Un legame viscerale unisce l’Argentina e la città di Napoli nel nome di Diego Armando Maradona.
L’appuntamento con il destino per la città di Napoli, e tutti i suoi festanti tifosi, è arrivato il 4 maggio 2023. Appuntamento con il destino che vede, ancora una volta, la nazionale argentina e la squadra partenopea, unite. Proprio come nell’anno 1986 – 1987, anche questa volta, l’Argentina si è laureata campione del mondo e il Napoli campione d’Italia. Chiamatela sincronia, chiamatela casualità, chiamatelo destino vestito da Dio del calcio, ma a Napoli e a Buenos Aires la gioia è stata per due volte, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, incontenibile. Sempre nel nome del “Dios” Maradona.
Napoli, l’Argentina e Maradona, una lunga storia d’amore
Un lungo e spesso filo rosso lega l’Argentina all’Italia, e in particolare, alla città di Napoli. Per capire da dove questo cordone ombelicale tragga origine è necessario fare un salto indietro nel tempo, utilizzando un prezioso strumento, la storia.
A partire dal 1850, complice la crisi agraria italiana, si registrò un progressivo incremento dei flussi migratori diretti oltreoceano, verso il cosiddetto “nuovo mondo”, ma soprattutto, verso un nuovo futuro.
Rapidamente si passò da un’immigrazione esclusivamente maschile e stagionale, a un movimento familiare, comunitario, strutturato in ampie reti, tale da provocare una vera e propria emorragia in uscita. Sebbene non sia possibile quantificare con precisione il fenomeno sono però note sia le destinazioni privilegiate: l’Argentina con la città di Buenos Aires e le sue province, l’Uruguay, il Perù, il Brasile e il Cile; che i porti di partenza privilegiati: Genova, Venezia e Napoli.
Il picco dell’ondata migratoria sarà poi raggiunto negli anni del fascismo. Durante la dittatura, l’ambiziosa e velleitaria politica estera italiana, non mancò di coinvolgere anche l’America Latina.
Qui, facendo leva sulle comunità d’italiani presenti, il regime fascista cercò di creare e saldare le relazioni culturali e commerciali con i paesi dell’America Latina e dei Caraibi, in modo da attuare una vera e propria opera di fascistizzazione.
In quest’ottica, fu realizzato un progetto espansionista volto a promuovere il “Pan – latinismo” soprattutto in Argentina e in Brasile, dove erano maggiori le simpatie per l’autoritarismo.
Il progetto prevedeva: la creazione dell’istituto culturale Cristoforo Colombo; la circumnavigazione del Sudamerica con la Nave Italia nel 1924[2]; l’esecuzione delle trasvolate aeree in Brasile e nell’Atlantico ad opera di Italo Baldo e Francesco De Pinedo; il ricorso a forme di cooptazione corporativista, con l’obiettivo coinvolgere gli industriali italiani residenti in America Latina nella campagna di sponsorizzazione del fascismo.
Una volta archiviata la ventennale parentesi fascista, saranno moltissimi i capitani d’industria e i semplici cittadini italiani ex sostenitori di Mussolini, ad essere accolti a braccia aperte da Perón. Tutti quanti, collusi più o meno gravemente con la dittatura, troveranno rifugio proprio in Argentina, presso quelle comunità d’italiani nostalgici che, con tanta cura, erano state coltivate negli anni procedenti.
Sarà, dunque, a partire da questa base storica e sociale, sedimentatasi nel corso degli anni, che si verranno a costituire le fondamenta del rapporto tra due aree geografiche distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra. Sarà proprio grazie patrimonio storico comune che si svilupperà, dapprima in forma embrionale, l’infinita storia d’amore tra Diego Armando Maradona e Napoli.
Il pibe de oro arrivò al Napoli nel 1984, dopo una parentesi infruttuosa e negativa al Barcellona.
Era un’epoca in cui la città partenopea veniva descritta sempre in maniera negativa dai giornali; un’epoca in cui Napoli era raccontata come “la culla della camorra”, e nient’altro. In un momento come questo, l’arrivo di una star mondiale del calcio fu letto come una chance di vittoria e di riscatto. Un episodio che sicuramente ci può aiutare a capire quanto fosse pesante la narrazione mediatica su Napoli di quel periodo, è la conferenza stampa di presentazione di Maradona nel luglio ‘84.
In quell’occasione – primo festoso abbraccio collettivo al giocatore argentino – tra chi gli chiedeva se avesse partenti in Italia e chi paragonava il calcio argentino e quello italiano, un giornalista disse: «Vorrei sapere se Maradona sa cos’è la camorra e se sa che i soldi della camorra qua sono dappertutto, anche nel calcio». A rispondere fu l’allora presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, mortificato e amareggiato dalla provocatoria domanda[3].
