Dopo 13 anni, con una sentenza del 21 gennaio 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la Federazione Russa per la violazione della CEDU e di alcuni protocolli addizionali.
Dopo tale pronuncia, la posizione russa risulta gravemente compromessa nel quadro del Consiglio d’Europa. Quale futuro si prospetta all’orizzonte?


 

Il conflitto russo-georgiano

Il conflitto tra Russia e Georgia scoppia nella notte tra il 7 e l’8 agosto del 2008, con l’invasione da parte della Georgia della Repubblica dell’Ossezia del Sud[1]. Il giorno successivo il presidente georgiano Mikheil Saak’ashvili, in forza degli articoli 73(1) e 46(1) della Costituzione georgiana, dichiara lo stato di guerra in tutto il territorio georgiano per i successivi 50 giorni. La maggior parte degli scontri si è concentrata nella capitale sud osseta di Tshinkvali, dove i militari georgiani hanno causato uccisioni e ingenti danni agli edifici del centro cittadino. La controffensiva russa non tarda ad arrivare, con i bombardamenti nella città di Gori, negli aeroporti di Vaziani e Kutaisi e sul porto di Poti sul Mar Nero.                       
L’apertura di un nuovo fronte di guerra nella regione separatista dell’Abcasia contribuisce ad esacerbare ulteriormente le ostilità in una regione caratterizzata da equilibri già assai precari.                                          
Nel giro di pochi giorni i militari russi costringono i georgiani a ripiegare verso Tbilisi.                                     
Ciò porterà alla conclusione di un accordo di pace tra i due paesi, con l’intermediazione dell’Unione Europea, a cui farà seguito l’individuazione unilaterale (da parte della Federazione russa) di una zona cuscinetto tra le due repubbliche. Il ritiro dei militari sarà purtroppo lento e riluttante.

Le violazioni della CEDU e dei protocolli addizionali 1 e 4

Lo scorso 21 gennaio, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è finalmente pronunciata in merito ai drammatici eventi della guerra tra Russia e Georgia del 2008[2]. La Grande Camera ha accertato la violazione da parte della Federazione Russa degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura e divieto di trattamenti inumani e degradanti), 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e 8 (diritto alla vita privata e familiare) della CEDU. A giudizio della Corte tutti gli eventi successivi al “cessate il fuoco” del 12 agosto del 2008, dopo lo scoppio del conflitto dell’8 agosto, sarebbero da ricondurre sotto la giurisdizione di Mosca. Innanzitutto va ricordato come l’accordo di interruzione delle ostilità, a cui ha fatto seguito un altro accordo della medesima natura (Sarkozy-Medvedev agreement), non sia stato subito applicato dalle autorità russe.
In secondo luogo, la sentenza mette in luce come l’azione dei militari russi e sud-osseti in Sud Ossezia e nella buffering zone abbia rappresentato una violazione del diritto alla vita dei civili georgiani.                   
Le autorità sud-ossete sono poi responsabili della detenzione illegale e arbitraria di 160 civili georgiani, di cui la maggior parte donne e anziani. Tale misura privativa della libertà personale non solo ha rappresentato una violazione dell’art. 5, costituendo anche un grave pregiudizio per l’incolumità psico-fisica delle vittime per le condizioni inumane e degradanti in cui riversavano e per gli atti di tortura subiti.
Con riferimento ai protocolli addizionali, sono state accertate le violazioni degli artt. 1 e 2 del Protocollo 1 (diritto di proprietà e diritto all’istruzione) e l’art. 2 del Protocollo 4 (libertà di circolazione). Secondo la Corte i militari russi e sud osseti si sono resi responsabili di saccheggi e incendi delle abitazioni georgiane. Hanno altresì distrutto scuole e biblioteche, rivolgendo minacce nei confronti dei professori e degli studenti. Le autorità russe e separatiste hanno infine impedito a circa 23.000 dispersi di etnia georgiana di fare ritorno nel loro paese.

La posizione russa nel Consiglio d’Europa

Dopo tale pronuncia, la posizione della Russia all’interno del Consiglio d’Europa si aggrava sempre di più. Innanzitutto alla luce di un’altra recente sentenza, che ha definito come illecita l’annessione della Crimea (ex iniuria ius non oritur) del 2014: secondo la Corte la penisola della Crimea resta sotto la sovranità dello stato ucraino. In più c’è evidenza di violazioni dei diritti umani di ucraini e tatari in Crimea (sparizioni forzate e torture) commesse dalla Federazione Russa[3]. A tali accuse vanno aggiunte le gravi violazioni dei diritti umani della seconda guerra cecena accertate dalla Corte, in relazione a cui si pensò già di sospendere la membership russa nel Consiglio d’Europa[4]. Secondo il Cremlino il giudizio della Corte rifletterebbe un orientamento “politicizzato” e “distorto”. Già nel 2015 Putin annunciò che la Russia era sul margine di abbandonare il Consiglio d’Europa, a causa dei numerosi episodi di condanna. La perseveranza di tale atteggiamento rappresenta senza alcun dubbio un vulnus dei diritti contenuti nella CEDU e nei suoi protocolli addizionali, nonché un’offesa dei principi della comunità di diritto europea. Per tale motivo la posizione russa nel quadro del Consiglio d’Europa sembra più che mai in bilico.             


                                       Note   

[1]https://www.opiniojuris.it/non-solo-il-nagorno-karabakh-i-movimenti-separatisti-in-georgia/
[2] Per ulteriori approfondimenti si rimanda al testo integrale della sentenza:https://echr.coe.int/Documents/GC_Judgment_20210121_ENG.PDF
[3] https://www.theguardian.com/world/2021/jan/21/russia-human-rights-violation-georgia-war-echr-ruling
[4] https://www.opiniojuris.it/cecenia-kadyrovi/


Foto copertina: Le battaglie a Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia meridionale separatista sostenuta dalla Russia, hanno lasciato la città gravemente danneggiata e molti senza rifugio.AP