Dialoghi con Gianluigi Negro, autore di “Le voci di Pechino. Come i media hanno costruito l’identità cinese” (Luiss Press, 2022).


A cura di Mameli Carlotta e Montella Monica

Lo studio dei media in Cina costituisce un tema di grande interesse vista la rilevanza che il sistema mediatico cinese ha assunto tanto a livello nazionale quanto globale. Gianluigi Negro, docente di Lingua e traduzione cinese presso l’Università di Siena, ricercatore presso il China Media Observatory e l’Istituto di Giornalismo e Comunicazione della Peking University e della Tsinghua University, con “Le voci di Pechino. Come i media hanno costruito l’identità cinese” (Luiss Press, Acquista qui) prende in esame i diversi mezzi di comunicazione e la loro interazione. Chiaramente ci sono mezzi di informazione che sono inevitabilmente preponderanti in diversi periodi storici. Negro analizza il ruolo della “stampa e la radio” (1949-1977), quello della Televisione e del Cinema (1978-2007), quello di Internet (2008-2014) fino ai nuovi media.

In che modo l’investimento del governo cinese sui media si inserisce nella lotta ideologica con l’occidente? Si tratta di un settore abbastanza nuovo per la Cina, mentre l’Occidente da tanto tempo ormai ha a che fare con questo potente mezzo. La strategia mediatica del governo cinese si può inserire nella stessa ottica di voler sfidare l’Occidente con i propri mezzi (i.e., creando canali di informazione alternativi e vietando l’utilizzo di piattaforme “occidentali” come Twitter o Facebook?). Questo tipo di strategia non rischia di diminuire l’efficacia (ovvero, non giocando sullo stesso “terreno di gioco” dell’Occidente)? «Un presupposto metodologico che viene usato nei media studies generale e che di fatto ho provato a mettere in atto nel mio ultimo libro individua i media come vero e proprio specchio di una società o di un profilo sociale ed economico di diversa natura, non solo a livello ideologico. Si tratta di un riflesso che si muove in una doppia direzione: da un lato top-down (un governo che cerca di dare un’identità definita alla propria popolazione), e dall’altro gruppo di utenti che di fatto assorbe, metabolizza, critica ed eventualmente modifica questo tipo di messaggio (anche politico). Per questo, l’aspetto ideologico è sicuramente una parte rilevante della riflessione sui media, ma circoscrivere l’intero sistema al ragionamento ideologico rischia di essere riduttivo.
Il sistema dei media, (qualsiasi, indipendentemente dalla nazionalità) va considerato anche nella sua dimensione economica.
La Cina è entrata nel WTO nel 2001 e proprio in quella fase c’è stato un grandissimo dibattito interno su come gestire gli investimenti sulle telecomunicazioni e sui media. L’obiettivo primario della Cina era quello non solo di proporre un modello diverso di comunicazione sociale, ma di entrare a far parte di dinamiche globali di commercio.
Non si tratta insomma esclusivamente di una “lotta ideologica” (tanto che non viene definito solo in questo modo dalle fonti ufficiali di governo cinese). Il sistema dei media cinesi può e deve anche essere interpretato come un’alternativa e non necessariamente basato sull’idea di opposizione ad un sistema statunitense, oggettivamente dominante in alcuni settori, cinema e internet in primis.  Questo tipo di alternativa ha ovviamente anche delle declinazioni ideologiche, poiché la Cina è oggettivamente diversa dal punto di vista economico, sociale e politico, ma questa spinta così pronunciata è anche frutto di dinamiche economiche che coinvolgono tutta l’organizzazione internazionale di cui la Cina ha iniziato a far parte ufficialmente dal 2001 ma che evidentemente nel corso degli ultimi decenni ha sempre più rafforzato.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è la volubilità con cui la narrazione occidentale si concentra sui media cinesi. Si parla spesso di censura da parte del governo cinese enfatizzando il ruolo della così detta “grande muraglia di fuoco”: un progetto, tra le altre cose, creato per ostruire e bloccare qualsiasi innovazione occidentale.
Nel 2013 il settore dei media cinese, Internet in particolare, era considerato un’entità quasi del tutto isolata (una copertina dell’Economist lo definiva “the giant in the cage”, enfatizzando l’idea di disconnessione rispetto al resto del mondo). Dieci anni dopo, lo stesso Economist in un’altra copertina definiva “rivoluzionario” l’ecosistema digitale cinese ,  sottolineando come le grandi aziende cinesi stessero occupando delle crescenti quote di mercato, sia nel sud globale che negli Stati Uniti. Questo cambiamento di narrativa è frutto non solo di un processo ideologico ma anche in questo caso  di un economico.
Un passaggio storico utile a descrivere la storia di internet in Cina è il seguente: nel 2008, Facebook e altre piattaforme social occidentali iniziarono ad essere censurati in Cina, ponendo di fatto le condizioni per la creazione di un vero e proprio mercato alternativo, inizialmente interno ma oggi proiettato su mercati internazionali. Anche in questo caso, sarebbe riduttivo circoscrivere la riflessione ad una dimensione ideologica. Al contrario, questo passaggio ha creato le condizioni economiche di investimento per agevolare un’industria autoctona, dando vita ad un indotto economico. È inoltre possibile confermare che questa scelta economica non si è solo dimostrata di successo dal punto di vista quantitativo (nel 2008 la Cina diventa il paese più popoloso in termini di utenti di internet) ma anche da un punto di vista qualitativo, dal momento che applicazioni e servizi una volta definiti come modelli occidentali riadattati al mercato cinese (“shanzhai” 山寨)[1]), sono ora considerati un modello d’ispirazione per le aziende occidentali.
Un esempio pratico in tal senso riguarda nuovamente Facebook in relazione a WeChat, una delle applicazioni social più popolari in Cina. In un articolo del New York Times l’applicazione cinese veniva definita una “Uber app” grazie alla sua versatilità che permetteva il pagamento delle tasse, la pianificazione dei propri viaggi, la creazione di mappe, la condivisione di foto istantanee e video, e molto altro. Negli ultimi anni Facebook ha tentato di stimolare un processo di convergenza e di accorpamento di diversi servizi, non riuscendoci ha acquistato Instagram e Whatsapp, offrendo di fatto un servizio quanto più variegato ed inclusivo possibile proponendo quanto già attuato anni prima da Wechat.
Questo passaggio spiega anche il cambio di percezione nei confronti dei media cinesi da parte del sistema mediale occidentale. Le compagnie cinesi hanno investito e sviluppato un contesto alternativo al modello americano.»

