Libia, la soluzione italiana
Dal Marzo 2016, la Libia ha un governo a Tripoli, di cosiddetta unità nazionale sotto la guida di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj,la cui principale, se non unica forza è il placet della comunità internazionale e l’appoggio del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Con l’accordo politico firmato in Marocco, a Skhirat, il 17 dicembre 2015, le maggiori fazioni in lotta in Libia mettevano nero su bianco il proprio impegno nel superare le divergenze con l’intento di procedere insieme verso la formazione di un governo di unità nazionale.
Un accordo etero-indotto nato esclusivamente per combattere la minaccia del dilagare dello Stato Islamico nel paese, e mai percepito dalle parti in gioco come necessario ai fini dell’effettiva riunificazione della Libia.
A cinque anni dalla deposizione e morte del Colonnello Mu’ammar Gheddafi, la Libia odierna è ancora un’entità proto-statale, il cui frazionamento interno è multidimensionale, non riconducibile esclusivamente alle componenti di affezione locale-tribale o ad interessi economici legati all’energia.
Uno degli errori più ricorrenti nell’analisi dello scenario libico è quello di ridurne la portata ad un’entità bidimensionale,a una lettura manicheistica che vede scontrarsi forze liberali contro gli islamisti, rivoluzionari contro i nostalgici dell’ancien régime, milizie di Zintan contro Misurata, Tobruk contro Tripoli. Il potere in Libia è diffuso, disseminato tra questi attori. L’affastellarsi di tensioni e linee di frazione interne alla Libia ha non solo contribuito a creare ostacoli sulla strada del governo libico in carica, ma anche a mantenere in vita il regime di sanzioni imposto dall’ONU dal 2011(resUNSC 1970).
La complessa architettura istituzionale figlia dell’accordo negoziato dalle Nazioni Unite, lascia spazio a molte perplessità. Sembra, ad ogni modo, che la comunità internazionale abbia avuto ciò che chiedeva, ossia un centro di potere unico sulla carta, con cui ragionare su temi quali sicurezza e migrazione in primis. Che questo ragionamento sia spurio lo dimostrano i fatti.
Il regime di sanzioni imposto dall’ONU e dall’UE resta ancora in piedi, e il mandato del Comitato di controllo per il rispetto della disposizioni previste dalla risoluzione 1970 sia anzi stato esteso fino al luglio 2017. La struttura delle sanzioni imposte dal 2011, e le successive risoluzioni miranti a rafforzarne la portata, prevedono un embargo sulle armi nonché il divieto di viaggio e un congelamento dei beni a soggetti specifici, in ragione dei propri legami con il regime Gheddafi.
Nella lista degli assets finanziati congelati spunta l’acronimo LIA, ovvero il fondo sovrano di investimento “Libyan Investment Authority”. Il LIA nasce nel 2006, anno in cui la Libia si libera dal suo status di paria dell’arena politica internazionale grazie al processo di rapprochement tra il regime di Gheddafi e gli USA. Il fondo sovrano, si legge nella descrizione sul sito ufficiale, ha come scopo principale quello di creare benessere e di diversificare l’economia nazionale, in un’ottica di lungo termine e di sostenibilità per le generazioni future. La diversificazione mira a una ripartizione del proprio portfolio diviso tra investimenti all’estero e investimenti nazionali per lo sviluppo locale. Su questo terreno si è svolta una battaglia rilevante della guerra civile libica post-Gheddafi, quella per il controllo del fondo dal valore stimato attorno ai 67 miliardi di dollari statunitensi.
La storia del LIA dal 2011 rispecchia a pieno l’instabilità politica del paese, con almeno due personalità a reclamare il diritto di controllare le operazioni del fondo sovrano. Da un lato, Hassan Bohadi, ex Presidente del Consiglio di amministrazione del LIA vicino alla compagine di governo di al-Sarrāj. Al contempo, l’autorità di Bohadi sul fondo è stata disputata sin da principio da Abdulmagid Breish, uomo vicino a Gheddafi, nonché alle fazioni islamiste che dominano l’ovest del paese.
La leadership contesa del LIA ha seguito un percorso comune a quello di molte altre istituzioni e centri amministrativi nell’era post-Gheddafi, dove ognuno ha provato a massimizzare la propria posizione e prevalere nella corsa alle posizioni che contano approfittando del marasma generale. Fino al 2014, il fondo ha avuto due Presidenti e due quartier generali, fedeli uno al governo di Tripoli e l’altro a quello di Tobruk, ma che nella realtà dei fatti non amministravano nulla essendo il “tesoretto” del LIA congelato dalle sanzioni internazionali.
