Lo scorso 3 aprile Viktor Orbán viene riconfermato alla guida del paese magiaro. Per comprendere e fare chiarezza sugli aspetti più importanti dell’ascesa di Viktor Orbán e di Fidesz, Emanuel Pietrobon ed Andrea Muratore presentano “La visione di Orbán. Come Fidesz ha cambiato l’Ungheria” (Goware edizioni, 2022)
Domenica 3 aprile 2022 si sono tenute le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale ungherese che hanno riconfermato, con una maggioranza schiacciante, il Primo Ministro uscente Viktor Orbán a capo della coalizione formata da Fidesz e i cristiano-democratici di KDNP[1]. Un’ennesima riconferma per il leader europeo più longevo in carica. Una vittoria che ha lasciato con l’amaro in bocca chi, anche in Italia, sperava in un cambio di rotta di Budapest. Orbán più volte descritto come illiberale, autoritario, identitario e nazionalista con accezione negativa dei termini, filo-russo e nemico delle comunità LGBTQ+.
Viktor Orbán rappresenta quindi una spina nel fianco di Bruxelles, “critica le politiche sociali dell’UE ma trae sommo giovamento dai fondi comunitari; si schiera al fianco dei paesi NATO ma è riluttante ad applicare le sanzioni alla Russia”, Mirko Mussetti descriva così il presidente ungherese nella prefazione del libro. Orbán e Fidesz, due frutti di un albero europeo che fa fatica ad irrobustire le proprie radici negli Stati che facevano parte dell’ex blocco sovietico. Orbán e Fidesz, due fenomeni spesso criticati ma quasi mai seriamente studiati, allora ci hanno pensato due giovanissimi analisti geopolitici Emanuel Pietrobon[2] ed Andrea Muratore[3] con “La visione di Orbán” ad approfondire e fare chiarezza sugli aspetti più importanti dell’ascesa di Viktor Orbán e di Fidesz.
Quali sono i caratteri predominanti dell’ideologia di Fidesz (Magyar Polgári Szövetség)?
“L’ideologia di Fidesz è un insieme complesso ed eterodosso, apparentemente contradditorio e incoerente, di elementi che talora possono essere in scontro tra loro: magiarismo, conservatorismo sociale, cristianesimo democratico, turanismo e panturchismo. Il magiarismo che mira alla rinazionalizzazione delle masse, alla loro ristoricizzazione nell’epoca del post-identitarismo e della fluidità, rimettendo al centro dei curricoli scolastici e della quotidianità il passato ungherese. Il conservatorismo sociale e il cristianesimo democratico come complementi ideali e inscindibili della nazione magiara, i cui membri del resto sono stati figli prediletti della Chiesa nei secoli. Il turanismo che pone l’accento sulle origini ancestrali dei magiari, i cui antenati probabilmente giunsero in Europa dalle steppe dell’Asia centrale. Il panturchismo che mette in evidenza i legami tra le origini degli avi magiari e i loro più stretti parenti, cioè i popoli turchi. In breve: è un’incoerenza, come si diceva, soltanto apparente. Perché l’Ungheria, storia alla mano, è effettivamente stata un ponte tra mondi. Un ruolo che Fidesz aspira a riavere, del quale mira a riappropriarsi, perché funzionale al ritorno dell’Ungheria nella storia – e nell’alveo delle medie potenze. In un certo senso, è una sintesi della complessità e anche delle componenti opportunistiche del fenomeno Orbán.”
Quando nasce il “fenomeno Orbán” e in cosa consiste la sua dottrina? “Orbán nasce una prima volta nel 1989, con il discorso a Piazza degli Eroi che lo certifica come icona liberale antisovietica, e una seconda nel 2010, dopo il ritorno al potere come icona conservatrice. Che rappresenta la concreta manifestazione del suo pensiero. In un celebre discorso del 2014, Viktor Orbán ha esplicitamente mostrato la reale portata del suo disegno proponendo il superamento della democrazia liberale con un nuovo tipo di organizzazione della comunità nazionale, la “democrazia illiberale”, passante proprio per l’istituzionalizzazione di un nuovo baricentro di potere e invitando a “pensare a dei sistemi che non sono democrazie occidentali, non liberali, forse nemmeno democratiche, e che tuttavia rendono le nazioni efficienti. Oggi, le star delle analisi internazionali sono Singapore, Cina, India, Turchia, Russia. […] Una democrazia non è necessariamente liberale”. Questa visione svelava l’ambizione di dotare di una propria soggettività l’Europa centrale, regione enfaticamente definita “diversa dall’Europa occidentale” nell’altrettanto famoso discorso in Transilvania nel 2018, da costruire attorno al rifiuto del multiculturalismo e dell’immigrazione di massa e alla difesa di cristianità, famiglia tradizionale e settori strategici dell’economia. Dunque, la vera dottrina Orbán è quella del secondo tempo al potere, strutturatasi nel tempo mediandosi con gli opportunismi tattici del momento.”.