La camorra costituiva allora – e in un certo senso lo è tutt’oggi – uno strumento utilizzato per alimentare il vento dell’odio nei confronti della città e per far accrescere la divisione tra Nord e Sud Italia.
Basti pensare, ad esempio, che la squadra napoletana era sistematicamente accolta durante le partite disputate nei vari stadi settentrionali, con striscioni con su scritto «Benvenuti in Italia». Ma non solo; erano anche anni in cui il Napoli, e di conseguenza i suoi tifosi, erano oggetto di cori carichi di disprezzo e odio.
Sui ripetuti episodi di discriminazione territoriale, dirà Maradona intervistato, «I napoletani erano i nordafricani d’Italia. Dicevano che non ci lavavamo, che eravamo “terroni”. Erano tutti razzisti. Sentivo di rappresentare una parte dell’Italia che non contava nulla. Ciò mi ha aiutato subito a capire che la battaglia che il Napoli stava affrontando non era solo calcistica. Era nord contro sud, razzisti contro poveri»[4].
Già a partire da qui possiamo notare come Maradona iniziò a fare propria una battaglia tutta napoletana e meridionale.
Il campione argentino, infatti, complice la calorosa accoglienza napoletana, si sentì fin dall’inizio “di casa” e come tale s’impegnò sempre attivamente, in prima persona, per spazzare via quell’aura di razzismo e antimeridionalismo con cui i mass media si riferivano a Napoli e attraverso cui i napoletani erano descritti. «Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires». Si tratta di una delle citazioni più note del “Dios” argentino che probabilmente descrive al meglio il tipo di legame che si stava sviluppando.
Maradona divenne ben presto un modello, un esempio di riscatto cui guardare, una fonte d’ispirazione; proprio lui, che era partito dalla poverissima Villa Fiorito alla conquista del mondo. Ben prima di farsi difensore delle popolazioni del Sud della Terra, Maradona divenne ciò che si era prefissato, il simbolo di una comunità. Saranno poi i primi due scudetti con il Napoli (’86-’87 e ’89-’90) a rendere il calciatore, un’autentica divinità.
Contemporaneamente alla gloriosa avventura napoletana, giocò nella nazionale argentina vincendo lo storico mondiale di calcio nel 1986. Decisiva per la vittoria finale fu la partita disputata contro il Regno Unito il 22 giugno, a distanza di pochi giorni dalla conclusione della guerra delle Falkland – Malvinas proprio tra le due nazioni. Quella vittoria consegnerà “El génio” Maradona alla storia, facendolo entrare nell’olimpo delle leggende, nell’olimpo delle divinità assolute del calcio internazionale. Il primo gol segnato prese il nome de “La mano de dios” mentre il secondo divenne “Il gol del secolo”. Il simbolismo di quella vittoria sta tutto nella telecronaca di Hugo Morales che, a Radio Argentina, disse: «Es para llorar, perdónenme… Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos… barrilete cósmico… ¿de qué planeta viniste? ¡Para dejar en el camino a tanto inglés! ¡Para que el país sea un puño apretado, gritando por Argentina!… Argentina 2 – Inglaterra 0»[5].
A partire da allora Napoli e l’Argentina furono unite anche da questo, dalla presenza di un comune esempio di riscatto e dignità: riscatto da una società divisiva, riscatto della povertà e della sofferenza grazie ai propri mezzi, in totale autonomia, con la superbia di chi ce la può fare e ce l’ha fatta senza chiedere l’aiuto di nessuno, sfidando l’opposizione dei potenti.
Con tutta la sua sfaccettata umanità fatta di problemi ed errori, Maradona ha incarnato e incarna ancora oggi, la rappresentazione del “buon calcio”, inteso come uno sport sano, capace di unire positivamente i tifosi e seminare gioia collettiva. Uno sport fatto di passione, fatica e amore.
Un calcio lontano, lontanissimo, dalla formula patinata e simil – hollywoodiana che è purtroppo andato ad assumere negli ultimi anni.
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La marea azzurra vista da Buenos Aires
La festa per il terzo scudetto del Napoli – il primo senza Maradona – ha rapidamente fatto il giro del mondo, valicando i confini nazionali e coinvolgendo anche l’Argentina. Qui una delle prime squadre a congratularsi è stata il Boca Juniors che su Twitter ha scritto: «¡Felicitaciones! Diego está feliz!»[6]. Fondata da un gruppo di giovani italiani e attiva nel coloratissimo quartiere italiano de La Boca, il Boca Juniors è una delle squadre più popolari d’Argentina, dove Maradona ha giocato nell’annata ‘81 – ‘82 vincendo il titolo Metropolitano, una delle due sezioni in cui era diviso il massimo campionato argentino. Ed è proprio da La Boca, con la sua “Caminito” fatta di case dipinte con sgargianti e colorate pitture navali, secondo l’antica tradizione degli immigrati genovesi, che è partita la festa argentina per il Napoli che ha coinvolto tifosi, expat napoletani e non, scesi in strada per festeggiare insieme il tricolore azzurro, sventolando sciarpe e bandiere con le foto di Maradona. «Napoli campeón: la ciudad multicultural que intenta cambiar su imagen y que celebró con el fuego azul de los marginales»[7] titola il quotidiano argentino La Nación.