La svolta per le sorti del fondo è avvenuta quasi nel silenzio, nell’agosto 2016, quando le due personalità in lotta per la presidenza del fondo hanno deciso di fondare un Interim Steering Committee per la gestione del LIA, guidata da Ali Mahmoud Hassan. L’azione riconciliatrice portata avanti da due dei più forti gruppi di potere in Libia ha dato un segno di speranza alla comunità internazionale che ha difatti salutato la notizia con un comunicato congiunto di congratulazioni per la designazione di Ali Mahmoud Hassan a capo del LIA, Italia compresa. In base alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza UNSCres 2259, la gestione del fondo <unitaria e centralizzata da parte di emissari del governo ufficiale libico> è non solo auspicabile, ma anche veicolo quasi esclusivo per ristabilire la “normalità” nel paese. Forte del momentum, il Direttore del fondo ha recentemente fatto richiesta al Consiglio di Sicurezza di discutere e formalizzare la rimozione del LIA dalla lista dei soggetti sottoposti a sanzioni con la conseguenza di liberare l’enorme potere finanziario del fondo. Per raggiungere il proprio scopo, lo scorso ottobre, il Segretario ad interim del LIA Ali Mahmoud Hassan ha iniziato un tour europeo che ha toccato le maggiori capitali e centri di potere del vecchio continente. Lo scopo principale era quello di farsi conoscere e fare lobbying sui governi che contano in vista della possibile rimozione delle sanzioni dal fondo. La scelta strategica di inviare il giovane manager libico, 42enne educato in Gran Bretagna e con solido background accademico a sostegno della sua attitudine imprenditoriale, ha colpito nel segno.
La missione era chiara, dare una nuova immagine della Libia e visibilità al potenziale del fondo d’investimento, nonché aprire alla sua possibile trasformazione in preziosi investimenti e operazioni di ricapitalizzazione di banche. L’intoppo per la monetarizzazione e la reale trasformazione del capitale libico in investimenti resta ancora il congelamento del fondo che blocca l’accesso ai mercati internazionali di transazioni operate dalla Libia.
In un quadro più vasto, potremmo dunque leggere il viaggio di Ali Mahmoud Hassan in Europa come un tentativo di “accattivarsi” i CDA e i ministri delle finanze delle economie europee che stentano a riprendersi, per far poi leva nei consessi internazionali. Dato il coinvolgimento della più vasta comunità internazionale, perché concentrarsi sull’Italia? È bene ricordare che l’Italia resta il Paese dove il LIA ha investito di più, al di là di mere reminiscenze di un passato coloniale e di “amicizia” che fu.
Logico quindi che il fondo, che resta presente nelle assemblee di Eni, Juventus, CdP, Leonardo e Unicredit, punti anche ad avere una rappresentanza nei CDA. In un‘intervista rilasciata al Corriere della Sera, unico quotidiano ad aver dedicato un trafiletto alla visita di Ali Mahmoud Hassan in Italia, il Presidente del fondo ha definito l’Italia un partner importante, “per relazioni politiche e commerciali e per gli investimenti fatti. Quello che stiamo cercando di fare è colmare il vuoto che si è creato in Libia con la caduta del prezzo del petrolio e gli stop alla produzione. In Italia abbiamo partecipazioni in grandi società e istituti e contiamo di coinvolgerli nella ricostruzione della nostra economia[…]Possiamo fornire facilitazioni creditizie e assicurazioni per le imprese che vogliono investire in Libia e per le istituzioni finanziarie che credono nel nostro mercato. I nostri assets all’estero sono congelati ma possiamo usare i nostri fondi interni, circa 8 miliardi di dollari disponibili per investimenti”.Incidentalmente, la visita di Ali Mahmoud Hassan in Italia è avvenuta nei giorni in cui al MEF veniva definito il documento programmatico di bilancio 2017. Giorni convulsi per il Ministro delle Finanze e il suo entourage, ma che ad ogni modo è riuscito a trovare del tempo e accordare un incontro con il facoltoso interlocutore libico. Con lo scopo di presentarsi come legale rappresentanti del LIA, il viaggio in Europa di Ali Mahmoud Hassan ha segnato un turningpoint nella storia della Libia contemporanea, muovendo il primo atto del progressivo abbattimento del regime di sanzioni internazionali che grava sulla Libia. Lontano dal clamore dei media, la tappa italiana del tour europeo di Ali Mahmoud Hassan ha lanciato un chiaro segnale al governo dimostrando la volontà di intraprendere un nuovo corso nelle relazioni italo-libiche, capace di produrre risultati di portata internazionale sulla sponda Sud del Mediterraneo.
Per il LIA, e la Libia in generale, l’Italia sarà un partner fondamentale nel 2017, a Brussels come a New York. Grazie alle posizioni decise mostrate dal governo Renzi nell’immediato post-Brexit, l’Italia sta mostrando di aver ripreso coscienza del proprio ruolo di leader in UE con possibili ripercussioni positive per il partner nordafricano. Inoltre, è bene ricordarlo, l’Italia siederà al Consiglio di Sicurezza dell’ONU come membro non permanente nel 2017.
Immagine in copertina: Anti Gaddafi graffiti by murdered artist Kais-al-Hilali. Picture: The Times Fonte: The Australian