Leggi anche:

Quali conseguenze ha questo investimento nei media da parte del governo cinese sul resto del mondo? Penso ad esempio alla recente volontà da parte del governo di esportare la narrativa cinese nei media stranieri, quali sono le implicazioni di questo per gli altri Paesi (in particolare l’Occidente)? In che modo sono influenzati e quali sono state / quali saranno le loro reazioni? L’Occidente si sente minacciato da questo investimento (se pensiamo ad esempio alle numerose sanzioni contro TikTok)?
«Anche in questo caso, è individuabile un’espressione abbastanza specifica che richiama all’idea di “minaccia”. Questa non è una dinamica completamente nuova e circoscritta al contesto cinese. La storia dei media, non solo di quelli cinesi, ha delle formule e delle espressioni ricorrenti.  In effetti, negli anni Ottanta e Novanta, la Francia iniziò a limitare l’importazione di pellicole statunitensi, non solo per ragioni economiche ma anche culturali. In altri termini, forme di protezionismo come quelle cinesi sono state conosciute in molti altri contesti.
Tornando alla contemporaneità e ad esperienze simili tra realtà Europee e la Cina si può fare riferimento agli aspetti normativi legati alla protezione dei dati. Analizzando il testo normativo della GDPR[2] è infatti possibili rintracciare alcuni elementi di riflessione già discussi in Cina alla fine degli anni Novanta. In effetti, la riflessione sulla sovranità digitale ha iniziato ad essere discussa tra gli accademici cinesi già a metà degli anni Novanta e ad essere regolamentata con una serie di leggi ad hoc tra 2017-2018. Anche in questa circostanza va sottolineato come nelle dinamiche relative alla protezione dei dati sia possibile individuare delle somiglianze tra Cina ed Europa

