Il 7 novembre 2020 Donald Trump non è stato confermato per un secondo mandato presidenziale, cedendo la carica (non senza polemiche e proteste) al candidato democratico Joe Biden.
Trump considerato un presidente sui generis , ha preso decisioni che non sempre hanno incontrato il favore del resto del mondo.
Se si parla di politica estera, sono state delineate tre caratteristiche chiave dell’ideologia trumpiana che di fatto hanno guidato il suo operato: ultra-nazionalismo, populismo e crudo realismo. Tre caratteristiche racchiuse in slogan elettorali come “America First” oppure “Make America Great Again”, dai quali emerge l’intento di (ri)mettere gli Usa e i loro interessi al primo posto nell’agenda. Ciò ha determinato una politica estera fortemente antagonista nei confronti di chiunque, rivale o amico, minacci non soltanto la supremazia militare ed economica degli Stati Uniti, ma anche la loro libertà d’azione. Il disimpegno americano dal multilateralismo subisce così una brusca accelerazione e ne sono un chiaro esempio i ritiri da diversi e importanti accordi internazionali: l’accordo di Parigi sul clima, l’Organizzazione mondiale della sanità, l’accordo nucleare con l’Iran, Il TPP, l’Unesco, Il Global Compact on Migration portando ad un’incrinatura delle storiche alleanze americane; Unione europea in primis. Con quest’ultima, ad esempio, è in corso una disputa sull’applicazione di tariffe sulle esportazioni iniziata con il caso dei due produttori di aerei, l’europea Airbus (azienda partecipata da Francia, Germania e Spagna) e la statunitense Boeing: Washington ha accusato Bruxelles di sovvenzionare Airbus con aiuti di Stato, accusa che a sua volta Bruxelles ha mosso nei confronti degli Usa con gli aiuti a Boeing.
Il Wto ha stabilito che entrambi hanno violato le regole commerciali internazionali, e così, nel 2019, Trump ha avuto il via libera per imporre dazi per 7,5 miliardi di dollari nei confronti dei prodotti Ue. E un anno dopo, Bruxelles è stata autorizzata a fare lo stesso nei confronti dei prodotti Usa, anche se in misura minore: si parla di 4 miliardi.[1] Il tutto in un contesto di rapporti USA-UE già pregiudicato dalla messa in discussione del valore strategico della Nato. Trump ha più volte criticato quella che a suo modo di vedere sarebbe un’iniqua ripartizione degli oneri (‘burden sharing’) e l’atteggiamento definito opportunista degli alleati europei, accusati di contribuire poco sfruttando in modo sostanzialmente passivo l’‘ombrello di sicurezza fornito dagli Stati Uniti. [2]
La Cina
Il rapporto tra Stati Uniti e Cina è considerato il rapporto interstatale chiave dell’età contemporanea. Il loro potrebbe essere definito come un rapporto di interdipendenza che si è intensificato nel tempo fatto di competizione e cooperazione. Appare chiaro come recentemente l’ago della bilancia penda per la competizione, in special modo per gli Stati Uniti. Secondo i sondaggi più recenti, il 67% degli americani ha ora una visione sfavorevole della Cina, la percentuale più alta da quando questo sondaggio è iniziato, alla fine degli anni ’70, e 20 punti sopra il giorno dell’insediamento del presidente nel gennaio 2017. Mentre i repubblicani sono più negativi, il sentimento critico è diffuso anche tra i democratici, offrendo una rara dimostrazione di bipartisanship nel paese, comportando di fatto la trasformazione della Cina da un potenziale partner a un vero e proprio concorrente. Trump ha adottato un approccio esplicito; infatti già da candidato alla presidenza, è stato inequivocabile nella sua caratterizzazione della Cina come il principale nemico e minaccia per gli Stati Uniti. Nella sua retorica venivano mostrati alcuni indicatori facilmente misurabili – il deficit commerciale, la quantità di titoli del tesoro statunitense in mani cinesi, la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero – che mostravano chiaramente chi stava vincendo e chi stava perdendo in questa concorrenza sleale.
Nei primi mesi del 2018, gli americani passano quindi dal “contenimento[3]” al “rollback[4]”, dalla difesa dello status quo alla rinnovata affermazione della propria superiorità: sono state adottate una serie di misure che hanno scatenato una vera e propria guerra commerciale tra i due paesi. Una prima serie di tariffe è stata imposta su una varietà di articoli – in particolare acciaio e alluminio – che hanno colpito alcuni settori chiave del commercio bilaterale tra Cina e Stati Uniti. La Cina ha reagito imponendo una tariffa del 25% su una serie di prodotti americani, tra cui alcune importanti esportazioni agricole e presentando una prima denuncia alla Wto. La risposta di Washington non si è fatta attendere e le tariffe vengono estese a una più grande quantità di merci cinesi, portando a un’altra rappresaglia da Pechino. Una tregua parziale è stata concordata alla fine del 2018 e un nuovo, parziale armistizio è stato infine raggiunto all’inizio del 2020 prima che la pandemia esplodesse e Trump iniziasse ad attaccare nuovamente la Cina colpevole della nascita e diffusione del COVID-19, apostrofando il virus come “virus cinese”.
