Segnate da un’affluenza tra le più basse di sempre, le recenti elezioni hanno visto la vittoria del movimento sciita di Muqtada al-Sadr. Ben lontane dall’apportare un cambiamento significativo, dimostrano la disillusione e la sfiducia dei cittadini verso la classe politica irachena.


Nell’ottobre del 2019 in Iraq scoppiava il più grande movimento di protesta della storia moderna del Paese.  La “rivoluzione di ottobre”, come è stata rinominata, ha portato alle dimissioni dell’allora primo ministro Adil Abd al-Mahdi e scosso l’intera classe politica, grazie ad una mobilitazione sociale senza precedenti. Le conseguenze, però, sono state drammatiche. La risposta governativa è stata estremamente violenta e circa 500 persone sono state uccise e migliaia di manifestanti feriti.
Delle richieste dei manifestanti, tra cui fine della corruzione, fine del sistema settario e cambiamento totale della classe politica, solo due sono state rispettate: elezioni anticipate e nuova legge elettorale.
Ed è così che il 10 ottobre si sono svolte le elezioni in Iraq, i cittadini  si sono recati alle urne per eleggere il nuovo parlamento. Alla sua quinta elezione dopo l’invasione statunitense, l’Iraq ha registrato un tasso di affluenza del 36%, il più basso nella storia moderna dell’Iraq, ormai ben lontano da quell’80% che si registrò nelle elezioni del 2005, le prime dalla caduta del regime di Saddam Hussein.
La bassa affluenza è il primo elemento da analizzare in questa tornata di elezioni in Iraq perché sembrerebbe quasi paradossale che i cittadini abbiano boicottato una delle poche richieste rispettate, le elezioni appunto.
Ma il paradosso crolla se passiamo in rassegna le forze politiche che competevano per il potere, invariate da anni. Ecco che il cambiamento radicale del sistema politico richiesto dai manifestanti non si è verificato ed ecco che le elezioni non rappresentano più uno strumento per far sentire la voce dei cittadini, ma una mera farsa per degli attori che continueranno a dividersi il potere e le ricchezze.  È proprio la mancanza di fiducia dei cittadini a determinare un dato di affluenza sempre più basso.
Inoltre, nei mesi antecedenti le votazioni, decine di attivisti e figure di spicco del movimento anti-governativo sono stati minacciati o sono stati oggetti di violenza da parte dei gruppi paramilitari il cui strapotere erano stato criticato. Almeno 34 sono stati uccisi e si contano circa 81 tentativi di uccisione di giornalisti e attivisti dall’inizio delle proteste. [1]  I gruppi armati colpevoli di questi crimini godono di impunità e, nonostante le promesse di al-Kadhimi di perseguire e punire i responsabili, ben poco è stato fatto fino ad ora.


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Muqtada al-Sadr è emerso il vincitore di questa tornata elettorale, aggiudicandosi 73 seggi in parlamento, un incremento rispetto alle elezioni del 2018, in cui ne aveva vinti 54. Chi ne è uscito fortemente sconfitto è l’alleanza Fatah, supportata dall’Iran, che ha conquistato solo 12 seggi (nel 2018 erano stati 45).[2]
La reazione immediata è stato il rifiuto da parte di Fatah del risultato elettorale, denunciando alcune irregolarità durante il voto, seppur respinte dagli osservatori internazionali.
Le forze politiche in parlamento sono rimaste pressoché invariate ed è improbabile, dunque, che il nuovo parlamento riuscirà ad attuare i cambiamenti richiesti dal movimento di protesta.
La grande novità di questa tornata elettorale è rappresentata da alcuni candidati indipendenti, portavoci del movimento di protesta. Essi costituiscono una minoranza, seppur significativa e su di loro si concentra l’attenzione. Incapaci attualmente di formare un esecutivo, formeranno un’opposizione all’interno del parlamento[3], cercando di accrescere nel tempo la loro posizione. È incerto se piccoli partiti indipendenti, talvolta senza una significativa esperienza politica, riescano a rimanere coesi e siano in grado di sfidare lo status quo. La speranza è che, nel tempo, possano fare opposizione in maniera efficace e cercare di cambiare il sistema dall’interno, senza farsi intaccare e corrompere da questo.

Chi è Muqtada al-Sadr

Membro di un’importante famiglia di religiosi sciiti, Muqtada al-Sadr è riuscito a trarre vantaggio dal caos in cui riversava l’Iraq all’indomani della caduta del regime baathista e, da allora, al-Sadr è una figura di spicco del teatro politico iracheno. Spesso descritto come “imprevedibile e indisciplinato” e dall’ideologia incoerente, Muqtada al-Sadr ha giocato un doppio gioco che gli ha consentito, di volta in volta, di consolidare la sua base di consenso. È parte del sistema politico, ma si schiera contro di esso; è radicalmente sciita, ma ciò non gli ha impedito di allearsi con i sunniti e con la sinistra secolare.
Il movimento sadrista ha saputo sfruttare a proprio vantaggio il nuovo sistema elettorale e questo dimostra che non ci troviamo più di fronte ad un movimento disorganizzato e imprevedibile, privo di una linea strategica, come è stato spesso definito nel passato.
Ora al-Sadr, dopo aver vinto le elezioni in Iraq, ha promesso di combattere la corruzione e di porre fine alle ingerenze straniere nel Paese..
Progetti ambiziosi, dunque, ma carenti di credibilità dato che lo stesso movimento sadrista è parte di quella élite politica contro cui le proteste si sono dirette.
È pur vero che non è facile destreggiarsi all’interno del contesto iracheno. “Danzo ogni giorno sui serpenti in cerca di un flauto per controllarli”[4], disse il primo ministro Mustafa al-Kadhimi, con riferimento, in particolare, alla ricerca dell’equilibrio, molto precario, tra gli interessi statunitensi e quelli iraniani.
Muqtada al-Sadr non ha i numeri per poter governare da solo, per cui ha necessità di formare delle alleanze e si prospetta che la formazione del nuovo esecutivo richiederà lunghe trattative. È incerto se al-Kadhimi riceverà l’incarico per un nuovo mandato e se al-Sadr cercherà un largo consenso all’interno del blocco sciita, in linea con il consueto sistema iracheno di ripartizione del potere.  In questo caso, le elezioni non porteranno nessun cambiamento significativo sullo scenario politico. Chiunque prenderà il potere, però, avrà l’arduo compito di destreggiarsi tra i “serpenti” e cercare un modo per domarli. 


Note

[1] https://www.washingtonpost.com/world/iraq-militia-assassinations-fear/2021/05/12/501474c0-b1cc-11eb-bc96-fdf55de43bef_story.html?itid=ap_louisaloveluck
[2] https://www.iraq-businessnews.com/2021/10/12/iraq-elections-sadrists-gain-at-expense-of-pro-iran-fatah-alliance/
[3] https://www.rudaw.net/arabic/middleeast/iraq/191020214
[4] https://www.middleeastmonitor.com/20201028-kadhimi-is-dancing-with-snakes-without-a-flute/


Foto copertina: Un poster del religioso sciita Muqtada al-Sadr nel quartiere Sadr City di Baghdad. Un tempo nemico implacabile degli Stati Uniti, si è recentemente evoluto in una sorta di risorsa per Washington. Credito Andrea DiCenzo New York Times