Dalla manovra finanziaria alla riforma istituzionale, passando per i dossier internazionali, saranno molti i nodi da sciogliere nei pochi mesi che mancano all’appuntamento con le elezioni europee del giugno 2024.


Manovra finanziaria e PNRR

Quello che sta per iniziare, sarà senz’altro un autunno impegnativo per il governo presieduto da Giorgia Meloni. Tanti i dossier tra cui la maggioranza di centrodestra dovrà districarsi per arrivare nel migliore dei modi all’importante appuntamento elettorale del prossimo anno, quando si celebreranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Anche per tale ragione, oltreché per confermare stabilità e consensi interni, uno dei primi scogli da evitare sarà quello della manovra finanziaria.
La prima, vera legge finanziaria del Governo Meloni in cui, come preannunciato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti nel corso del primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva, sarà fondamentale evitare sprechi e inefficienze, con un esplicito riferimento al Superbonus 110%, definito come la più grande truffa ai danni dello Stato, in linea peraltro con le perplessità sulla validità del provvedimento espresse lo scorso anno dallo stesso Mario Draghi. A fronte di risorse che appaiono scarse, il Governo sembra intenzionato a concentrarsi su alcune priorità quali la difesa del lavoro e dei salari, della sanità e della natalità. La legge Finanziaria dovrà prendere forma in un contesto reso ancor più delicato dalle stime che Bruxelles ha reso note per l’Italia, per le quali l’economia si fermerà ad un +0,9%, riducendo di 0,3 punti percentuali le stime formulate in primavera sulle proiezioni di crescita del Pil italiano per il 2023 e atteso per il 2024 allo 0,8%. Un rallentamento con cui dovranno fare i conti, peraltro, anche gli altri paesi dell’Unione Europea.
Su questo sfondo sembra essersi inabissato il dibattito intorno al PNRR che altresì resta un nodo cruciale visto che, il via libera di Bruxelles all’erogazione della terza rata, vedrà riaccendersi i riflettori sul progetto di rimodulazione del Piano che il governo ha trasmesso alla Commissione europea. Il PNRR rivisto e corretto contiene 144 proposte di modifiche, tra progetti e riforme, integrato con gli interventi del programma per la transizione energetica RepowerEu. Rispetto a questo tema non potrà mancare l’attenzione da parte del Ministro Fitto, titolare di questo delicato ed importante dossier, ne tantomeno della stessa Meloni che sulla corretta attuazione del Piano Nazionale di ripresa e Resilienza si gioca larga parte della propria credibilità interna ed internazionale.

Riforma istituzionale: dal presidenzialismo al premierato

Altro tema dirimente appare quello della riforma costituzionale che mira ad introdurre il premierato, un punto fondamentale del programma del Governo, che intende procedere speditamente modificare la nostra Costituzione inserendo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio senza toccare formalmente i poteri del Presidente della Repubblica. Nella bozza circolata ad inizio settembre e ripresa da alcuni quotidiani la proposta di riforma prevede che le elezioni avvengano con una scheda unica in cui si potrà esprimere il voto per una delle liste che sostengono il candidato premier e per il candidato stesso.
C’è poi una differenziazione tra la fiducia iniziale data dal Parlamento al premier eletto e quanto potrà accadere nel corso della legislatura. Subito dopo le elezioni il Presidente della Repubblica incarica il Premier eletto e lo manda di fronte alle Camere: se non dovesse raggiungere il numero di voti necessari per la fiducia il presidente della Repubblica può reincaricarlo una seconda volta, ma se anche in questo caso non ottenesse la fiducia si dovrebbero sciogliere le Camere e riandare subito di fronte agli elettori.
Nel corso della legislatura, invece, in caso di cessazione dalla carica del premier, il Parlamento può proporre un sostituto purché sia espressione della stessa maggioranza uscita dalle elezioni con l’aggiunta eventuale dei parlamentari che avevano già votato la fiducia a inizio legislatura. Una serie di novità che per ora non hanno trovato quel consenso qualificato, necessario ad una riforma costituzionale, per la quale sarà inevitabile aprire una fase di confronto e condivisione, cruciali in un passaggio così importante e che già si è rivelato in passato esiziale.
Il ricordo del referendum promosso da Matteo Renzi nel 2016 sulla sua proposta di riforma è ancora molto vivo, al pari di altri fallimenti che nel corso degli ultimi 40 anni hanno contraddistinto i tentavi di modifica della seconda parte della nostra Carta fondamentale.

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Nuova Via della Seta e ratifica del MES

Se l’operazione di uscito dal progetto One Belt One Road appare scontata, quello che andrà definito sarà il l’aspetto formale di questo disimpegno non trascurabile. Già durante l’ultimo G20 a New Delhi, Giorgia Meloni ha avuto modo di parlarne con il primo ministro di Pechino Li Qiang. Un primo incontro nel quale il Presidente del Consiglio ha spiegato le motivazioni dell’uscita dall’accordo in base ai numeri sull’interscambio e non solamente per le pressioni statunitensi. Comunque, la discussione sull’adesione alla nuova Via della Seta è stata demandata, per chiara volontà del Presidente del Consiglio al Parlamento, da cui si attende a questo punto un intervento che dovrà inserirsi nell’ambito della visita di Giorgia Meloni a Pechino che dovrebbe avvenire entro l’anno ma che ancora resta in sospeso. Un’uscita, dunque, che mira a salvaguardare la stabilità delle relazioni commerciali fra l’Italia e la Cina, evitando complicazioni e trovando le giuste modalità operative. Altro argomento delicato che tornerà ad occupare l’agenda del Governo in autunno sarà senza dubbio quello legato alla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità.
L’Italia è l’unica rimasta a non aver ratificato la riforma del regolamento del Mes, che senza l’ok rimane incompiuta e lascia le banche senza backstop in caso di choc.
La questione del Mes, che la maggioranza ha rimandato ad una discussione alla Camera prevista per la fine di ottobre, tornerà sul tavolo nonostante Giorgia Meloni abbia affermato con decisione che discuterne ora non è nell’interesse nazionale. L’idea per l’attuale governo è che lo strumento, concepito in questo modo, sarebbe inutile perché non lo utilizzerebbe nessuno, e andrebbe quindi radicalmente rivisto. Il direttore del MES Pierre Gramegna dopo aver fatto il punto all’Eurogruppo sulle consultazioni in corso tra i Paesi aderenti, circa il futuro del meccanismo, non ha esitato a ribadire che di modifiche si potrà parlare solo quando la ratifica sarà completata.
Una logica opposta a quella perseguita dal Governo italiano che mette sullo stesso piano il MES e la revisione della governance economica Ue.
La riscrittura del Patto di Stabilità, è il timore di Roma, rischia di penalizzare alla fine l’Italia. E finché il negoziato va avanti serrato ma non fa passi avanti, anche il Mes resterà congelato.


Foto copertina: Giorgia Meloni