Come si vedono le “due Cine”? Strategie a confronto
La guerra civile cinese non si è conclusa nel 1949. Con la fuga dei nazionalisti dall’altra parte dello Stretto di Formosa, sull’isola di Taiwan, il conflitto ha soltanto cambiato località, caratteristiche e intensità.
A seguito della vittoria comunista nella guerra civile cinese sulla Cina continentale fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese (RPC) mentre il governo nazionalista del Kuomitang guidato da Chiang Kai-shek si rifugiò a Taiwan dando vita alla Repubblica di Cina (RDC). Da allora la RPC ha sempre considerato Taiwan quale provincia rinnegata. Entrambe però dichiarano ancora oggi di essere le legittimi rappresentanti della Cina. Per molti anni la RDC fu riconosciuta a livello internazionale. A seguito, però, dell’apertura alla Cina negli anni Settanta Taiwan perse il suo seggio di rappresentanza alle Nazioni Unite (1971) e piano piano la comunità internazionale, con poche eccezioni[1], scelse di riconoscere la Repubblica Popolare, per il suo peso economico e politico, quale legittimo rappresentante dell’intera Cina[2].
Distante solo 180 km dalla Cina continentale, Taiwan rappresenta una barriera alla piena influenza cinese nel mare antistante, nonché una fonte di legittimazione esterna al Partito-Stato. La RDC viene considerata anche una minaccia alla sicurezza della Repubblica Popolare in quanto alleata militare degli Stati Uniti. Inoltre, Taiwan è leader mondiale nel campo dei semiconduttori, prodotto indispensabile e ricercato di questi tempi, e ha una forte importanza simbolica: potrebbe indebolire l’autorità politica e morale della RPC e l’idea di identità culturale cinese quale “unica e condivisa”[3]. Per la Repubblica Popolare, quindi, è necessario che Taiwan si riunisca alla terraferma. Garantirebbe sicurezza nazionale, priverebbe gli USA di un cruciale tassello strategico nella regione ed eliminerebbe un avversario ideologico, politico e militare.
Dopo le crisi del 1954-55, del 1958 e del 1995-1996, risolte dalla presenza militare statunitense, la tensione tra le due Cine ha recentemente ripreso vigore. Molte cose sono però cambiate in questi venti anni.
Making China Great Again
La leadership di Xi Jinping, al potere dal 2013, ha risvegliato un nazionalismo cinese che predica la necessità di tornare ad essere ricchi, rispettati e potenti.
Di riacquisire il posto che la Cina merita nel sistema internazionale. Tale progetto si articola in più punti:
- Riacquistare il predominio in Asia. Un predominio che assume varie forme: ideologico, culturale, politico, economico e anche militare. Simile a quello di cui la Cina godeva prima “dell’intrusione” occidentale a fine XIX secolo.
- Rafforzare e riacquisire il controllo nei territori storicamente sotto controllo cinese, tra cui Xinjiang, Tibet, Hong Kong e Taiwan.
- Non ci possono essere due Cine. La Repubblica Popolare di Cina è l’unica Cina possibile. Taiwan tornerà a far parte della Madre Patria.
- Riottenere l’influenza su tutta l’Asia e sui mari a est e a sud. Ciò implica rivendicare (o costruire) gli isolotti nel Mar Cinese Meridionale e in quello Orientale.
- Ottenere il rispetto della comunità internazionale
Il principio della Cina unica e della riunificazione territoriale erano caratteristiche comuni alle passate leadership cinesi.
Con Xi non cambia la sostanza bensì lo stile. Oggi si sente l’urgenza di portare a termine questi progetti. Rappresenterebbero fattori di rilevanza storica per l’eredità politica del leader cinese. Senza contare che ci stiamo avvicinando a degli appuntamenti chiavi per la “rinascita” cinese: il centenario del Partito Comunista, il prossimo mese; il centenario dell’Esercito di Liberazione nel 2027 che dovrebbe portare a termine le riforme militari di Pechino; il centenario della Repubblica Popolare nel 2049, data per la quale la leadership cinese si augura di vedere una Cina a capo del sistema internazionale.