Quale correlazione esiste tra l’investimento sui media e gli obiettivi economici a lungo termine della Cina?
«Il progetto di sviluppare industrie creative e di dare vita ad un’industria culturale autonoma e forte a livello internazionale era già stato discusso e varato dalle leadership precedenti a quelle di Xi Jinping. Inoltre, l’impostazione di politiche economiche cinesi da sempre si basa sui cosiddetti “piani quinquennali” e progetti programmatici, che individuano degli obiettivi di medio e lungo periodo.  Esempi recenti in questo senso “il Nuovo piano di sviluppo per la nuova generazione dell’intelligenza artificiale”  (新一代人工智能发展规划的通知) del 2017, il “XIV Piano quinquennale per lo sviluppo dei film cinesi” (十四五”中国电影发展规划)del 2022, e il più recente “Piano generale per la costruzione della Cina digitale” 数字中国建设整体布局规划) pubblicato nel febbraio del 2023. In tutti e i tre casi si tratta di testi che  definiscono obiettivi da raggiungere in un arco di tempo abbastanza ampio, e che avranno verosimilmente un impatto economico allo stesso tempo nazionale ed internazionale.
Un ulteriore esempio di natura più ampia, è la “Belt and Road Initiative”[3]:  un piano di investimenti infrastrutturali che coinvolge anche il settore delle telecomunicazioni e dei media. La componente mediale dell’iniziativa ha fatto sì che si facesse riferimento ad una  Digital Belt and Road Initiative, in cui gli investimenti sul settore digitale ricomprerebbero un ruolo centrale.
Il riferimento alla Digital Belt and Road Initiative  non è stato ancora riconosciuto con un documento ufficiale, ma annunciato  durante la World Internet Conference del 2018[4] e in altre occasioni.   Ciononostante, il pronunciato interesse sul digitale testimonia il grande impatto del settore dei media nella Cina contemporanea.
In termini più generali, la dimensione del sistema di media cinesi è legata ad un contesto internazionale. L’esempio più pratico non può che essere Hollywood. Per produrre una pellicola blockbuster americana sono necessari diversi milioni di dollari, e per rendere questo modello sostenibile Hollywood ha bisogno di pubblico che vada al cinema per vedere questi film. La quantità di spettatori  statunitensi al botteghino è particolarmente bassa, mentre è in aumento in Cina. Questo fenomeno ha garantito una forma di finanziamento che ha permesso la realizzazione di film estremamente costosi. Dunque, il mercato cinematografico più grande al mondo in termini di investimenti ha bisogno del mercato cinese per rendere il proprio modello non solo sostenibile da un punto di vista di utenza e di produzione.
Questa stretta relazione ha inoltre rafforzato il fenomeno già avvitato tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila delle “co-produzioni” cinematografiche tra Cina e Stati Uniti mettendo in luce una collaborazione fattiva tra i due paesi messa in difficoltà negli ultimi anni dalle tensioni politiche ed economiche tra i due Paesi.» 

Ma quali sono effettivamente gli obiettivi raggiunti dalla Cina in ambito di media?
«L’evidente cambiamento nella percezione dei media cinesi nel giro degli ultimi 10 anni testimonia effettivi progressi delle politiche quinquennali sull’investimento nel settore mediatico. Per dare una risposta in termini quantitativi, nella lista delle aziende con maggiore fatturato di internet al mondo 5 sono cinesi e 5 statunitensi (numeri molto diversi rispetto a quelli del 2010). Chiaramente, la particolarità della Cina a livello demografico va certamente presa in considerazione (è il Paese con il mercato domestico più grande al mondo, il che rende l’industria digitale all’avanguardia anche dal punto di vista numerico). Tuttavia, è stata la scelta costitutiva di gestire internet in una determinata maniera che ha portato ai risultati tangibili non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo.  L’interesse di molti osservatori occidentali nei confronti di applicazioni come Wechat e Tiktok è un esempio concreto in tal senso.
E’ interessante inoltre sottolineare come questo cambio di prospettiva sia anche legato da un diverso schema narratologico. Prima delle primavere Arabe (2010-2012), i governi Clinton e Obama hanno riposto grandi speranze su internet identificandolo come un’ “information super Highway”. Quando internet ha iniziato a svilupparsi in Cina negli anni Novanta, molti ricercatori sostenevano che internet sarebbe stato per la  Cina un volano per la democrazia. Un decennio dopo, ha iniziato a svilupparsi il fenomeno web2.0  secondo cui gli utenti avrebbero avuto la possibilità di poter condividere più facilmente  contenuti online, rafforzando così l’“ideologia digitale” di libertà e pluralismo. Oggi invece la narrazione promuove un’idea di internet distopica, caratterizzata dal controllo e forme censorie talvolta manipolatorie.
È possibile tracciare un’analisi a doppio binario: dal punto di vista economico, le applicazioni cinesi sono oggi considerate rivoluzionarie ed innovative mentre prima erano considerate  delle mere copie dei servizi occidentali.  Una situazione diametralmente opposta in cui è il mercato occidentale a prendere spunto da alcune espressioni di innovazione  cinese.
Dal punto di vista ideologico,  va invece sottolineato il passaggio da volano della democrazia ad un mezzo di comunicazione  distopico. La storia dei media aiuta insomma ad avere un quadro più ampio e articolato in merito a politica, società ed economia di uno più Paesi in relazione.»

