Le elezioni in Nord Irlanda dello scorso 5 maggio, attraverso nuovi ed inattesi vincitori e sconfitti, tratteggiano un panorama sociopolitico in piena trasformazione nel quale, purtroppo, lo “spettro” della BREXIT continua a pesare.


Sintomatici di una graduale ma ormai evidente evoluzione della scena politica nordirlandese, i risultati delle elezioni per l’Assemblea di Stormont tenutesi lo scorso 5 maggio hanno visto, per la prima volta nella storia del Nord Irlanda, il Sinn Féin[1], partito nazionalista un tempo considerato il “braccio politico” della Irish Repubican Army (IRA), affermarsi come prima forza politica in NI (con 27 seggi) superando il Democratic Unionist Party (DUP) di Jeffrey Donaldson, storico avversario unionista che ha assistito ad un calo del 6,7% delle prime preferenze espresse dall’elettorato nordirlandese rispetto al 2017 ed ottenuto 25 seggi (due in meno rispetto ai repubblicani rappresentati da Michelle O’Neill), perdendo di fatto il primato di maggiore partito strenuamente difeso negli ultimi due decenni[2]. Una “sconfitta” simbolica quella del DUP che pesa sulla leadership del Partito e suggerisce un riorientamento nelle preferenze dell’elettorato nordirlandese. Altrettanto significativa è stata poi la performance elettorale dello Alliance Party, un Partito centrista e liberale, guidato da Naomi Long. Definito in più di una occasione una “middle way” o “third way” rispetto agli approcci fortemente identitario-settari degli avversari, l’Alliance Party ha assistito ad un incremento del 4,5% delle prime preferenze e ad un raddoppio dei seggi ottenuti a Stormont (17 in totale) rispetto al 2017, divenendo ufficialmente la terza forza politica e il Partito con la più sostenuta crescita di consensi in NI[3].

Se già i risultati delle urne da soli dipingono un quadro della politica nordirlandese articolato e in pieno fermento, lo spettro della BREXIT, e del Protocollo sul NI in particolare, sembrerebbero introdurre un ulteriore elemento di complessità e instabilità al precario equilibrio socio-politico-economico di questa piccola ma cruciale regione a cavallo tra Unione Europea e Regno Unito. Ad agitare le acque nell’immediatezza delle elezioni è stata, infatti, la dichiarazione di indisponibilità di Jeffrey Donaldson alla formazione dell’Esecutivo in NI in mancanza di una “decisive action” – nelle parole del leader del DUP in colloquio con il Segretario in NI Brandon Lewis[4] – del Governo di Londra nei riguardi del controverso Protocollo sull’Irlanda del Nord[5]. Nel quadro di un sistema politico consociativo (o “co-sociational”) nel quale il primo e il secondo dei Partiti più votati e rappresentativi delle due opposte comunità sono responsabili per la designazione rispettivamente di un Primo Ministro (o First Minister – FM) e di un Vice Primo Ministro (o Deputy First Minister) con egual poteri sul piano fattuale, la decisione del DUP cala le Istituzioni nordirlandesi nell’ennesima crisi di governo che, in mancanza di una risoluzione entro le 24 settimane previste dal Northern Ireland Act 2022[6], porterebbe a nuove elezioni e ad un rallentamento dell’attività decisionale del Governo provvisorio in merito a questioni di assoluto rilievo come l’approvazione di bilancio o le riforme al sistema sanitario.

Tra “sconfitte” simboliche, crisi Istituzionale, nuovi emergenti protagonisti nella compagine partitica e apparenti vittorie storiche, i risultati elettorali dello scorso maggio hanno confermato e ribadito come la BREXIT stia continuando ad influenzare trasversalmente le dinamiche socio-politico-economiche in NI, con conseguenze che stanno evidenziando gli errori di valutazione compiuti dalla leadership di Boris Johnson nella gestione di un recesso condotto più sulla base del soddisfacimento di pulsioni e pressioni nazional-populiste che di ragionato pragmatismo rivolto a una visione strategica a medio-lungo termine.

