Le organizzazioni criminali nigeriane e il controllo del traffico verso l’Europa.


È una sera di inizio estate. B. È venuta giù al primo piano della struttura per fare due chiacchiere con A., un’altra ospite, al nono mese di gravidanza. Mi attardo con loro in giardino a giocare un po’ con le loro bambine e ad assicurarmi che A. stia bene dato che prima lamentava dolori alla pancia e temo che si avvicini il momento di chiamare un’ambulanza per andare in ospedale. B. ride e mi rassicura: “non ti preoccupare”, mi dice, “ vengo giù io a farla partorire, l’ho fatto con tante donne in Libia”, e procede con dettaglio a raccontarmi del suo parto in un campo libico. Racconti di questo genere sono frequenti nelle strutture che accolgono donne vittime di tratta. Sia B. che A. vengono dalla Nigeria, hanno poco meno di vent’anni e sono il target più rappresentato.

Una storia ricorrente

L’ International Organisation for Migration (IOM) ha raccolto dati comprensivi sulle vittime di trafficking. La maggioranza delle persone trafficate da questa area geografica (53%) subisce sfruttamento lavorativo, mentre il 26% sono destinate al traffico sessuale[1]. Il 51% del totale delle persone trafficate da questa regione sono minorenni[2]. E’ la storia di J. (che ho sentito ripetere da tante altre). A 16 anni viene approcciata da una madame che le promette di portarla in Europa per farla studiare. Arrivata a Parigi viene invece fatta prostituire. Riesce a scappare e a raggiungere l’Italia dove, senza documenti, senza lavoro e incinta, entra nel circuito dell’accoglienza. J., come tante ragazze nigeriane, viene da Benin City, nella regione dell’Edo. L’esperienza di J. non è unica: l’IOM stima che l’80% delle donne nigeriane che arrivano sul territorio italiano siano vittime di traffico per prostituzione. La ragione di questo legame così stretto tra Nigeria e Italia sarebbe l’organizzazione criminale Black Axe. Nata nel 1980 come confraternita studentesca, spesso definita “culto”, negli anni è diventata una vera e propria organizzazione mafiosa che è stata collegata a traffico internazionale di droga, hacking e trafficking[3].
I metodi utilizzati sono diversi: le famiglie “vendono” le proprie figlie all’organizzazione attraverso un sistema di prestiti che difficilmente possono essere restituiti; oppure le ragazze si mettono in contatto direttamente con la rete; un’altra opzione è l’adescamento via social media. Ci sono poi diverse fasi del viaggio verso l’Europa. Prima di partire la ragazza viene messa sotto la protezione di una madame, spesso a sua volta una vittima di tratta che è riuscita ad emanciparsi ed ora assume il ruolo del carnefice[4]. Madame e donna sono legate da una relazione psicologica di sfruttamento molto forte. La caratteristica principale della tratta nigeriana infatti è la componente di abuso psicologico e il fatto che le donne occupano un posto predominante nella gerarchia di sfruttamento. Al contrario, la tratta dall’Est Europa è controllata prevalentemente da uomini e i metodi di disciplina più utilizzati sono l’abuso fisico. Anche i dati dell’IOM confermano questi trend[5].