Riprendendo il titolo del libro, come i media hanno costruito, costruiscono e continueranno a costruire l’identità cinese? Quali sono gli effetti a livello domestico, sulla popolazione cinese?
«La tesi che cerco di argomentare all’interno del mio libro ragiona sulla ricorrenza dell’utilizzo dei media cinesi nel processo di “nation building” di “identità nazionale”. Dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 ad oggi, il Paese ha avuto una storia estremamente vivace, che ha visto succedersi diverse leadership. Nel mio libro divido questa storia in tre grandi fasi, connettendole al cambiamento che è avvenuto in termini di utilizzo dei media. Il minimo comune multiplo di queste tre fasi è che tutti i mezzi di comunicazione sono stati utilizzati in maniera puntuale per creare un’identità cinese.
In particolare, la prima fase comprende gli anni dal 1949 al 1979, nei quali due erano i mezzi di comunicazione principali: la radio e il giornale. In questa fase la popolazione cinese presentava altissimi livelli di analfabetismo, ed il ruolo dei media era quello di diffondere uno specifico messaggio politico di identità nazionale. Era necessario cambiare la narrazione per riflettere il passaggio del Paese da potenza imperiale e coloniale a potenza socialista. La popolazione doveva iniziare a prendere dimestichezza con questi valori politici, e la radio è stata utilizzata proprio con questo obiettivo. Non a caso,  a differenza dell’esperienza radiofonica negli Stati Uniti, il successo della radio in Cina è dovuto ad una pratica di ascolto collettivo anziché privato. Le stesse immagini pubbliche e poster dell’epoca, dimostrano questa differenza: molti poster della radio statunitense ritraevano sempre un contesto familiare privato, come moglie e marito intenti ad ascoltare seduti nel proprio tinello domestico; in Cina invece, ritraevano l’intera popolazione unita in piazza, pronta ad ascoltare il messaggio del partito. Grazie a questa differenza il governo poteva concretamente assicurarsi che il messaggio venisse recapitato e recepito correttamente. Da qui può partire un discorso più ampio, che richiama alla quotidianità del gesto. Le attività di ascolto collettivo in piazza venivano scandite nel tempo ed interiorizzate nelle pratiche di tutto il popolo. È evidente che in questa prima fase l’impatto ideologico, era fondamentale.
La seconda fase, invece, comprende gli anni dal 1978 al 2008 e vede protagonisti la televisione e il cinema. Il cambiamento è arrivato nel momento in cui Deng Xiaoping, promotore delle “quattro modernizzazioni”, ha legato il discorso mediale agli obiettivi di crescita economica. I media non avevano più il ruolo circoscritto di veicolo di messaggi politici, ma dovevano educare la popolazione al consumismo. Era il periodo delle prime pubblicità, che presentano alla popolazione cinese un nuovo mondo, metropolitano e consumistico. Avveniva questo non solo per educare la popolazione ad una nuova visione dell’economia, ma anche per rafforzare la vera e propria industria dei media. I media non erano più considerati esclusivamente come la voce del partito, ma iniziavano ad essere considerati come una vera e propria industria chiamata a creare profitti e di conseguenza, a creare nuovi posti di lavoro.
Se la prima e la seconda fase riguardano principalmente la sfera nazionale, con la terza fase della storia dei media cinese, che va dal 2008 ad oggi, la Cina acquisisce un nuovo ruolo nell’arena internazionale. Dalla leadership di Hu Jintao, Wen Jiabao e poi successivamente Xi Jinping, i nuovi media ricoprono un ruolo fondamentale all’interno di un’industria nazionale, che vuole veicolare un messaggio politico e sostenere le proprie dinamiche di mercato, ma soprattutto riflettere la potenza del proprio Paese (强国) forte a livello internazionale confermando il proprio status del proprio modello inteso come alternativa al modello statunitense.»

