L’evoluzione della guerra tra Israele e Hamas può mettere a rischio i mercati energetici globali, dal gas al petrolio, in un contesto economico internazionale già complesso.
A cura di Federica Sandy Curcio
Mentre imperversa la guerra tra Hamas e Israele, l’intera regione teme il peggio.
Le implicazioni del conflitto, infatti, potrebbero essere catastrofiche se quest’ultimo dovesse allargarsi coinvolgendo altri attori, primo fra tutti l’Iran. Le turbolenze in Medio Oriente possono avere, come si è visto in passato, profonde ripercussioni globali a causa del ruolo centrale della regione nelle forniture di energia e della sua configurazione come rotta vitale per il trasporto marittimo. Un conflitto esteso a tutta l’area, infatti, avrebbe un effetto a catena sui mercati energetici che colpirebbe non solo il quadrante mediorientale, bensì anche i paesi vicini, inclusi quelli europei. Dal punto di vista strutturale, oggi l’economia globale è in una fase di cambiamento, caratterizzata da persistenti pressioni inflazionistiche e aggravata da una guerra perdurante in Ucraina. In questo scenario lo scoppio del conflitto tra il gruppo islamista palestinese e Tel Aviv, dunque, potrebbe peggiorare una situazione già complessa.
Le conseguenze immediate del conflitto
Sulla scia dell’attacco allo Stato di Israele del 7 ottobre da parte di Hamas, i prezzi del gas naturale e del petrolio hanno subito un’impennata, riflettendo incertezze e timori per un inasprimento del conflitto.
I futures del Brent, il punto di riferimento globale, sono aumentati del 4% raggiungendo gli 88 dollari al barile, il titolo statunitense West Texas Intermediate è cresciuto del 4%, superando gli 84,50 dollari al barile, mentre i futures europei del gas naturale sono balzati del 14% a più di 43 euro al megawattora (MWh)[1].
Da un lato, l’aumento del prezzo del greggio può essere spiegato dalla preoccupazione, non nuova, che l’Iran nel caso di un’escalation possa chiudere lo Stretto di Hormuz, punto di passaggio di quasi un terzo del petrolio globale trasportato via mare. Dall’altro, la chiusura del giacimento di gas di Tamar da parte del governo israeliano, uno dei più importanti del Mediterraneo orientale, ha generato l’impennata del prezzo del gas. Tuttavia, il rimbalzo dei prezzi è stato relativamente limitato suggerendo che, per ora, il mercato energetico non teme gravi interruzioni né dell’offerta né della domanda. Ad ogni modo, se il conflitto dovesse coinvolgere altri stati e attori non statali potrebbe concretizzarsi uno scenario ben più drammatico, ed avere un impatto significativo, seppur con effetti diversi, sui mercati globali del gas e del petrolio.
In particolare, come già evidenziato, si teme il coinvolgimento diretto dell’Iran che continua a mantenere un atteggiamento ambiguo. Da una parte, infatti, Teheran ha sostenuto pubblicamente una de-escalation del conflitto; tuttavia, d’altra parte, ha minacciato apertamente sia Israele che gli Stati Uniti, facendo leva sui suoi alleati nella regione: gli Houti in Yemen, e le fazioni filo-iraniane in Iraq e Siria.
Leggi anche:
Il mercato del petrolio
Nonostante Israele non sia un produttore di petrolio e non siano presenti grandi infrastrutture petrolifere nel paese o nella zona della Striscia di Gaza, il perdurare del conflitto potrebbe comunque avere conseguenze sulla la stabilità del mercato petrolifero internazionale. Infatti, come si è già verificato in un passato troppo lontano, i mercati energetici non reagiscono positivamente alle turbolenze in Medio Oriente in quanto la regione è responsabile di un terzo della produzione globale di greggio e dunque dell’approvvigionamento energetico dei paesi europei e asiatici[2]. Anche la Banca Mondiale, infatti, ha avvertito che in uno scenario di guerra perdurante, paragonabile all’embargo petrolifero del 1973, l’offerta globale di petrolio subirebbe una riduzione tra i 6 e gli 8 milioni di barili al giorno, facendo crescere il prezzo del greggio fino a raggiungere la quota di 157 dollari al barile[3].
In particolare, questo scenario potrebbe configurarsi se l’Iran decidesse di partecipare apertamente alle ostilità.
