L’epoca delle guerre clausewitziane è finita: hacker e quinte colonne hanno sostituito il ruolo degli eserciti e nessun paese è completamente al sicuro.


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Santiago del Cile, mattina del 11 settembre 1973. Le forze armate cilene assaltano la Moneda, il palazzo presidenziale, consumando un sanguinoso colpo di stato nel corso del quale perderà la vita anche l’allora capo di stato Salvador Allende.

È la fine della brevissima esperienza socialista, durata soltanto tre anni, e l’inizio di una dittatura militare a-ideologica retta da una giunta, emanazione del generale Augusto Pinochet, durata fino alla transizione democratica dei primi anni ’90.

Potrebbe essere uno dei tanti episodi che hanno caratterizzato la guerra fredda, se non fosse per un’anomalia: in Cile, la tradizione dell’interventismo militare nella vita pubblica, comune al resto dell’America latina, era quasi assente, la società era una delle più coese e meno conflittuali della regione, e l’economia era una delle più dinamiche e sviluppate.

La domanda sorge spontanea: che cosa accadde realmente?

Il timore che il carismatico marxista Allende potesse conquistare la presidenza del paese latinoamericano aveva spinto la Cia ad aumentare l’esposizione statunitense nella società, nell’economia, nella cultura e nella politica, fin dai primi anni ’60.

Nonostante l’impegno, Allende vinse comunque le elezioni del 1970, guidando la coalizione di sinistra “Unidad Popular”, senza ombra di brogli, diventando il primo presidente dichiaratamente marxista ad essere democraticamente eletto.

Da quel giorno, il Cile diventò oggetto di una guerra ombra a base di atti terroristici, sabotaggi economici, sfruttamento di quinte colonne, promozione di instabilità sociale, polarizzazione e divisione di classe, terrorismo psicologico, infiltrazioni di spie nelle istituzioni.

In soli tre anni, l’economia più sviluppata del cono sud subì un’involuzione, arretrando ad uno stato quasi pre-capitalistico, a causa di quel che Allende definì l’embargo invisibile: commercio con i paesi occidentali interrotto, niente più prestiti e aiuti allo sviluppo da parte di banche occidentali e organizzazioni internazionali, attacchi speculativi contro la valuta nazionale.

In soli tre anni, la società più coesa e meno conflittuale del cono sud era stata portata a combattere una guerra intestina, divisa in due opposti e ben separati estremismi: filo-fascisti e filo-comunisti. Gli attentati, gli omicidi politici e le maxi-manifestazioni erano divenute la normalità fra il 1972 ed il 1973.

Sullo sfondo di questi eventi, l’opinione pubblica era costantemente bombardata da operazioni psicologiche guidate dall’impero mediatico della famiglia Edwards, godente di un monopolio nel mondo dell’informazione cilena, mentre le forze armate erano state infiltrate da spie, generali importanti erano stati corrotti e gli incorruttibili erano stati barbaramente uccisi, come il comandante René Schneider.

È così che l’11 settembre del 1973, Pinochet, una persona sulla quale lo stesso Henry Kissinger, che era a capo delle operazioni in Cile, aveva delle riserve e che aveva scartato dalla lista dei papabili golpisti, guidò le forze armate contro Allende.

Una miscela di operazioni sotto copertura, di ogni natura (militare, economica, psicologica, ecc.), e di reale paura per il futuro del paese, aveva spinto le forze armate a porre fine al triennio di violenze. Gli Stati Uniti avevano evitato un sicuro effetto domino: Allende era caduto.

La storia del golpe dell’11 settembre 1973 è l’esempio più emblematico di come sia possibile generare caos e pilotare rivoluzioni e colpi di stato anche in paesi considerabili “a rischio zero”, ossia paesi socialmente uniti ed economicamente forti. In realtà, ogni paese è potenzialmente destabilizzabile, anche le grandi potenze, e tutto ciò che occorre è una strategia multidimensionale che sappia sfruttare ogni variabile sociale, culturale, politica ed economica che caratterizza un paese.

Il Cile era sviluppato, ma la sua economica troncata, perché dipendente dal commercio con l’estero e mono-settoriale. L’embargo invisibile dell’amministrazione Nixon lasciò il paese senza sbocchi nei mercati internazionali, con riflessi inevitabili sul sistema produttivo che, a loro volta, spinsero i lavoratori a protestate. Equilibrio sociale e collaborazione interclassista si ruppero.

Le forze armate erano leali alla costituzione, senza esperienze significative di intrusioni negli affari pubblici, e il loro attaccamento al bene nazionale fu utilizzato contro di esse: i personaggi scomodi furono eliminati e, spesso, la loro scomparsa fu attribuita ad un “complotto cileno-cubano-sovietico”, e i meno devoti alla bandiera furono corretti. Le istituzioni persero la loro colonna portante.

Forze armate, media, classi sociali, minoranze etniche, gruppi religiosi, crimine organizzato, logge massoniche, movimenti civili e partiti politici, ognuna di queste entità è al tempo stesso fonte di equilibrio e cavallo di Troia.

Una società multietnica può essere divisa alimentando spiriti nazionalisti in una minoranza assopita e integrata, una società religiosa può essere destabilizzata facendo ricorso alla fede popolare e alle strutture ecclesiastiche ivi presenti, un paese esposto ai flussi migratori può essere travolto da esodi di rifugiati fino al collasso, mentre crimine organizzato e logge segrete possono fungere da piattaforme di spionaggio ed autori di operazioni sotto falsa bandiera.

L’involuzione illiberale delle democrazie, anche in Occidente, può essere letta come la naturale reazione fisiologica alla consapevolezza che nessun sistema-paese è immune alla destabilizzazione indotta dall’esterno. Concetti come “democrazia protetta” andrebbero quindi recuperati ed aggiornati, perché oggi più che mai le democrazie sono esposte al potenziale distruttivo delle guerre segrete, postmoderne, post-eroiche, invisibili, senza limiti.

Il pluralismo che per il pensatore liberale è fonte di ricchezza, per uno stratega abile ed esperto è un’arma. L’opinione pubblica è meno informata e consapevole di quanto possa credere, perché la qualità dell’informazione non aumenta di pari passo con il numero dei media – è vero il contrario.

C’è solo un modo per difendersi dalle guerre post-clausewitziane: cogliere gli indizi, agire con machiavellica prudenza e tentare di decifrare fenomeni ed eventi attraverso più chiavi di lettura, perché la verità, molte volte, è frammentata, distorta e nascosta in più luoghi.

Alla luce della difficoltà oggettiva di sapersi muovere a guerra ibrida in corso, ma anche di capire quando è finita – saper distinguere da una rivoluzione di popolo genuina da un cambio di regime pilotato – consigliamo la lettura de “L’arte della guerra segreta”, dato alle stampe nel gennaio di quest’anno. 

Il libro, per la cui scrittura è stato utilizzato materiale specialistico, raro, di nicchia, attraverso dei casi studio aprirà gli occhi del lettore sui più grandi avvenimenti della storia recente, e di quella attuale, fornendogli gli strumenti necessari per muoversi nell’epoca della post-verità.


Foto copertina: Protesters in Chile fighting the police along the Alameda, Santiago’s main artery. At least 24 people have died and thousands have been injured in clashes between protesters and police.Credit…Tomas Munita for The New York Time


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