In quanto megalopoli litorale, Giacarta deve affrontare le sfide sociopolitiche che un tale ambiente costiero presenta. A queste, però, si aggiunge un problema ancora più imminente: l’ancora attuale capitale dell’Indonesia potrebbe ritrovarsi, nel futuro prossimo, ad incarnare la mitologica Atlantide, e non sarà solo colpa del cambiamento climatico. Quale impatto sulla sicurezza?


A cura di Martina Maddaluno e Margherita Formisano

Nel 2022 circa la metà della popolazione mondiale risiede in città. Se questo sembra essere un dato importante, cosa ne sarà del mondo quando, entro il 2050, il livello di urbanizzazione raggiungerà il 68 per cento[1]?
L’incremento demografico mondiale che si verificherà nei prossimi trent’anni[2] circa, verrà assorbito quasi interamente dalle città, il che significa che i 2 miliardi di abitanti in più che ci saranno entro il 2050, abiteranno – quasi tutti – nelle metropoli o megalopoli mondiali. Un fenomeno di tale portata trascina con sé non poche implicazioni negative, soprattutto se saranno le megalopoli asiatiche una delle sedi principali della suddetta crescita demografica: ciò non farà che acuire le contraddizioni che da tempo si verificano in tali ambienti urbani già fortemente condizionati da degrado, sottosviluppo, tensioni sociali, cattiva amministrazione e assenza di legge. Si tratta di zone di difficile gestione, in cui una scintilla basta per scatenare l’incendio di Nerone e mettere così a repentaglio la sicurezza nazionale o regionale (laddove si consideri un eventuale spillover effect). Giacarta è l’esempio lampante dei problemi che attualmente affliggono le megalopoli asiatiche; se poi queste ultime – come l’ancora attuale capitale dell’Indonesia – sono anche litoranee, i disagi in cui riversano raddoppiano. Infatti, le dinamiche socioeconomiche che si verificano in tali ambienti costieri sono ancora più complesse: il litorale, questo limbo degradato, è l’interfaccia tra il mondo esterno e l’entroterra, perciò, risente dei problemi e delle contraddizioni di queste due zone, che sono tanto vicine quanto opposte. In particolare, le megalopoli litorali (come Giacarta) sono luoghi ad alto rischio criminale in quanto territori di passaggio tra il fuori e il dentro, per cui adatte ai traffici illeciti; sono luoghi a forte rischio insurrezionale in quanto è sempre presente una commistione di elementi diversi che vengono a contatto: etnie, religioni e istituzioni; ed infine, sono luoghi a forte rischio ambientale a causa degli effetti collaterali del surriscaldamento globale. Giacarta è vittima di tutto ciò (e di altro), pertanto è il caso studio per eccellenza per addentrarsi nella scoperta delle dinamiche e delle minacce che le megalopoli litorali – e più specificamente quelle della regione dell’Asia-Pacifico – si ritrovano a vivere e a fronteggiare quotidianamente. Infatti, con una popolazione di oltre 11 milioni di abitanti, l’ancora attuale capitale dell’Indonesia deve fare i conti con una crescente proliferazione di insediamenti informali (baracche o baraccopoli), con la mancanza di acqua potabile e di sistemi fognari adeguati, con vaste e sempre più frequenti alluvioni che legate ai più rapidi cedimenti mondiali del suolo portano la capitale ad un progressivo sprofondamento[3], nonché con i numerosi traffici illegali di donne e bambini, e con le sporadiche rivolte causate della convivenza sociopolitica di etnie e religioni differenti. Esaminare ogni singola problematica di cui Giacarta è vittima è un’impresa che richiede pagine e pagine di trattazione, per questo, in tal sede, verrà posta l’attenzione su quelle più allarmanti, siano esse considerate tali per urgenza sanitaria, sociale o ambientale, e si noterà come il minimo comun denominatore tra i tre fenomeni analizzati è la povertà.