La politica estera di Viktor Orbán viene definita dai suoi detrattori come “cinica e contraddittoria” mentre dai suoi sostenitori “equilibrata e pragmatica”. Possiamo tracciare le linee guida di come Budapest guarda il mondo?
“Cinismo e contraddizione non sono necessariamente giudizi negativi per una politica estera se un leader ha la forza di sostenerla. Orbán è riuscito a lungo a tenere assieme l’impensabile. Euroscettico foraggiato dai miliardi comunitari, occidentalista legato alla Russia e amico della Cina, “ideologo” dei movimenti sovranisti che arrivati al potere si sono a lui ispirati e hanno fatto operazioni ostili ai propri interessi nazionali pur di soddisfarne i legami (pensiamo al rapporto con la Lega e le politiche migratorie). Orbán è stato cerchiobottista e poliedrico. Anche la condotta tenuta nella guerra russo-ucraina mostra una capacità di unire sagacemente diverse dinamiche.”.
Nel libro si fa riferimento alla “Trianon szindróma” cioè la sindrome del Trianon[4] e la nostalgia dei territori culturalmente appartenenti all’Ungheria ma che oggi fanno parte di altri Stati[5]. Quanto è sentito dagli ungheresi e quanto è credibile il sogno di rinascita neo-imperiale di Orbán sulla falsariga di quello di Erdoğan in Turchia e se vogliamo di Putin in Russia?
“Una rinascita neo-imperiale è difficilmente per una serie di motivi difficilmente sormontabili: la demografia magiara – piccola e in affanno –, la disponibilità economica – nazionalizzare le masse, proiettare potere morbido e finanziare partiti ha un costo – e l’inquadramento dell’Ungheria all’interno dell’UE, che forse è il più grande ostacolo a ogni sogno dai caratteri imperiali. Certo, il vicinato di Budapest non se la passa meglio – stesse problematiche demografiche ed economiche, sebbene più accentuate, ed una caratura internazionale praticamente inesistente –, ma è difficile pensare che sia possibile ottenere risultati più notevoli di quelli conseguiti negli ultimi anni. A che pro tentare di sottrarre la Transilvania alla Romania? Orbán è un pragmatico: conosce i limiti propri e le linee rosse altrui. Chiede ascolto, anela al recupero dell’immagine di Ungheria quale ponte tra Europa e Asia e centrale elettrica del pensiero, ma non pretende terre de jure et de facto perdute per sempre. A questo discorso, della rinascita neo-imperiale, è strettamente connesso il tema della sindrome del Trianon, cioè il trauma ancora oggi ampiamente sentito, tanto dagli anziani quanto dai giovani, della disgregazione dell’Impero austro-ungarico nel primo dopoguerra. Un trauma ampiamente sentito, si diceva, e che pertanto è collante che unisce destra e sinistra, nazionalisti e laici, magiari di Budapest e diaspora. Non si può capire Orbán senza parlare del Trianon, e probabilmente in Europa occidentale si fa fatica a capirlo proprio perché la maggioranza delle persone non è a conoscenza di questo trattato: il più punitivo e umiliante concepito dai vincitori della Grande guerra, secondo soltanto per effetti e dimensioni al trattamento riservato alla Germania guglielmina.”.
Quanto la questione legata ai diritti degli ungheresi che vivono in Transcarpazia ha determinato la posizione di Orbán nell’attuale conflitto in Ucraina?
“Molto, moltissimo. La questione transcarpatica si lega all’agenda della protezione delle minoranze magiare strappate alla casa ungherese dal trattato del Trianon, che, come spiegato poc’anzi, è sentita e condivisa da ogni forza sociale e politica. Non a caso, la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica ungherese sostiene l’operato di Orbán nel dossier ucraino, essendo largamente a favore del non interventismo attivo. Poi, oltre alla questione transcarpatica, ci sono sicuramente la volontà di non danneggiare le relazioni con la Russia, garante della sicurezza energetica dell’Ungheria, e il piano ambizioso di fare del paese uno dei pontieri che nel dopoguerra parteciperanno al difficile percorso della ricucitura diplomatica.”.
Con il ritiro di Angela Merkel, Viktor Orbán è divenuto il leader dell’Unione Europea da più tempo in carica. Come possiamo spiegare la longevità di un personaggio che fa tanto discutere in Europa e che spesso viene dipinto come leader illiberale?