La RPC desidera enormemente il riconoscimento del proprio status di grande potenza. Per ottenerlo reputa decisivo risolvere la questione di Taiwan. Considera l’esistenza di “un’altra Cina” un affronto che mina la sua legittimità internazionale.
L’urgenza recente deriva da opportunità intraviste nell’attuale distribuzione di forze: un sistema internazionale che si avvia a tornare multipolare e la percezione che gli USA stiano decadendo dalla posizione di primato mentre la Cina sta ascendendo.
I limiti temporali sopra esposti non sono rigidi. Simili obiettivi sono stati dettati in passato più da dinamiche politiche interne che da altro. Il tempo non è un problema. La Cina si considera elemento fisso nello spazio: c’è sempre stata e sempre ci sarà, da millenni e per millenni. L’unica differenza è il ruolo cinese nel sistema internazionale.
Per la RPC, quindi, la Cina deve e sarà riunificata. Fa parte del corso della storia[4]. È importante ricordare poi che un principio fondante della politica estera cinese è quello di non ingerenza negli affari interni di uno Stato: la questione di Taiwan rientra negli affari interni della Cina e perciò non sono permesse alcune ingerenze esterne, men che meno quelle americane. Xi ha anche sostenuto che la riunificazione pacifica è nel miglior interesse di tutte le parti perché “cinesi non combattono altri cinesi”. La formula per la riunificazione deve essere “un paese, due nazioni” come messo in pratica a Hong Kong[5]. Peccato che nell’ex colonia britannica il sistema “one country, two systems” sia stato soppresso appena pochi mesi fa. D’altronde l’uso della forza potrebbe risultare controproducente per Pechino: l’azione militare contro la RDC danneggerebbe irrevocabilmente l’immagine della RPC nel mondo, mostrando la sua aggressività e la necessità di contenerla. L’opposto dell’immagine che la RPC vuole diffondere nel mondo. A quel punto lo status-seeking cinese sarebbe compromesso.
La storia ha insegnato alla classe politica cinese l’importanza dell’ordine e un efficiente apparato governativo è essenziale per ottenerlo. Il governo, oggi incarnato dal Partito, è visto in Cina quale principale forza governatrice del sistema. La sua legittimità proviene dall’efficienza, non dalla volontà popolare come nelle democrazie liberali. La leadership comunista è riuscita a rimanere al timone del paese dopo il 1978 assicurando stabilità interna e prosperità economica. In tempi turbolenti di globalizzazione economica, ha compreso che la sicurezza non poteva essere associata stabilmente al benessere economico.
Era troppo rischioso. Xi Jinping ha quindi rispolverato il nazionalismo cinese quale ulteriore forma di legittimità[6]. Una strategia che consiste in legittimità tramite rinascita della potenza. Da qui la retorica secondo cui il riposizionamento della Cina quale centro del sistema internazionale è quindi un dovere morale per le attuali e future generazioni. Paradossalmente, negli ultimi anni in Cina viene rivista anche la figura di Chiang Kai-skek, prima leader dei nazionalisti cinesi e poi del regime repressivo a Taiwan, in quanto vero patriota cinese e legame innegabile tra la RPC e la RDC. A Taiwan, invece, Kai-shek evoca oggi prevalentemente il ricordo di un regime autoritario e violento.
La versione di Taiwan
Dall’altra parte dello Stretto, Taiwan ha sviluppato un modello alternativo di modernità cinese, conflittuale con quello della RPC. Dopo anni di regime autoritario guidato dai nazionalisti cinesi esuli, la RDC è oggi governata dal Democratic Progressive Party (DPP) che spinge per la formazione di un’autentica identità taiwanese. Sostenendo che il quadro regionale è cambiato e con esso pure la natura sociopolitica e la mentalità di Taiwan, il DPP dichiara l’esigenza di misure più autonome.