La tratta di minori

Il problema del traffico e dello sfruttamento di minori a fini sessuali non è un fenomeno nuovo in Indonesia: c’è chi sostiene che le ragazzine venivano trafficate sin dall’inizio dell’era del regno giavanese, anzi erano le loro stesse famiglie – di solito di basso rango – a venderle affinché potessero imparentarsi con la famiglia reale, e quindi aumentare il loro status sociale. I tempi sono cambiati ma la povertà continua a mietere vittime, e non è solo il corpo di questi minori a pagarne i danni, l’anima pure. Infatti, i bambini prede dei trafficanti sono poveri, non istruiti, quasi abbandonati a loro stessi. E spesso, ancora oggi, sono i genitori ad accettare di vendere i propri figli in cambio di denaro. Non sempre però conoscono il tipo di sorte che spetta loro, varie sono le opzioni: sfruttamento tramite prostituzione, sfruttamento tramite schiavitù, sfruttamento in fabbrica. Certo è che, poiché c’è una domanda costante di giovani lavoratori nell’ambito della prostituzione, che sia sull’isola o all’estero, molte sono le bambine e i bambini reclutati[4] per questo motivo. E, a proposito delle destinazioni estere, figurano tra le zone che ricevono i minori che sono vittime di tratta il Giappone e la Malesia, ciò a dimostrazione del fatto che l’ambiente litorale sfrutta i canali di comunicazione via mare per i traffici illegali.
Con riguardo ai numeri, invece, al momento non esistono dati affidabili sulla quantità di bambini trafficati e obbligati ad offrire prestazioni sessuali in Indonesia o a Giacarta – ciò a causa della natura illegale del mercato della prostituzione minorile – tuttavia, i dati dell’ILO del 2008[5], sebbene non attuali, mostrano come, allora, più di 180’000 bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni erano sex workers nell’intera nazione, e l’80% delle bambine che lavorava nei nightclub di Giacarta offriva prestazioni sessuali. Anche se non tutte/i quelle/i che lo fanno erano e sono vittime di tratta, anzi c’è chi lo fa senza essere stato ingannato, reclutato e obbligato, non si tratta di una scelta: la povertà familiare non lo è.
In conclusione, sebbene conoscere i dati sia importante per comprendere l’entità del fenomeno della tratta minorile e provare ad arginarlo, o quantomeno a ridurlo, nessun dato potrà mai rendere l’idea della sorte che spetta a questi bambini tanto quanto può farlo una storia: la storia raccontata da Erma[6] ad esempio. Erma era una ragazza di 15 anni, nata e cresciuta in Giava Occidentale, quando lo zio la portò a Giacarta e la consegnò ad un suo amico. Le disse che avrebbe lavorato con lui come cameriera in un piccolo negozio di tè. Ciò accadde, ma quando il lavoro nel negozio terminava, Erma doveva trascorrere l’altra parte del suo tempo al parco, non per giocare, ma per ricevere “clienti”, tornare e pagare il suo protettore, l’amico di suo zio. È infatti così che Erma perse la sua verginità.