Come fa notare l’autore, parafrasando Eduardo De Filippo, Napoli è oggi una città “milionaria”, ricca e traboccante di gioia, furore, mancanza di controllo e passione. Ma soprattutto è “milionaria”, perché è sbocciata, proprio come un grande fiore, dopo gli anni in cui era stata bollata come luogo insicuro.
L’immagine della capitale del Sud Italia sta, infatti, vivendo una vera e propria risurrezione – perfettamente incarnata dai risultati della sua squadra – grazie ai turisti che popolano, sempre più numerosi, le rumorose strade cittadine.
Ciò ha permesso di rendere un’area, i Quartieri Spagnoli, tradizionalmente dipinti come pericolosi, meta di culto e “pellegrinaggio”, dove sacro e profano s’intrecciano grazie al murales dedicato a Maradona. «Latinoamericana come nessun’altra città in Europa, la variopinta Napoli vede la sua squadra ruggire, ridere e gridare di felicità. Cosmopolita, la città che da sempre guida l’orgoglio dell’Italia più vessata, è stata terra di conquista per diverse culture: dai Fenici ai Normanni, passando per i Greci e i Romani, fino ad arrivare agli Spagnoli. Una pelle dalle infinite sfumature, come quelle di una squadra che comprende il nigeriano Osimhen, il coreano Kim e un’infinità di etnie diverse, tutte con lo stesso scopo. Tornare campioni era un sogno proibito, ma alla fine è diventato realtà. Come in una favola senza senso né copione. Era tutto istinto. Improvvisazione»[8].
La vittoria del Napoli secondo Moschella, esattamente come la vittoria della nazionale albiceleste 5 mesi fa, passa attraverso un’incredibile e imprescindibile deus ex machina – l’entità divina protagonista dei colpi di scena nella tragedia greca – colui il quale, per argentini e napoletani è il “D10S” del calcio, pronto a intervenire per riscrivere la storia.
Protetta da «quel Dieci infinito, che seppe portare il fuoco ai napoletani»[9], la città e la squadra hanno vissuto, e stanno vivendo, una caleidoscopica e vittoriosa rinascita sfidando gli Dei come Ulisse, senza l’uso della forza.
Ed è da qui che si è innescata quella catena di eventi che ci ha portato alla festa di queste ultime ore. «Il fulmine di Victor Osimhen proveniente da Lagos, luogo marginale per eccellenza, ha innescato la scarica finale di una dinamite in polvere che si staccava dal Vesuvio. Il gol che rompeva le nuvole nel cielo e scatenava la festa. Definitiva, comunitaria e finale. Il viaggio a Itaca era finito, con l’antieroe che finalmente raggiungeva le coste tanto agognate. Le coste che la sirena Partenope fece sue, morirono felici in una baia nella quale risuonava una melodia celeste. Una rivincita sociale e umana. Non sportiva»[10].
Note
[1] L’amore per Maradona, talmente forte e viscerale, ha portato molti tifosi a paragonare Maradona a San Gennaro, patrono della città.
[2] A bordo della nave, guidata da Giovanni Giuriati, c’erano numerose innovazioni tecnologiche prodotte in Italia e diversi intellettuali vicini al fascismo. La nave non costituiva altro che una massiccia campagna espositiva e pubblicitaria mobile, utile sia a propagandare l’efficienza del regime fascista, che per promuovere l’immagine dell’Italia nei territori latinoamericani.
[3] Il video della presentazione è consultabile a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=9684v4ul5es.
[4] Estratto dal documentario “Diego Maradona” di Asif Kapadia del 2019.
[5] Per maggiori approfondimenti: https://www.youtube.com/watch?v=DVzns_b7akM.
[6]Per maggiori approfondimenti: https://twitter.com/BocaJrsOficial/status/1654234225111957506?s=20.
[7] ANTONIO MOSCHELLA, «Napoli campeón: la ciudad multicultural que intenta cambiar su imagen y que celebró con el fuego azul de los marginales», La Nación, 5/05/2023, https://www.lanacion.com.ar/deportes/futbol/napoli-campeon-la-ciudad-multicultural-que-intenta-cambiar-su-imagen-y-que-celebro-con-el-fuego-azul-nid05052023/.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
Foto copertina: Il murales raffigura Maradona, campione del Napoli e della nazionale Argentina, si trova ai quartieri spagnoli nel centro della città.