Teheran è ritornata sui mercati petroliferi globali nell’ultimo anno, con un’impennata della produzione e delle esportazioni. L’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) stima che solo nei primi otto mesi del 2023, la produzione di petrolio greggio iraniano è aumentata di 600.000 barili al giorno[4]: ad agosto, la fattura iraniana ha raggiunto i 3,14 milioni di barili al giorno, la più alta dal 2018, quando l’amministrazione Trump abbandonò l’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action – JCPA) e ripristinò le sanzioni statunitensi sulle esportazioni di petrolio iraniano, riducendole ai minimi storici.
Tuttavia, a partire dal 2022, il governo Biden ha mostrato una certa flessibilità sulle sanzioni imposte, un allentamento finalizzato a facilitare i negoziati volti al rilascio di cinque americani imprigionati in Iran e, soprattutto, ad aumentare la liquidità del mercato petrolifero globale nel contesto della guerra in Ucraina e delle sanzioni sugli idrocarburi russi[5]. In questo scenario, la possibilità del coinvolgimento iraniano nelle ostilità potrebbe spingere gli Stati Uniti a imporre nuove sanzioni contro la Repubblica Islamica, tagliando significativamente le sue esportazioni di petrolio e, così, generando un’impennata dei prezzi globali del greggio.
Un’ulteriore insicurezza poi, riguarda il fatto che il potenziale coinvolgimento dell’Iran possa innescare instabilità attorno allo Stretto di Hormuz, il chockepoint energetico più importante del mondo. Ogni giorno, un quinto della fornitura globale di petrolio passa attraverso questa rotta marittima tra l’Oman e l’Iran. Se il transito venisse interrotto, anche per pochi giorni, le ripercussioni sui prezzi globali e sull’offerta del petrolio sarebbero sostanziali mettendo a rischio la sicurezza energetica globale.
Il mercato del gas
Il settore del gas attualmente sembra essere il più colpito. In seguito agli attacchi del 9 ottobre il Ministero dell’Energia israeliano Israel Katz ha ordinato alla Chevron, l’operatore della piattaforma Tamar a 25 chilometri a nord-ovest di Gaza, che soddisfaceva principalmente il fabbisogno interno, di cessare temporaneamente la produzione. Successivamente, il governo israeliano ha poi dato istruzioni alla Chevron di sospendere temporaneamente i flussi attraverso il gasdotto East Mediterranean Gas (EMG), che collega Ashkelon, una città israeliana 13 km a nord di Gaza, ad Arish nel nord Sinai, in Egitto. Un quadro che peggiora se si considerano le indicazioni ministeriali con cui le aziende elettriche israeliane sono state invitate a cercare fonti di carburante alternative per soddisfare le loro esigenze di approvvigionamento[6].
Dal 2000 ad oggi, la quota del gas nel mix energetico di Israele, prima dominato dall’uso del carbone, è cresciuta del 40%. La scoperta di giacimenti di gas offshore, in particolare del giacimento Tamar nel 2009 e del giacimento Leviathan nel 2010, ha sostenuto questa importante trasformazione del sistema energetico israeliano e ha anche consentito a Tel Aviv di posizionarsi come un importante esportatore di gas verso l’Egitto e la Giordania. Solo nel 2022, Israele ha prodotto 21,9 miliardi di metri cubi (Bcm) di gas, di cui 5,8 miliardi di metri cubi sono stati esportati in Egitto e 3,4 miliardi di metri cubi in Giordania, mentre la restante parte è stata destinata al consumo interno. Se la durata del conflitto sarà protratta nel tempo, la chiusura di Tamar ed EMG potrebbe sopprimere non solo le forniture nazionali per Israele, ma anche le esportazioni verso l’Egitto (calate già del 20% in pochi giorni), minando la sua capacità di soddisfare il crescente fabbisogno interno, oltre a colpire le sue esportazioni di gas naturale liquefatto (GNL) verso diversi paesi dell’Unione Europea – già significativamente in calo quest’anno rispetto al 2022[7].
Le esportazioni di GNL dell’Egitto sono state pari a circa 7 milioni di tonnellate nel 2022, di cui 5 milioni di tonnellate verso l’UE – una parte considerevole rispetto alle importazioni totali europee. In un mercato globale molto ristretto come quello del GNL, la prospettiva di perdere le piccole forniture egiziane all’inizio dell’inverno ha creato una pressione al rialzo sui prezzi del gas in Europa e Asia, in un contesto energetico già sotto pressione a causa di altri fattori, tra cui il presunto sabotaggio del connettore baltico tra Finlandia ed Estonia e gli scioperi in alcuni impianti di GNL australiani[8].