Gli slum

Anche la storia di Neng[7], quattordicenne residente a Giacarta, è emblematica per comprendere le condizioni di vita in cui riversano molti residenti. La giovane vive in uno degli slum più poveri e popolati di Giacarta, dove il sole è nascosto dalle altissime costruzioni di fronte alla baraccopoli, e la poca luce che si intravede è data dai vari neon appesi ai fili dei vicoli stretti. Neng ha abbandonato gli studi e alterna le sue giornate tra il lavoro alla bancarella di famiglia e quello nella fabbrica di magliette (anch’ella, dunque, è parte della percentuale di ragazzi che svolge lavoro minorile).
Nonostante gli scarsi servizi igienici offerti e la mancanza di spazi sicuri in cui trascorrere le proprie giornate da adolescente, Neng in quel posto si sente a casa. Ed è così anche per gli altri: non avendo mai vissuto una vita diversa da quella che si sono ritrovati a vivere, non vorrebbero andar via perché sentono forte il senso di unità e comunità. Questo accade in tutte le baraccopoli, anche se non tutte sono uguali: ci sono slum più affollati, in cui un solo appartamento è condiviso da più di venti persone, senza magari i servizi igienici fondamentali, e altri meno affollati in cui le abitazioni sono distribuite su diversi piani e con spazi più numerosi e più ampi. Quello di Jembatan Besi, luogo in cui vive Neng, appartiene alla prima categoria.
A pochi chilometri dal suo slum, risalta la presenza di un enorme centro commerciale, annesso di piscina e giardino, e questo non fa altro che mettere in evidenza il divario socioeconomico in cui riversa la megalopoli. Non esistono dati attendibili che misurino il divario tra i più ricchi e i più poveri a Giacarta, però, è certo che, negli ultimi due decenni, tale divario è cresciuto nell’intero Paese più rapidamente che in qualsiasi altra Nazione del Sud-est asiatico.
Basti pensare che, ad oggi, i quattro uomini più ricchi dell’Indonesia possiedono un patrimonio superiore alla ricchezza delle 100 milioni di persone più povere.
Attualmente l’Indonesia è il sesto Paese al mondo per disuguaglianza di ricchezza[8], infatti, la sua capitale è costituita per il 50% da insediamenti informali. Ciò significa che la maggior parte delle persone vive in pseudo-abitazioni costruite con materiali precari, dove i soffitti non superano il metro e venti di altezza e i pavimenti sono instabili.
Insomma, le condizioni di queste baraccopoli sono di totale povertà: non hanno servizi basilari come acqua potabile o elettricità, e la situazione peggiora addirittura dopo forti acquazzoni che causano alluvioni: nel 2020, si è verificata la peggiore catastrofe ambientale dal 2013, con decine di morti ed interi villaggi trasformatisi in fiumi in piena, capaci di trascinare alberi, automobili, cadaveri…
Il fenomeno degli slum ha cominciato ad intensificarsi in seguito all’indipendenza dell’Indonesia del 1945, la quale ha portato ad una forte urbanizzazione e, di conseguenza, ad un boom edilizio. Questo ha fatto sì che la città di Giacarta fosse interamente ricoperta di cemento, ma non in grado di ospitare in sicurezza tutte le persone che la abitano. Gli spazi abitativi più decenti sono diventati sempre più costosi e, di conseguenza, coloro che non possono permettersi un’abitazione dignitosa, si sono ritrovati costretti a vivere in posti raccapriccianti.

L’innalzamento del livello del mare, le alluvioni, la subsidenza: Giacarta affonda.