Esemplificativo è anche il caso Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni che, diffondendosi a livello globale, ha alimentato i timori di poter agire come strumento della politica estera di Pechino minacciando la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati. L’amministrazione Trump ha imposto diverse restrizioni all’acquisto da parte di Huawei di prodotti statunitensi e, più in generale, al suo accesso alle tecnologie sviluppate negli Stati Uniti.[5]
Il Medio Oriente
Per quanto riguarda il Medio Oriente, l’ormai ex-presidente aveva più volte ribadito durante la campagna elettorale che durante il suo mandato avrebbe optato per un progressivo disimpegno americano nell’area, dopo quasi vent’anni di incalcolabili risorse sprecate e vite umane perse, gli americani sono stanchi di essere coinvolti nelle cosiddette “endless war”[6].
Invece, a distanza di qualche anno, i vecchi conflitti, sono ancora irrisolti e i risultati dell’amministrazione Obama in Iran, smantellati.
Trump infatti aveva ereditato una situazione strategica gestibile; il pericolo nucleare era stato arginato e secondo tutti i servizi di intelligence, compreso quello israeliano, l’Iran stava rispettando l’accordo e la strategia di contenimento stava funzionando. Trump ha sostanzialmente stracciato l’accordo nucleare, imposto pesanti sanzioni che hanno fatto sprofondare il paese in una catastrofica crisi economica mentre era già alle prese con una violenta ondata pandemica e ha accusato le Guardie della Rivoluzione di terrorismo. Come se non bastasse il 3 Gennaio 2020, gli americani uccidono Qassem Soleimani[7], il comandante delle brigate al Qods del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, responsabile delle operazioni all’estero della Repubblica Islamica iraniana, rischiando un’escalation militare. Considerati da molti un successo, anche se con le dovute cautele, sono stati invece i recenti Accordi di Abramo[8]. Un lirismo difficilmente contestabile, dato che hanno sancito la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti ed il Bahrein. Un’intesa favorita dall’amministrazione Trump che non ha nascosto la sua soddisfazione vantando di aver avuto un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli accordi definendoli «l’alba di un nuovo Medio Oriente»[9]
Non si può certo parlare di merito ma di sicuro sia i leader degli Stati del Golfo Persico sia Netanyahu sono stati grati a Donald Trump, il quale ha sostenuto i loro governi stroncando la loro arci nemesi, l’Iran, e li ha difesi dalle intense critiche politiche provenienti da Washington come dal resto del mondo (si veda il caso Khashoggi[10]) ; ed erano sicuramente ansiosi di vedere Trump vincere un secondo mandato.[11]
Tra le altre significative decisioni in Medio Oriente non può essere tralasciato il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan, affermando che “la creazione di insediamenti civili israeliani in Cisgiordania non è di per sé incompatibile con il diritto internazionale”. Procedere al riconoscimento dello status quo e al trasferimento della rappresentanza diplomatica significa escludere qualsiasi discussione futura sulla possibilità di Gerusalemme Est come capitale di uno Stato palestinese. Ma soprattutto significa accettare che gli abitanti arabi della città (circa 330mila) siano condannati a rimanere semplici “residenti permanenti” di uno Stato che li discrimina, opprime ed espelle.10
Ora cercando di andare oltre la personalità non-convenzionale dell’ex- presidente, si può sostenere come i quattro anni di Trump siano stati memorabili e in grado di suscitare emozioni contrastanti e polarizzanti all’interno del pubblico americano e delle élite politiche ed economiche. Ma ora che la possibilità di un secondo mandato è sfumata, gli Stati Uniti saranno chiamati a riparare la loro immagine e recuperare, ricostruire, e rivalutare il loro posto nel mondo. Ci riusciranno?
Note
[1]https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/ispi_report_four_years_trump_2020_0.pdf
[2] ISPI, “Gli USA e il mondo: la NATO ai tempi di Trump”, 30 settembre 2020,
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gli-usa-e-il-mondo-la-nato-ai-tempi-di-trump-27653
[3] https://www.opiniojuris.it/la-politica-del-containment/
[4] https://www.opiniojuris.it/roll-back/
[5] https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/ispi_report_four_years_trump_2020_0.pdf
[6] Alessandro Maran, “La sindrome di Michael Corleone: Ecco perché Trump ha promesso di ignorare il Medio Oriente, ma non c’è riuscito”, 13 gennaio 2020, Linkiesta
https://www.linkiesta.it/2020/01/trump-usa-medio-oriente-iran/
[7] https://www.opiniojuris.it/qassam-soleimani-medio-oriente/
[8] https://www.opiniojuris.it/la-fine-dei-giochi-per-la-solidarieta-pan-araba-laccordo-di-abramo-e-la-normalizzazione-con-israele/
[9] Gabriele Carrer, “Trump zitto zitto cambia gli equilibri in Medio Oriente. E a Washington DC…”, 13 settembre 2020, Formiche https://formiche.net/2020/09/trump-equilibri-medio-oriente/
[10] https://www.opiniojuris.it/khashoggi/
[11] Michael Crowley, David M. Halbfinger, “A White House Ceremony Will Celebrate a Diplomatic Win and Campaign
Gift” 29 settembre 2020, The New York Times https://www.nytimes.com/2020/09/14/us/politics/trump-middle-east-accords.html
10 Francesco Boscone, “Usa/Israele: ambasciata, un segno di realismo?”, 17 maggio 2018, AI https://www.affarinternazionali.it/2018/05/usa-israele-ambasciata-gerusalemme/
Foto copertina:US president Donald Trump toured three states on Tuesday (REUTERS). Indipendent