Durante il ventesimo congresso, quando Hu Jintao è stato allontanato è stato fatto quando le telecamere erano presenti, si sapeva che il momento veniva ripreso. Questo può essere un esempio di come il partito utilizza i media per veicolare un messaggio?
«In questo caso specifico è difficile dare una spiegazione, perché non si conosce con certezza il motivo per il quale Hu Jintao sia stato allontanato. Tuttavia, nella mia ricerca faccio riferimento a tre episodi, che dimostrano quanto i media rappresentano per il governo uno strumento di promozione della forza del Paese anche fuori dai confini nazionale.
Il primo esempio risale al primo luglio del 1979, momento in cui la Gran Bretagna rinunciò ai propri diritti su Hong Kong. In quell’occasione, la China Central Television ha organizzato una delle più grandi dirette televisive, studiandola nel dettaglio e condividendo un messaggio di portata comunicativa estrema incentrato su una narrativa tesa a sottolineare la superiorità cinese sul governo britannico. Il ritorno di Hong Kong alla Cina divenne quindi simbolo della forza e dell’autorevolezza del Paese anche agli occhi di un pubblico internazionale.
Il secondo esempio, invece, riguarda l’apertura dei giochi olimpici dell’8 agosto del 2008. L’intero evento inaugurale venne incentrato sulla storia della Cina, celebrandone le sue secolari tradizioni e il recente avanzamento tecnologico ed architettonico.
L’ultimo esempio è la Conferenza dell’Asian Pacific Economic Cooperation (APEC) del 2018, che si tenne a Xiamen e nella quale furono invitati i maggiori leader mondiali. Ognuno di essi doveva percorrere un lungo tappeto rosso e stringere la mano al leader Xi Jinping, che attendeva al centro della stanza. Questo si lega anche ad una curiosità linguistica, poiché in putonghua Cina viene definita “Zhongguo中国” (stato del centro). Dunque, la scelta visiva di posizionare Xi Jinping al centro della stanza suggerisce un ruolo centrale della Cina a livello politico e simbolico.»

Poiché la retorica è essa stessa parte del grande settore dei media e della comunicazione ai fini politici, qual è la sua opinione riguardo il viaggio, in questi giorni, del Direttore dell’Ufficio della Commissione Centrale per gli Affari Esteri del Partito Popolare Cinese Wang Yi? E della posizione assunta dalla Repubblica Popolare nello scontro tra Russia e Ucraina?
«Troppo presto per delineare un quadro politico chiaro e affidabile dal momento che si tratta di uno dei primi viaggi di Wang Yi nella carica di Direttore dell’Ufficio Centrale della Commissione Centrale degli Affari Esteri.  Vorrei piuttosto evidenziare un aspetto in ambito mediale.
Rispetto ad un decennio, fa è possibile reperire molti più documenti ufficiali in lingua inglese. Questo fenomeno contribuisce a rendere più accessibile rispetto al passato il linguaggio politico estero.
Un esempio in tal senso è fornito dal sempre più ricco archivio online dei cosiddetti  “Libri Bianchi”[5] ,  in cui sono state già espresse soprattutto negli ultimi mesi, visioni ufficiali sullo status di Taiwan, sulla posizione cinese in merito alla democrazia, alla libertà e ai diritti umani e alle vicende dello Xinjiang. In altri termini,  la Cina negli ultimi decenni ha iniziato a comunicare molto più rispetto al passato anche in lingua inglese fornendo delle informazioni molto più dettagliate e accessibili anche alla comunità, agli osservatori e alla stampa internazionale.
Analizzando le tempistiche e la frequenza di pubblicazione dei libri bianchi negli ultimi dieci anni, notiamo una frequenza su due temi in particolare: il rispetto della sovranità nazionale e la necessità di un dialogo e una collaborazione più articolata e fattiva con il sud globale. Temi che da sempre contraddistinguono la politica estera cinese e non a caso ribaditi anche nel corso dell’ultimo anno di conflitto in Ucraina.  Interessante infine notare che la scelta dal libro, un mezzo di comunicazione tradizionale, sia una delle fonti più influenti per analizzare la narrazione cinese a livello internazionale.»


Note

[1] Letteralmente: “fortezza di montagna”, un fenomeno economico – sociale cinese che fa riferimento all’innovazione derivata dalla “contraffazione” di prodotti elettronici. Vedi anche Han, B. C. (2017). Shanzhai: Deconstruction in Chinese (Vol. 8). MIT Press.
[2] “General Data Protection Regulation” o Regolamento Ue 2016/679, in vigore dal 25 maggio 2018 per tutti gli stati membri
[3] “La Nuova via della seta”, si tratta di un insieme di progetti infrastrutturali finanziati dal governo del Partito Popolare Cinese per un valore di oltre 1000 miliardi di dollari.
[4] Evento che si tiene a Wuzhen ogni autunno in cui la Cina propone un modello di internet alternativo
[5] Archivio Libri Bianchi: https://english.www.gov.cn/archive/whitepaper/page_1.html


Foto copertina: “Le voci di Pechino. Come i media hanno costruito l’identità cinese”, Luiss Press, 2022