Cemento. Di Cemento sono anche i venti chilometri di mura costruiti negli ultimi tre anni attorno alla città di Giacarta. Si tratta di una lunga barricata che separa gli slum dal mare, frutto di un disperato tentativo volto ad evitare che i quartieri settentrionali della città vengano presto inghiottiti dall’acqua. Ma il destino di Giacarta sembra essere già segnato: gli esperti sostengono che entro il 2050 il 95% della parte costiera della città si ritroverà sommerso. Perché? Innanzitutto, come è ben noto, il livello dei mari è in salita: lo scioglimento dei ghiacciai – soprattutto delle calotte della Groenlandia e dell’Antartide[9] – dovuto al surriscaldamento dell’atmosfera, comporta una tale conseguenza.
In secondo luogo, bisogna considerare che il surriscaldamento globale ha aumentato anche il verificarsi di piogge estremamente intense; infatti, per ogni grado di surriscaldamento aggiuntivo, l’atmosfera accumula, in media, circa il 7% di umidità in più. Una maggiore umidità atmosferica comporta brevi e intensi acquazzoni. Ciò aumenta, dunque, il rischio di alluvioni improvvise. Questo è esattamente quanto accade a Giacarta: ogni anno decine di migliaia di persone sono costrette ad evacuare le loro abitazioni perché l’acqua che straripa dai fiumi – in seguito a bombe d’acqua che piovono dal cielo – arriva a raggiungere anche i due metri di altezza[10], rendendo interi villaggi inagibili.
In terzo luogo, a contribuire allo sprofondamento della capitale, vi è anche il fenomeno della subsidenza, ossia il lento e graduale cedimento del terreno causato dalla progressiva rimozione di acqua dal sottosuolo della megalopoli. Per comprendere l’entità del fenomeno, si pensi che, nell’ultimo decennio, la zona nord di Giacarta è sprofondata di 2,5 metri e in alcune zone continua a sprofondare di 25 cm all’anno, più del doppio della media globale delle megalopoli litorali[11].
La subsidenza ha cominciato ad interessare prepotentemente la città in seguito ad una regolamentazione locale che dava il permesso a tutti i proprietari – di abitazioni o attività – di estrarre acqua dalle falde acquifere al fine di utilizzarla per bere, lavarsi o cucinare. Ciò ha fatto sì che circa i tre quarti degli abitanti di Giacarta estraesse dal sottosuolo molta più acqua di quanto era stato concesso, causando danni permanenti. Questo perché l’acqua che scorre nelle tubature idriche dell’intera città è cara, non sempre disponibile, né tantomeno potabile.
Purtroppo, però, interrompere completamente l’estrazione di tutte le acque sotterranee e fare affidamento esclusivamente su altre fonti d’acqua (acqua piovana, fiumi o acqua delle dighe) è impossibile, in quanto, secondo un esperto del settore, Heri Andreas, le tempistiche non giocano a favore della megalopoli: sarebbero necessari circa dieci anni per ripulire fiumi, dighe e laghi in modo da rendere la loro acqua bevibile, così da evitare l’approvvigionamento dal sottosuolo, e nel frattempo la situazione continuerebbe ad aggravarsi.
Sicuramente, infine, a peggiorare il problema della subsidenza, c’è la brutale cementificazione di Giacarta: i numerosi edifici e costruzioni che sorgono sulla città finiscono col pesare su un suolo già precario, il quale – in stretta misura – unito agli altri fenomeni causati dal surriscaldamento globale, sta portando a poco a poco la capitale dell’Indonesia ad incarnare la mitologica Atlantide.