I “bread and butter issues” veri vincitori delle elezioni

Con la storica vittoria dello scorso maggio alle urne, il Sinn Féin ha coronato una stagione politica di indubbio successo inaugurata nel 2020 dai risultati ottenuti dal Partito nazionalista nella Repubblica d’Irlanda. A simboleggiare l’avvento di questa “primavera nazionalista” transfrontaliera è stata poi l’immagine di Mary Lou McDonald, leader del Partito, che accompagna la trionfante Michelle O’Neill al Titanic Exhibition Center di Belfast (uno dei centri in cui è avvenuto il lungo e atteso spoglio)[7]. Dopo anni trascorsi al secondo posto dello spettro partitico nordirlandese, l’ascesa del Sinn Féin a prima forza politica (seppur con un margine piuttosto ristretto rispetto al DUP) sembrerebbe segnare “a defining moment for our politics and for our people”, come dichiarato dalla stessa O’Neill nell’immediatezza dei risultati elettorali[8]. Sebbene la ridefinizione del peso relativo dei due principali Partiti sia foriero di un mutamento in atto, più articolata e meno scontata è la comprensione della sua natura e direzione[9].

Laddove si continuassero ad interpretare le dinamiche sociopolitiche in NI alla luce della sola divisione etnico-religiosa nazionalisti/unionisti, l’avanzata del Sinn Féin suggerirebbe un rafforzamento del fronte nazionalista sollevando la questione della possibile indizione di un referendum di riunificazione sull’Isola, così come previsto dall’Accordo del Venerdì Santo del 1998. Nella realtà, la società e la politica nordirlandesi non sono più monopolizzate dalla frattura settaria dei “Troubles” e le nuove generazioni sembrerebbero rivolgere le proprie preoccupazioni più ai cosiddetti “bread and butter issues” o a questioni sociali che a divisioni identitarie faziose. A confermare la tendenza in atto, sono poi i risultati dei sondaggi del 2020 riportati dal Northern Ireland LIFE & TIMES (NILT)[10]. Nella categoria “Political attitudes”, alla domanda “Generally speaking, do you think of yourself as a unionist, a nationalist or neither?” il 42% dei partecipanti ha risposto “neither” con una prevalenza nelle fasce d’età tra 18-24 e 25-34 anni[11]. Analogamente, il sondaggio condotto lo scorso aprile da The Institute of Irish Studies – The Irish News ha rilevato come soltanto il 30% dei nordirlandesi attualmente voterebbero in favore della riunificazione dell’Isola d’Irlanda[12].

I dati riportati rivelano, dunque, un quadro più sfumato e colorito dei fattori che hanno determinato i risultati dello scorso maggio: tanto la vittoria storica del Sinn Féin così come la “sconfitta” simbolica del DUP e l’ascesa dell’Alliance Party hanno più a che vedere con la capacità dei Partiti di rispondere alle esigenze socioeconomiche dell’elettorato piuttosto che con questioni squisitamente ideologico-identitarie. Paradossalmente, il successo del Sinn Féin è riconducibile proprio alla scelta strategica operata da Michelle O’Neill di focalizzare la campagna elettorale su questioni sociali ed economiche (queste ultime in parte inasprite dall’entrata in vigore del Protocollo sull’Irlanda del Nord), ponendo volutamente in secondo piano il tradizionale riferimento al settarismo[13]. Grazie a una strategia ben calibrata tra reattività ad un elettorato in evoluzione e radicamento alla storica e caratterizzante identità nazionalista, il Sinn Féin ha sia confermato i voti degli elettori “fidelizzati” che esteso la sua sfera di influenza ad alcune regioni del nord storicamente unioniste, tingendo di “verde” il NI[14].


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Al contrario, responsabile della “sconfitta” del DUP è stata proprio l’insistenza su questioni più ideologiche che pratiche, legate alla BREXIT e in realtà sintomatiche di una crisi “esistenziale” intestina al Partito. A differenza degli avversari alle urne, il DUP ha voluto concentrare la sua campagna elettorale sulla necessità di disapplicare unilateralmente il Protocollo sull’Irlanda del Nord in virtù dei suoi effetti controversi sulle imprese e il tessuto economico nordirlandesi, disapplicazione che la stessa classe imprenditoriale sembrerebbe voler scongiurare in favore di una più pragmatica e funzionale revisione delle previsioni protocollari rivolta allo snellimento di procedure e costi alla dogana nel Mare d’Irlanda[15]. Piuttosto che affrontare e rendere fattivamente conto degli effetti della BREXIT voluta dal PM Johnson e strenuamente sostenuta, gli “arancioni” di Donaldson hanno scelto di scagliarsi contro un Protocollo parte integrante dell’Accordo di recesso, ratificato da Londra nell’ottica di garantire la tenuta del processo di pace in corso in NI dal 1998 e ora rinnegato dai suoi stessi sostenitori. Deluso da una hard BREXIT che ha disatteso le (irrealistiche) aspettative e tradito da un inquilino di Downing Street che si aspettava più politicamente responsabile, il DUP ha pagato con la retrocessione a seconda forza dello spettro partitico nordirlandese la mancata volontà di essere “accountable” per le scelte intraprese perdendo credibilità e voti dell’elettorato nordirlandese, ormai disinteressato alle battaglie ideologiche e ben più preoccupato dalla precarietà della situazione socio-politico-economica nell’area[16].

