La corsa allo spazio sta conoscendo una fase di vitalità rinnovata e significativamente aumentata rispetto ai decenni passati. L’Italia può cogliere questa sfida, attraverso una catena di valore che dall’economia nazionale possa far rilevare utili anche dai privati cittadini.
Il paradigma spaziale è andato evolvendosi negli anni attraverso innumerevoli declinazioni, rappresentando per alcuni Stati una costante cruciale negli interessi nazionali, come nel caso di Stati Uniti, Russia e Cina, talvolta determinando cambiamenti significativi nelle economie dei singoli settori coinvolti alla produzione di infrastrutture nel settore spaziale.
La recente liberalizzazione dei servizi satellitari collegati al settore delle comunicazioni, meteorologia, osservazione della terra e navigazione, ha creato per alcuni Stati, e per altri rilanciato, un nuovo settore economico che prende il nome di space economy[1].
Lo spazio rappresenta un’infrastruttura pervasiva e, nella visione sia scientifica che letteraria, senza confini, della quale non ci sono ancora chiare tutte le sue infinite potenzialità. Le infrastrutture spaziali creano una considerevole catena di valore capace di arrivare a tutti gli utenti grazie al mezzo di internet, includendo quindi privati cittadini ed enti istituzionali e commerciali.
Altra osservazione a riguardo del settore spaziale è relativa alla mancata categorizzazione di standard internazionali, risultando i dati economici e le sue rilevazioni legati al settore come frammentari e privi di una analisi completa del settore relativamente al suo impatto socioeconomico.
Lo spazio si conferma essere una delle frontiere più attraenti in termini di investimenti statali, con un numero di aziende e paesi che investono nel settore in continua crescita. Ciò è il paradigma di un’irrinunciabile attrattiva per lo sviluppo dei singoli stati.
Nel settore aerospaziale convergono tutte le sei key-enabling technologies[2], con almeno dodici delle 84 tecnologie prioritarie presentate dall’Associazione Italiana per la Ricerca Industriale[3].
Lo spazio, inteso in questi termini, pare proprio essere l’elemento chiave che scandirà il ritmo delle economie avanzate. In Italia la sfida è stata raccolta. Ciò accade grazie ad un patrimonio di scienza, tecnologia e industria invidiabile nel nostro paese, affiancato al dato di fatto che lo spazio rappresenti una delle migliori eredità che la classe dirigente italiana, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e durante tutto il periodo del boom economico italiano, è riuscita efficacemente a modernizzare ed implementare.
La regia italiana nel settore è firmata nel 1961 grazie all’intuizione di Luigi Broglio[4], dopo che il governo aveva approvato il primo piano triennale italiano per lo spazio.
L’Italia rappresenta, ad oggi, la settima potenza spaziale del mondo e la terza in Europa, oltre al fatto di essere il terzo contributore dell’Agenzia Spaziale Europea[5].
Nuovi incentivi che comportino ricadute sull’intero sistema industriale e produttivo del settore non potranno fare altro che apportare dei benefici significativi all’intero sistema economico nazionale, con l’Italia impegnata in programmi europei tra i quali Copernicus[6] e Galileo[7].
La nuova visione italiana dello spazio parte quindi da un’accurata analisi delle esigenze infrastrutturali che possano risultare necessarie a rafforzare il processo di space economy messo in atto negli ultimi anni, con particolare attenzione alla promozione e all’incentivazione nell’attirare investimenti provenienti da privati interessati ad intervenire nel settore.
La capacità italiana di attrarre finanziamenti pubblici e privati derivanti da settori non strettamente connessi alla costruzione di infrastrutture spaziali determinerà il successo della policy spaziale italiana. Attraverso la costruzione di un network di stakeholder nel settore spazio, vi sarà alla base una logica di attrattività commerciale derivante da profitti a carattere globale, attraverso una scelta di focalizzazione su talune specifiche attività legate alle infrastrutture spaziali che possano determinare una leadership italiana in un’area specifica connessa alla space economy.
Con 200.000 posti di lavoro lungo tutta la catena del valore, un turnover di oltre 15 miliardi di euro e oltre 1,5 miliardi investiti in ricerca e sviluppo, l’economia italiana vanta un posto di tutto rispetto nel settore della space economy. Tra potenzialità future ed opportunità del presente, spetterà alla Agenzia Spaziale Italiana, sotto il coordinamento del Governo italiano e in comune accordo con le immense possibilità di sviluppi tecnologici, scientifici e militari del settore proposte dalla Agenzia Spaziale Europea, sfruttare l’occasione per una nuova economia del futuro. Un’economia che, partendo dalle infrastrutture terrestri, riesce ad arrivare in orbita alla scoperta di nuove frontiere di sviluppo.
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[1]“La Space Economy è la catena del valore che, partendo dalla ricerca, sviluppo e realizzazione delle infrastrutture spaziali abilitanti, così detto “Upstream”, ovvero i pilastri della Space Industry, arriva fino alla generazione di prodotti e servizi innovativi “abilitati”, così detto “Downstream” (servizi di telecomunicazioni, di navigazione e posizionamento, di monitoraggio ambientale previsione meteo, etc.). Con il piano si definiscono le linee strategiche d’intervento in grado di consentire all’Italia di trasformare il settore spaziale nazionale in uno dei motori propulsori della nuova crescita del paese. Il Piano si propone anche come primo esempio di piano attuativo della Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente, rispondendo alla richiesta della Commissione Europea di programmare i fondi strutturali sulla base di una strategia unica integrata, dalla ricerca alla produzione. Uno degli obiettivi primari del piano strategico è quello di promuovere l’integrazione in unica azione di sistema dei programmi spaziali nazionali e delle politiche di sviluppo e coesione nazionali e regionali, raccogliendo gli obiettivi e le forze delle regioni interessate alle ricadute sui loro territori della Space Economy”. Agenzia per la Coesione Territoriale, http://www.agenziacoesione.gov.it/it/S3/Piani_strategici/Space_economy.html.