Conclusione

Ci sono pochi luoghi al mondo vulnerabili come Giacarta: a causa della sua posizione geografica, ma anche, e forse soprattutto, a causa della povertà in cui sguazza, questa città sembra non avere speranze di sopravvivenza. Certo, nel 2022, in piena emergenza climatica, l’ancora attuale capitale dell’Indonesia è a rischio per il solo fatto di essere un ambiente litoraneo, ma se non fosse per il continuo approvvigionamento dalle falde acquifere, causato dalla necessità di garantirsi acqua potabile in modo economico – necessità quasi giustificata considerando il divario socio-economico della popolazione – allora il disastro che incombe sulla città non sarebbe così imminente. Infatti, sebbene molte città costiere, come New York e Shanghai, siano state costrette dalla minaccia del cambiamento climatico a costruire alte mura per proteggersi, non si ritrovano nelle condizioni in cui oggi si ritrova Giacarta.
Sicuramente, un’adeguata gestione delle acque reflue sarebbe un primo passo per salvare la città, o quantomeno rinviare la catastrofe. Attualmente, solo il 2% delle abitazioni nel centro di Giacarta è collegato alla rete fognaria pubblica[12]. La maggior parte delle famiglie urbane dispone di fosse settiche, che però perdono, e quindi non hanno bisogno di essere svuotate, in quanto confluiscono direttamente nei campi agricoli, nei fiumi e per le strade. Le ripercussioni sulla salute e, quindi, sulla vita delle persone, sono immense. Anche indirettamente. Un moderno impianto fognario potrebbe, infatti, favorire lo scolo delle bombe d’acqua[13] che si scagliano a cadenza regolare sulla città e che stanno portando la stessa ad essere inghiottita dall’acqua. Inoltre, un tale sistema fognario potrebbe migliorare la qualità delle acque sotterranee, evitandone l’inquinamento da parte delle acque di scarico, e ciò diminuirebbe l’alto tasso di mortalità infantile di cui oggi Giacarta è vittima. In più, a causa dell’acqua contaminata, il tifo è una delle malattie più diffuse, e tramite le scarse condizioni igieniche delle baraccopoli – che sono iper-popolate – il contagio aumenta sproporzionatamente. Allora, sebbene un tale progetto non possa essere la soluzione a tutti i mali che affliggono la megalopoli, ci si chiede cosa aspetti il governo per iniziare ad intervenire.
Innanzitutto, tale opera pubblica è estremamente costosa, e i cittadini sembrano non voler contribuire a finanziarla, sia perché non ne comprendono i benefici: nessuna campagna di sensibilizzazione idonea è stata fatta – ed informare ed educare sarebbe necessario per mettere in atto tali piani di sicurezza; sia perché, per quanto guadagnano, probabilmente non potrebbero permetterselo. Si pensi, appunto, alla tratta dei minori: spesso, sono gli stessi genitori a vendere i propri figli proprio per una questione economica, o sono questi ultimi che decidono di prostituirsi per aiutare la famiglia a sopravvivere nella povertà.
In secondo luogo, la situazione sembra ormai irreversibile, tant’è che il parlamento indonesiano ha approvato la legge che prevede lo spostamento della capitale da Giacarta a Nusantara[14], quasi come se si fosse gettata la spugna. Giacarta è in vetta alle classifiche dei grandi agglomerati urbani che queste sfide di conservazione potrebbero non vincerle, e a pagarne le conseguenze sarà l’intera Nazione. La popolazione di Giacarta, senza dubbio, vedrà messa a rischio la propria sicurezza, ma sarà l’intera Indonesia ad essere compromessa: le persone si ritroveranno ad abitare in luoghi sempre più affollati, a causa delle migrazioni dalle zone che diverranno inabitabili, e con sempre meno risorse, e si sa che, in tali condizioni, il rischio che scoppi una rivolta è alto. Dunque, ad essere minacciata è la sicurezza umana, nazionale, e forse, internazionale.


Note

[1]www.un.org/development/desa/publications/2018-revision-of-world-urbanization-prospects.html
[2]World Population Prospect 2019, UN, 2019
[3]JAKARTA. Urban Challenges in a Changing Climate. Mayors’ Task Force On Climate Change, Disaster Risk & The Urban Poor, The World Bank, 2010
[4]Si ricordi la definizione di tratta secondo il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale. Da tale definizione emergono le tre componenti importanti che definiscono il processo di tratta: il falso reclutamento, l’uso dell’inganno o della forza e, soprattutto, lo scopo di trarre profitto attraverso lo sfruttamento.
[5]REPORTAGE Child Labor Around us 2012, AJI, ILO, 2012, p. 37
[6]Child trafficking for prostitution in Jakarta and West Java: a rapid assessment, ILO, 2004, p.
[7]https://blogs.unicef.org/east-asia-pacific/the-dark-of-day-life-in-jakarta-urban/
[8]www.oxfam.org/en/inequality-indonesia-millions-kept-poverty
[9]www.worldwildlife.org/pages/why-are-glaciers-and-sea-ice-melting
[10]www.aljazeera.com/gallery/2021/2/21/in-pictures-jakarta-slammed-by-monsoon-floods
[11]www.bbc.com/news/world-asia-44636934
[12]blogs.worldbank.org/eastasiapacific/cities-without-sewers-solving-indonesias-wastewater-crisis-realize-its-urbanization
[13]P. Foradori, G. Giacomello, Sicurezza globale. Le nuove minacce, il Mulino, Bologna, 2014, p. 84
[14]www.ilpost.it/2022/01/19/indonesia-capitale-cambiata-legge/


Foto copertina: Inondazioni che tagliano la Raya Bintara Road. il 1 gennaio 2020. Wikipedia