Come nel caso del petrolio, anche il settore del gas guarda con timore il rischio di un’ulteriore escalation regionale delle ostilità. Un conflitto più esteso tra Israele e gli Stati arabi potrebbe complicare i progetti di gas israeliani con Egitto, Giordania e Libano, compromettendo in ultima analisi la cooperazione energetica Mediterraneo orientale. Limitazioni alla capacità di esportazione del Mediterraneo orientale, inoltre, rappresenterebbero una battuta d’arresto per gli sforzi di gran parte dei paesi dell’UE, come l’Italia, volti ad eliminare la dipendenza dalle importazioni di gas russo e le cui aziende stanno investendo in infrastrutture di produzione ed esportazione nella regione del Mediterraneo. Inoltre, anche in questa circostanza l’entrata di Teheran nel conflitto, potrebbe avere diverse implicazioni per i flussi internazionali di gas, nella misura in cui le navi GNL che attraversano ogni giorno lo Stretto di Hormuz fossero colpite direttamente o ne fosse impedito il transito.
Conclusioni
La guerra in Medio Oriente, per adesso, ha avuto impatti modesti sui prezzi di gas e petrolio. Ciò potrebbe riflettere la maggiore capacità dell’economia globale di assorbire gli shock dei prezzi energetici. A partire dalla crisi energetica degli anni ’70 fino allo scoppio del conflitto in Ucraina del 2022, i paesi di tutto il mondo hanno rafforzato la propria resilienza per fronteggiare l’aumento del prezzo dell’energia e la sicurezza dell’approvvigionamento. Gran parte delle economie avanzate, oggi, ha una base diversificata di esportatori di risorse energetiche e si avvia all’uso più intensivo delle fonti rinnovabili.
Questi progressi suggeriscono che un’eventuale escalation del conflitto potrebbe avere effetti più moderati rispetto al passato.
Note
[1] Joe Wallace, Oil and Natural-Gas Prices Climb After Israel-Hamas War Erupts, 9 ottobre 2023, https://www.wsj.com/livecoverage/stock-market-today-dow-jones-10-09-2023/card/oil-prices-jump-on-israel-crisis-iQK4shbdqlmvb0RXMqJf
[2] Stefano Grandi, Il Medio Oriente e il dilemma globale del petrolio, 26 agosto 2021, https://aspeniaonline.it/il-medio-oriente-e-il-dilemma-globale-del-petrolio/#:~:text=Nel%202020%20Marocco%2C%20Algeria%2C%20Tunisia,la%20sponda%20settentrionale%20del%20Mediterraneo.
[3] Banca Mondiale, Conflict in Middle East Could Bring ‘Dual Shock’ to Global Commodity Markets, 30 ottobre 2023, https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2023/10/26/commodity-markets-outlook-october-2023-press-release
[4] Agenzia Internazionale per l’Energia, Iran data explorer, 2023 https://www.iea.org/countries/iran
[5] Jon Gambrell et al., Five Americans detained in Iran walk free, released in deal for frozen Iranian assets, AP News, 19 settembre 2023, https://apnews.com/article/iran-us-prisoner-swap-sanctions-assets-4e1fa477f8e6af45fb764acd259c2f1a
[6] Reuters, UPDATE 1-Israel lowers gas exports with Tamar field shut – BDO report, 2 novembre 2023, https://www.reuters.com/article/israel-palestinians-natgas-exports-idUKL1N3C325K
[7] Salma El Wardany et al., Israel Gas-Field Halt Threatens Egypt’s LNG Export to Europe, Bloomberg, 10 ottobre 2023, https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-10-10/egypt-weighing-impact-of-israel-gas-field-halt-on-its-exports#xj4y7vzkg
[8] Simone Tagliapietra, Guerra Israele – Hamas: le implicazioni sui mercati energetici, 25 ottobre 2023, https://www.corriere.it/opinioni/23_ottobre_25/guerra-israele-hamas-implicazioni-mercati-energetici-dd0d6f2a-730e-11ee-b12d-3a48784b526b.shtml
Foto copertina: MAR MEDITERRANEO, ISRAELE – FEBBRAIO 2013: La piattaforma di produzione di gas naturale di perforazione Tamar vista da circa 25 chilometri a ovest della costa di Ashkelon, nel febbraio in Israele.