Il risultato più interessante e significativo è però quello ottenuto dall’Alliance Party di Naomi Long che, attingendo ad un crescente segmento di elettorato che si definisce “neutrale” rispetto alla storica divisione settaria nazionalisti/unionisti, ha assistito ad un incremento netto dei consensi. A differenza del Sinn Féin, la cui vittoria è attribuibile anche alla crisi esistenziale del DUP, l’Alliance Party deve il suo successo ad un manifesto politico di oltre 90 pagine, articolato e al contempo pragmatico nei contenuti, capace di rivolgersi ed affrontare le preoccupazioni dell’elettorato nordirlandese: i diritti delle donne, la riforma del sistema sanitario, la creazione di un sistema scolastico inter-comunitario, il costo della vita sono stati i temi caldi della campagna elettorale del Partito centrista. Allo stesso tempo, le elezioni del 5 maggio sembrerebbero per la prima volta dopo anni aver premiato quel ruolo di “bridging division” tra i “verdi” e gli “arancioni” nel quale il Partito si era identificato al momento della sua nascita nei turbolenti anni ’70[17].

Anche il successo dell’Alliance Party solleva, però, riflessioni cruciali con riguardo ai cambiamenti in incubazione nel panorama politico nordirlandese. Anzitutto, sebbene i risultati riportati dal NILT rivelino come il 38% della base elettorale del Partito centrista abbia dichiarato di non identificarsi in nessuna delle due storiche comunità etnico-religiose del NI, lo stesso report del 2020 conferma come negli ultimi anni un numero crescente di cattolici e protestanti si sia avvicinato all’Alliance Party in risposta all’insoddisfazione nei confronti della visione “binaria” della società nordirlandese della quale i Partiti storici (DUP, Sinn Féinn, UUP, SDLP) si fanno portavoce. Gradualmente e senza eliminare la storica divisione nazionalisti (cattolici)/unionisti (protestanti), la società nordirlandese, complice anche l’emergere di una nuova generazione nata e cresciuta sotto il processo di pacificazione avviato nel 1998, si sta sempre più definendo nei termini di nuove identità, nuove priorità e nuove preoccupazioni. Dall’interazione tra vecchie e nuove identità è scaturito il successo dell’Alliance Party della Long, il quale ha saputo ben sfruttare la propria identità liberal-centrista per catalizzare il consenso di diversi segmenti di elettorato in NI.

La crescita del Partito di Naomi Long solleva inoltre interrogativi circa la possibilità di futuri cambiamenti al livello costituzionale nell’Irlanda del Nord. L’Alliance Party, infatti, è stato tra i principali sostenitori della riforma dell’attuale power sharing agreement, delineato a partire dalla divisione settaria dei Troubles e accusato delle frequenti crisi Istituzionali degli ultimi anni scaturite dai veti esercitati dai due storici e più importanti Partiti in NI. Laddove la crescita dei “centristi” dovesse confermarsi a fronte di una perdurante insoddisfazione nei confronti degli schieramenti tradizionali, la possibilità (tutt’altro che remota) che l’Alliance Party diventi una tra le due principali forze nello spettro nordirlandese spianerebbe la strada a una serie di riforme costituzionali volte al superamento dell’attuale patto di power sharing in favore di un assetto Istituzionale (forse) più rappresentativo della maggiore fluidità e varietà identitaria in essere nella società nordirlandese[18].

Il Protocollo sull’Irlanda del Nord: un comodo “diversivo” a una scomoda delusione

Che la sconfitta alle elezioni dello scorso 5 maggio non sia stata di insegnamento agli unionisti guidati da Jeffrey Donaldson è evidente nell’ostinazione con la quale il Partito sta impedendo la formazione di un Esecutivo in Irlanda del Nord in nome di una quasi dogmatica e a tratti insensata fedeltà a una hard BREXIT che rinnega a gran voce il Protocollo sull’Irlanda del Nord[19]. La gravità dell’impasse Istituzionale ha ricevuto poi una risonanza internazionale tale da aver mobilitato una delegazione di rappresentanti Repubblicani e Democratici statunitensi, volata ad incontrare gli esponenti nordirlandesi, britannici ed europei a fine maggio nella speranza di attenuare le tensioni esistenti in nome della stabilità politica in Nord Irlanda. Numerosi sono stati i moniti di diversi personaggi di spicco della politica statunitense alla paradossale situazione generata e protratta dal DUP: da Richard Neal, capo dello US ways and means committee che ha ribadito come l’Accordo del Venerdì Santo non possa cadere preda delle strategie di politica interna dei Partiti, a Nancy Pelosi che ha minacciato la vanificazione del potenziale accordo di libero scambio US-UK nell’eventualità di azione unilaterale di Londra nei confronti del Protocollo sull’Irlanda del Nord[20].