Il viaggio

Il legame psicologico che si crea tra madame e donna è sancito da un rituale eseguito da un native doctor. Il termine Juju sta a indicare un set di credenze religiose, legate alle regioni dell’Africa occidentale, dove si attribuiscono ad oggetti le proprietà di  portare “bad juju” o “good juju”. Il patto che viene sancito tra madame e donna quasi sempre implica la restituzione del debito che la madame (l’organizzazione dietro di lei) fa per permettere alla donna di compiere il viaggio e per la protezione garantita una volta arrivata. Rompere il patto significa ripercussioni violente sulla persona o sulla famiglia di lei. Spesso le donne in accoglienza che decidono di rompere il contatto con la madame iniziano ad accusare mal di pancia molto forti o dolori inspiegabili, che attribuiscono all’effetto del juju. Il meccanismo psicologico che questo rito innesca fa sì che la dipendenza della persona all’organizzazione non sia solo dettata dalla paura di ripercussioni fisiche , ma anche da una vero e proprio patto spirituale i cui effetti vanno oltre l’agire umano.
La rotta che dalla Nigeria arriva in Italia spesso passa dalla Libia. Ma c’è anche il famoso mercato degli schiavi di Agadez, Niger. Non c’è bisogno di ripetere gli orrori che le persone che affrontano questi viaggi subiscono. Li hanno ampiamente documentati Nello Scavo per Avvenire[6] o Vincenzo Nigro per La Repubblica[7]. Le donne che riescono ad arrivare in Italia devono iniziare a ripagare il debito. Entrare nei circuiti di accoglienza, che dopo i vari Decreti Sicurezza di Salvini sono diventati ancora più sotto-finanziati, non garantisce l’uscita dalla tratta. Anzi, i Decreti Sicurezza hanno ristretto il ventaglio di persone che potevano fare accesso ad essi attraverso l’esclusione dei richiedenti asilo in attesa di decisione. Questo significa che spesso le donne che arrivano non vengono identificate come vittime di tratta e passano attraverso le maglie del sistema con molta facilità. In più, le organizzazioni come Black Axe conoscono bene il sistema Italiano: sanno, perciò, che la presenza di un minore facilita l’accoglienza. Le donne vengono quindi spinte ad avere dei figli, che spesso arrivano in seguito ad abusi, per ottenere un permesso di soggiorno attraverso l’art.31[8]. Inoltre, l’ingresso in strutture d’accoglienza mamma-bambino non significa l’uscita dalla tratta. Spesso le madame vengono accolte in tali strutture, il che permette di allargare le reti di contatto anche a donne che non sono arrivate attraverso la tratta nigeriana e assicura alle organizzazioni di avere un controllo su quelle che sono entrate in accoglienza. Questo significa che spesso le ragazze continuano a prostituirsi anche una volta accolte.
I motivi per cui queste relazioni sono difficili da interrompere sono duplici e interconnessi. Da una parte le organizzazioni criminali nigeriane conoscono bene il territorio e il sistema italiano; dall’altro questo stesso sistema di accoglienza è poco supportato sia in termini economici che pratici. Le cooperative che gestiscono le strutture non possono puntare sul personale perché non possono pagarlo abbastanza, e ciò si ripercuote negativamente sugli impiegati che spesso soffrono burn-out e sovraccarico di responsabilità. A questo si aggiunge la difficoltà di un sistema di servizi sociali territoriali che soffre della stessa carenza di fondi e abbondanza di casi. Spesso le donne lamentano di sentirsi abbandonate, e spesso lo sono davvero. Perché dove lo Stato non arriva, ci pensa la malavita.


Note

[1] IOM, “Infographics, victims from Africa”, https://www.ctdatacollaborative.org/story/victims-africa
[2] Ibid.
[3] Africa Eye, “The ultra violent cult that became a global mafia”, BBC, 13 dicembre 2021, https://www.bbc.co.uk/news/world-africa-59614595
[4] Brusoni, Y., “Le madame: donne complici della tratta nigeriana”, 28 maggio 2021, https://www.antrodichirone.com/index.php/it/2021/05/28/le-madame-donne-complici-della-tratta-nigeriana/
[5] IOM, “Infographics, victims from Africa”, https://www.ctdatacollaborative.org/story/victims-africa
[6] Scavo, N. “Libia, orrore nel campo profughi finanziato anche dall’Europa”, 22 Giugno 2021, Avvenire, https://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=1&sez=120&id=82109
[7] Nigro, V., “Migranti, dal Niger alla Libia viaggio nell’orrore : “Noi africani torturati e ridotti in schiavitù”, 17 maggio 2017, https://www.repubblica.it/esteri/2017/05/17/news/niger_torture-165631470/
[8] Regione Emilia-Romagna, “Ingresso e soggiorno a norma dell’art.31 (assistenza minore)”, https://www.sister-hub.it/adempimenti-amministrativi-e-titoli-di-soggiorno/procedure/ingresso-e-soggiorno-a-norma-dellart-31-assistenza-minore/


Foto copertina: La tratta nigeriana foto