Il piano strategico di posizionamento nazionale è consultabile al link http://www.agenziacoesione.gov.it/opencms/export/sites/dps/it/documentazione/S3/Piani_strategici/all_6_Piano_Strategico_Space_Economy_master_13052016_regioni_final.pdf.
[2] “Le tecnologie abilitanti o KET (dall’inglese Key Enabling Technologies) sono ritenute fondamentali per la crescita e l’occupazione, poiché sviluppano soluzioni o miglioramenti tecnologici attraverso esperienze di ricerca capaci di rivitalizzare il sistema produttivo. Secondo la definizione data dalla Commissione Europea le tecnologie abilitanti sono tecnologie “ad alta intensità di conoscenza e associate a elevata intensità di R&S, a cicli di innovazione rapidi, a consistenti spese di investimento e a posti di lavoro altamente qualificati”. In quanto tali hanno rilevanza sistemica perché alimentano il valore della catena del sistema produttivo e hanno la capacità di innovare i processi, i prodotti e i servizi in tutti i settori economici dell’attività umana. Un prodotto basato su una tecnologia abilitante, inoltre, utilizza tecnologie di fabbricazione avanzate e accresce il valore commerciale e sociale di un bene o di un servizio”. Research Italy, https://www.researchitaly.it/tecnologie-abilitanti/#null.
[3] Le key Enabling Technologies nelle tecnologie prioritarie per l’Industria Nazionale, Working Document, Aprile 2013, Associazione Italiana per la Ricerca Industrale, https://www.slideshare.net/ArtiPuglia/le-key-enabling-technologies-nelle-tecnologie-prioritarie-per-lindustria-nazionale.
[4] Luigi Broglio (Mestre, 11 novembre 1911 – Roma, 14 gennaio 2001) è stato un ingegnere italiano. È considerato il padre dell’astronautica italiana.
[5] Emma Luxton, Which countries spend the most on space exploration?, World Economic Forum, 11 gennaio 2016, https://www.weforum.org/agenda/2016/01/which-countries-spend-the-most-on-space-exploration/
[6] Precedentemente conosciuto come GMES (Global Monitoring for Environment and Security), Copernicus è un complesso programma di osservazione satellitare della Terra lanciato nel 1998 dalla Commissione Europea e da un pool di agenzie spaziali. Il programma si inserisce nel più vasto progetto GEOSS, che mira allo sviluppo di un Sistema dei sistemi per l’osservazione globale della Terra. Il suo obiettivo principale è quello di garantire all’Europa una sostanziale indipendenza nel rilevamento e nella gestione dei dati sullo stato di salute del pianeta, supportando le necessità delle politiche pubbliche europee attraverso la fornitura di servizi precisi e affidabili sugli aspetti ambientali e di sicurezza. Tra le applicazioni dichiarate “Prioritarie” all’interno del programma, ci sono la gestione dei disastri naturali, il monitoraggio degli oceani, della vegetazione e dell’atmosfera. Ma lo sviluppo del progetto prevede che COPERNICUS ricopra un particolarmente significativo anche in altri ambiti: da quelli relativi ai cambiamenti climatici, alla protezione civile e lo sviluppo sostenibile. Pare infine sottolineare anche la rilevanza che il sistema acquisirà nel settore della sicurezza: Copernicus garantirà infatti la possibilità di gestire dati precisi e aggiornati, ad esempio, sugli spostamenti di profughi, sulle necessità di supporto logistico alle missioni militari, su eventuali minacce di carattere terroristico. Per ulteriori informazione è consultabile la pagina online http://www.copernicus.eu/
[7] Per ovviare ai limiti tecnici ed ai vincoli politico-militari esistenti, l’Unione Europea, attraverso la Commissione Europea, ha preso la decisione, in stretta collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea, di sviluppare un proprio sistema GPS, denominato Galileo, caratterizzato da maggiori livelli di precisione, affidabilità e sicurezza. Tra le caratteristiche principali vi è l’interoperabilità di Galileo con GPS e GLONASS in modo che l’utente può leggere la sua posizione fornita dai tre sistemi usando lo stesso ricevitore. In tal modo si può disporre di 60 satelliti invece di 30. Grazie a Galileo l’operatore è in grado di vedere fino a 20 satelliti, aumentando considerevolmente l’accuratezza nonché la disponibilità e la continuità del servizio. Il sistema Galileo è basato su 30 satelliti (27 attivi e 3 di riserva) disposti su tre orbite MEO (Medium Earth Orbit) circolari inclinate di 56° sull’Equatore ad una altezza di 23.616 km, con un periodo di circa 14 ore, in modo da dare una copertura ottimale della terra fino a latitudini di 75° Nord, corrispondenti a Capo Nord ed oltre.