vergine, dove si sono svolti i funerali.
E’ stato un momento di commiato che è precipitato nel caos, aggravando l’umiliazione e il dolore che, per molti palestinesi, la morte di Abu Akleh rappresenta.
In vita Shireen, 51 anni, acclamata emittente palestinese-americana, è stata una delle principali portavoci del conflitto israelo-palestinese. Una generazione è cresciuta guardando l’inviata di Al Jazeera riportare le notizie al pubblico di lingua araba in tutto il mondo.
Si è occupata di questo conflitto per più di due decenni, prima facendosi un nome come giornalista durante la rivolta palestinese nota come la seconda intifada, che ha sconvolto Israele e i territori occupati dal 2000 al 2005. Inizialmente aveva studiato per diventare architetto, ma alla fine ha scelto il giornalismo “per essere vicina alla gente”, occupandosi di violazioni dei diritti umani nei territori occupati.
La giornalista è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco mercoledì mattina presto, durante un raid israeliano a Jenin, una città nel nord della Cisgiordania dove di recente erano avvenuti degli scontri. Testimoni e funzionari palestinesi hanno detto che è stata colpita da soldati israeliani, mentre i funzionari israeliani ipotizzano che potrebbe essere stata colpita dal fuoco palestinese.
In merito all’attacco durante il corteo funerario, il ministro della cooperazione regionale israeliana, Esawi Frej, uno dei primi arabi a servire come ministero israeliano, ha dichiarato su Twitter che le forze di polizia hanno “profanato” la memoria e il funerale di Shireen Abu Akleh, aggiungendo che “La polizia ha mostrato zero rispetto per le persone in lutto e zero comprensione del suo ruolo di organizzazione responsabile del mantenimento dell’ordine”.
Il pubblico ministero dell’Autorità Palestinese, in un rapporto pubblicato venerdì sera, ha concluso che la giornalista è stata uccisa deliberatamente dalle forze israeliane. Essi hanno affermato di aver basato le loro scoperte sull’autopsia di Shireen Abu Akleh, su dei segni di proiettili nel luogo dove è stata uccisa e sulle interviste ai testimoni, incluso un altro giornalista di Al Jazeera, anch’egli colpito ma sopravvissuto.
L’esercito israeliano ha rilasciato le proprie conclusioni affermando che “non è possibile determinare inequivocabilmente la fonte degli spari che hanno colpito e ucciso Shireen Abu Akleh” e che probabilmente avrebbe bisogno di valutare il proiettile che l’ha uccisa per trarre una conclusione più certa.
L’Autorità Palestinese è in possesso del proiettile e ha rifiutato le richieste israeliane sia di valutarlo in un laboratorio israeliano che di condurre un’indagine congiunta, e ha comunicato l’intenzione di portare il caso davanti alla Corte Penale Internazionale.
Lo scontro dello scorso venerdì 13 maggio si inserisce in un periodo di due mesi molto tesi e turbolenti che ha visto 19 israeliani e stranieri uccisi in cinque distinti attacchi, più di 30 palestinesi uccisi in Cisgiordania, e i recenti scontri nei luoghi sacri di Gerusalemme durante le ultime festività religiose.
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Foto copertina: Scene di violenza hanno rovinato il funerale della giornalista americana palestinese uccisa Shireen Abu Akleh