“La spieghiamo col fatto che, liberale o illiberale, piace alla stragrande maggioranza degli ungheresi. Neanche la più grande coalizione multipartitica della storia d’Ungheria ha potuto impedire la riconferma di Fidesz. Cose che fanno riflettere. Non penso che l’agenda conservatrice abbia il seguito che Orbán vorrebbe, perché le chiese continuano a essere afflitte dal calo delle vocazioni e dall’assenza dei fedeli, ma sicuramente le dimostrazioni di forza con l’UE su temi di interesse per gli ungheresi, dall’immigrazione illegale alla sovranità, hanno giocato e giocano un ruolo fondamentale nel successo di Fidesz. Nel libro, inoltre, parliamo ampiamente del discorso illiberalismo, spiegando il significato che gli danno sia Orbán sia gli ungheresi e (di)mostrando, attraverso recenti ricerche e sondaggi effettuati da prestigiosi think tank, come il tema illiberale sia più sentito in Europa occidentale che in Ungheria. Dove, al contrario, l’illiberalismo non suscita tutte queste antipatie e non è ritenuto anticamera della dittatura. Insomma: Orbán come Trump, come Erdoğan: uomini ritenuti a torto degli incidenti della storia e che, invece, sono la storia alla riscossa.”.
Nel 2019 fu implementato il “Piano d’azione per la protezione della famiglia” con importanti misure a sostegno della natalità[6], e l’aumento dei numeri delle nascite e dei matrimoni ci dicono che sta in parte funzionando[7]. Perché Orbán punta molto su questo aspetto e se questa “rinascita demografica” può diventare un modello per l’Europa e soprattutto per l’Italia.
“I numeri danno ragione a Orbán: matrimoni in crescita, divorzi in diminuzione, propensione alla natalità in aumento – sebbene ancora al di sotto della soglia di sostituzione del 2,1 figli per donna. Se potrà essere realmente un modello per l’Europa e per altri paesi afflitti dal male dell’inverno demografico, però, sarà possibile capirlo solo in un modo: assistendo ai suoi effetti nel medio e lungo termine. Il breve dà ragione a Fidesz, ma è il lungo che conta.”.
Nelle conclusioni del libro Budapest viene definita come “epicentro della guerra civile occidentale”, un titolo quasi profetico…
“In effetti, considerato quanto è accaduto nel dopo-elezioni e prevedendo ciò che accadrà negli anni a venire, Budapest lo è. L’internazionale conservatrice si era rifugiata nella capitale magiara dopo la caduta di Trump. Con Orbán, lo si creda o meno, sarebbe morta ogni prospettiva di ritorno repubblicano alla Casa Bianca e di nuova ondata populista in Occidente. Per questo motivo tutti gli occhi puntati erano puntati su Budapest, tutti i danari sono stati inviati a Budapest: dall’internazionale liberal-progressista come dall’internazionale conservatrice.
Perché proprio Budapest? Perché tutto partì da qui. La rivoluzione populista dello scorso decennio fu teorizzata da Orbán, attecchì nel vicinato centro-orientale e, infine, colte le sue potenzialità, fu strumentalizzata dall’internazionale conservatrice con base a Washington per spezzare l’egemonia politico-culturale costruita dal Partito Democratico in otto anni di era Obama. Trump non è stato che la fermata di un tragitto cominciato a Budapest e che è lontano dall’essere arrivato al capolinea. La “guerra civile occidentale”, cioè l’insieme delle guerre culturali che stanno riscrivendo l’identità della nostra civiltà, durerà ancora a lungo.”.
Note
[1] https://www.opiniojuris.it/chiaro-segnale-a-bruxelles-le-elezioni-in-ungheria-e-il-trionfo-di-orban/
[2] https://www.opiniojuris.it/author/emanuelpietrobon/
[3] https://www.opiniojuris.it/author/andreamuratore/
[4] Il trattato del Trianon fu il trattato di pace con cui le potenze vincitrici della prima guerra mondiale stabilirono le sorti del Regno d’Ungheria in seguito alla dissoluzione dell’Impero austro-ungarico. Il trattato venne firmato il 4 giugno 1920 nel palazzo del Grand Trianon di Versailles (Francia).
[5] L’impero austro-ungarico fu smembrato e perse il 67% del suo territorio e il 57% della sua popolazione (non sono solo ungheresi ma anche altre etnie che vivevano in quei territori). Più di 3 milioni di ungheresi si ritrovarono a vivere fuori dal proprio paese. Ancora oggi circa 2,5 milioni di persone di origine ungherese vivono in questi territori. La Transilvania passò alla Romania, la Voivodina alla Serbia, le regioni di Medimurje, Osijek e Baranja alla Croazia e la Transcarpazia all’Ucraina.
[6] L’accesso a prestiti agevolati alle coppie che hanno almeno due figli; detassazione e un sussidio per l’acquisto di un’autovettura alle coppie che hanno almeno tre figli; possibilità di richiedere un prestito unico di circa trentamila euro alle coppie che hanno più di due figli; prestito con un tasso d’interesse variabile a seconda del numero dei figli e che, in circostanze speciali, può essere non ripagati; l’esenzione a vita dall’imponibile fiscale per le madri che hanno più di quattro figli https://it.insideover.com/societa/dallungheria-la-possibile-ricetta-contro-linverno-demografico.html
Foto copertina: La visione di Orban