Tali misure autonome, alle loro estreme conseguenze, potrebbero portare alla rinnegazione delle radici cinesi e a una dichiarazione d’indipendenza. In tal caso la Cina si sentirebbe chiamata ad intervenire militarmente e gli Stati Uniti dovrebbero scegliere se sacrificare Taiwan per evitare un conflitto militare su larga scala. In questa chiave vanno letti anche le proposte degli ambienti taiwanesi più progressisti di modificare la Costituzione in modo da eliminare ogni riferimento all’unificazione con la Cina continentale[7].
I rapporti con la Repubblica Popolare sono tesi. La Repubblica di Cina chiede il riconoscimento della propria unicità, della propria struttura politica quale parte integrante della sua identità e l’eguaglianza di trattamento, contrariamente alle istanze della RPC che si rappresenta come il padre in una famiglia confuciana in cui sono tutti uguali ma il padre ha maggiore forza. Le leadership cinesi hanno sempre respinto queste richieste. La questione dell’identità della RDC ha ampliato le differenze tra DPP e il Partito Nazionalista che considera pragmaticamente i legami con la RPC più stretti[8].
La democratizzazione della ROC è una manifestazione chiara non solo di maggiori libertà sociali e politiche ma anche il simbolo di una propria e separata identità. Un incisivo segnale di differenziazione dalla RPC e un passo di avvicinamento alle democrazie occidentale, prima fra tutti gli Stati Uniti. La democratizzazione implica anche una strategia di sicurezza dell’isola: dopo il cambio di riconoscimento statunitense da Taipei a Beijing era necessario assicurarsi il sostegno USA che sarebbe stato più probabile se Taiwan fosse stata una democrazia, anche alla luce della complicata relazione Washington-Beijing. La paura dell’abbandono statunitense impernia la RDC dalla sua proclamazione.
Per la Repubblica Popolare Cinese la democratizzazione di Taiwan costituisce un’altra linea di demarcazione tra gli “esuli” e la terraferma. Mette in dubbio la retorica cinese della “comunità dal destino comune”[9]. Non è un caso, infatti, che la terza crisi tra RPC e RDC sia avvenuta nel biennio 1995/1996 proprio mentre Taiwan completava il proprio processo di democratizzazione.
Note
[1] Ad oggi sono solo 15 gli Stati nel mondo che riconoscono la RDC.
[2] Per un esaustivo resoconto della storia e delle relazioni PRC-Taiwan si rimanda a Cina-Taiwan: una controversia infinita per raggiungere la “One China”, Opinio Juris, www.opiniojuris.it/cina-taiwan-una-controversia-infinita-per-raggiugere-la-one-china/.
[3] Brown K., Wu-Tzu-hui K. The trouble with Taiwan Londra: ZED Books, 2019, p. 55
[4] Una storia scientificamente determinata, all’interno di una visione marxista.
[5] Punti ripresi dal discorso di Xi Jinping ai “compatrioti cinesi” il 2 gennaio 2019. Highlights of Xi’s speech at gathering marking 40th anniversary of Message to Compatriots in Taiwan, Xinhua, 2 gennaio 2019.
[6] Caratteristica non solo cinese negli ultimi anni ma tratto comune a molti Stati: il trumpismo americano o la Brexit britannica ne sono esempi.
[7] La Costituzione della ROC riconosce la Cina, la Mongolia, Taiwan, il Tibet e il Mar Cinese Meridionale quale parte integrante della Repubblica di Cina. Taiwan lawmakers seek to remove references to Chinese unity from constitution. South China Morning Post, 2 febbraio 2021.
[8] Brown K., Wu-Tzu-hui K. The trouble with Taiwan Londra: ZED Books, 2019, p. 207.
[9] Punti ripresi dal discorso di Xi Jinping ai “compatrioti cinesi” il 2 gennaio 2019. Highlights of Xi’s speech at gathering marking 40th anniversary of Message to Compatriots in Taiwan, Xinhua, 2 gennaio 2019.
Foto copertina: Immagine web