Nulla sembrerebbe però star facendo breccia nelle intransigenti posizioni del DUP, le quali sanno più di crisi d’identità che di ragionata preoccupazione per la stabilità socio-politico-economica del NI. Sebbene sul piano discorsivo il disconoscimento del Protocollo venga giustificato in virtù dei suoi effetti distorsivi sull’Accordo del 1998 e potenzialmente pregiudizievoli per il power sharing agreement, nella realtà l’accanimento degli “arancioni” di Donaldson rappresenta nient’altro che il riflesso di un Partito in crisi, disunito e diviso che, incapace di assumersi la responsabilità e rendere conto delle conseguenze di una scelta rivelatasi strategicamente imprudente, ricerca in modo lavativo colpevoli esterni. Nel caso di specie, la scelta imprudente è stato il sostegno alla hard BREXIT “marchiata” Boris Johnson; mentre il “colpevole” è il Protocollo sull’Irlanda del Nord, presunto baluardo della perdurante “tirannia” europea nei confronti dell’integrità sovrana del Regno Unito[21].

Nella realtà, il Protocollo sul NI è una soluzione (seppur migliorabile) ai problemi che la hard BREXIT ha (ri)sollevato nell’area, non la causa[22]. E anche laddove si volessero affrontare le ricadute negative del Protocollo sul carovita in NI, la strada da percorrere sarebbe quella del dialogo costruttivo con Bruxelles e non la paralisi di Stormont motivata dalla pretesa di disapplicazione del Protocollo da parte di Londra, peraltro sostenuta da alcuni esponenti del Governo britannico, tra cui il Segretario di Stato per gli affari esteri Liz Truss[23]. Forte, dunque, del sostegno di un Esecutivo a Londra con il quale condivide aspettative deluse e scarsa accountability, il DUP ha per la seconda volta impedito l’elezione di uno speaker e deputy speaker protraendo lo stallo delle Istituzioni nordirlandesi e perseguendo in questa strategia suicida sotto il profilo elettorale, anteponendo alla stabilità in NI le proprie battaglie (perse) ideologiche[24]. E mentre il DUP sta giocando con Londra quello che ha tutte le caratteristiche per diventare l’ennesimo “losing game” fatto di contraddizioni, disillusioni e “isteria euroscettica”, il NI continua ad essere ostaggio della BREXIT, e altri Partiti, come il Sinn Féinn e l’Alliance Party, stanno capitalizzando a più livelli sulla inadeguatezza degli avversari.

Conclusioni

In modo assolutamente prevedibile, la gestione impulsiva, poco strategica ed approssimativa del recesso da parte di BoJo ha reso la BREXIT un vero e proprio cappio al collo dei suoi più fervidi sostenitori, tra cui proprio il DUP che a queste elezioni ha pagato con la perdita di un quarto delle prime preferenze rispetto alla tornata del 2017 il suo concentrarsi morbosamente sul Protocollo sull’Irlanda del Nord. Tra contraddizioni di fondo e crisi “esistenziali” di Partito, è evidente come la BREXIT, indirettamente attraverso uno dei suoi sostenitori, stia continuando ad influenzare in modo incisivo il panorama politico in Irlanda del Nord, regione “preda” di un recesso nei confronti del quale si era opposta con una consolidata maggioranza al referendum del 2016.


Note

[1] Enda McClafferty, “NI election results 2022: Sinn Féin wins most seats in historic election”, BBC news, 8 maggio 2022. Disponibile online: https://www.bbc.com/news/uk-northern-ireland-61355419
[2] Luke Sproule, Harriet Agerholm, Becky Dale, “NI election results 2022: The assembly poll in maps and charts”, BBC news, 8 maggio 2022. Disponibile online: https://www.bbc.com/news/uk-northern-ireland-61363246
[3] Idem.
[4] Rory Carroll, “DUP to block formation of Northern Ireland power-sharing executive”, The Guardian UK, 9 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/politics/2022/may/09/dup-to-block-formation-of-northern-ireland-power-sharing-executive

[5] Lisa O’Carroll, “Northern Ireland elections: what happens next?”, The Guardian UK, 7 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/uk-news/2022/may/07/northern-ireland-elections-what-happens-next
[6] Per il testo integrale dell’atto, il quale ha emendato parti dell’Accordo del Venerdì Santo del 1998, si veda il sito governativo disponibile al presente link: https://www.legislation.gov.uk/ukpga/2022/2/section/1/enacted
[7] RAFA DE MIGUEL, “El Sinn Féin se acerca a una victoria histórica en Irlanda del Norte”, El Paìs, 7 maggio 2022.
[8] Enda McClafferty, “NI election results 2022: Sinn Féin wins most seats in historic election”, BBC news, 8 maggio 2022. Disponibile online: https://www.bbc.com/news/uk-northern-ireland-61355419
[9] Editoriale El Paìs, “Vuelco en Irlanda del Norte”, 8 maggio 2022.
[10] https://www.ark.ac.uk/nilt/
[11] Per i risultati integrali del sondaggio visitare il sito: https://www.ark.ac.uk/nilt/2020/Political_Attitudes/POLPART2.html
[12] The Institute of Irish Studies, University of Liverpool, The Irish News – Opinion Poll April 2022, marzo 2022.
[13] RAFA DE MIGUEL, “El Sinn Féin se acerca a una victoria histórica en Irlanda del Norte”, El Paìs, 7 maggio 2022.
[14] Luke Sproule, Harriet Agerholm, Becky Dale, “NI election results 2022: The assembly poll in maps and charts”, BBC news, 8 maggio 2022. Disponibile online: https://www.bbc.com/news/uk-northern-ireland-61363246
[15] RAFA DE MIGUEL, “El Sinn Féin se acerca a una victoria histórica en Irlanda del Norte”, El Paìs, 7 maggio 2022.
[16] Rafael Behr, “Reality check: the Northern Ireland protocol isn’t the problem, Brexit is”, The Guardian UK, 17 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/may/17/northern-ireland-protocol-brexit-tories-eu
[17] Adam Payne,” A Major New Political Force In Northern Ireland Could Rewrite Power Sharing”, Politics Home, 13 maggio 2022.
[18] The Irish Times View, “The Irish Times view on Northern Ireland elections: Silent middle finds its voice”, The Irish Times, 9 maggio 2022.
[19] Rafael Behr, “Reality check: the Northern Ireland protocol isn’t the problem, Brexit is”, The Guardian UK, 17 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/may/17/northern-ireland-protocol-brexit-tories-eu
[20] Lisa O’Carroll, “US delegation arrives in Europe for talks on Northern Ireland and Brexit”, The Guardian UK, 20 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/uk-news/2022/may/20/us-delegation-to-fly-to-uk-over-northern-ireland-tensions
[21] Rafael Behr, “Reality check: the Northern Ireland protocol isn’t the problem, Brexit is”, The Guardian UK, 17 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/may/17/northern-ireland-protocol-brexit-tories-eu
[22] Richard Partington, “‘Same nightmare week after week’: UK firms fed up with post-Brexit EU trade”, The Guardian UK, 30 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/business/2022/may/30/brexit-uk-firms-eu-trade-northern-ireland
[23] Rory Carroll, “‘One-sided’: unionists react with scorn as US delegation arrives in Ireland”, The Guardian UK, 23 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/politics/2022/may/23/unionists-react-with-scorn-as-us-delegation-arrives-in-ireland-brexit
[24] Caroline Davies, “DUP blocks attempt to appoint Northern Ireland assembly speaker”, The Guardian UK, 30 maggio 2022. Disponibile online: https://www.theguardian.com/politics/2022/may/30/stormont-parties-dup-back-election-new-speaker-northern-ireland


Foto copertina: I manifesti elettorali sono spuntati in tutta l’Irlanda del Nord prima del voto dell’Assemblea. Graham Baalham-Curry

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Carola Cuccurullo
Nata ad Avellino il 6 ottobre 1996, consegue il titolo di Laurea triennale in Scienze politiche e Relazioni internazionali presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" nel dicembre 2018. L'interesse nei confronti delle relazioni internazionali è stato coltivato sin dagli studi liceali attraverso lo studio della cultura e lingua francese, inglese e spagnola. Suddetta propensione è giunta a maturazione nel corso della formazione universitaria, durante la quale si è rafforzato ed acuito l'interesse nei confronti dello studio della dimensione giuridica e strategica dell'Unione europea, e della geopolitica dell'area del MENA. Ad oggi, è socio di MSOI Napoli (Movimento Studentesco per le Organizzazioni Internazionali) attraverso il quale coltiva la propria ambizione di un futuro proiettato nelle organizzazioni e/o nella diplomazia internazionale.