L’emergenza COVID-19 sta stravolgendo la vita delle persone in tutto il mondo, costringendo anche lo sport a fermarsi.
“…l’umiltà ci consenta di considerare noi stessi come artefici infinitesimali della vita mondiale, e la rettitudine dell’animo ci avvezzi a riputare il bene di molti altri superiore di gran lunga al bene di noi soli…”
Con questa frase, presente nelle prime pagine del suo capolavoro, Confessioni di un italiano[1], scritto tra il 1857 e il 1858 e pubblicato postumo nel 1867, Ippolito Nievo ribadisce l’importanza del concetto di ‘umiltà’ nel corso del cosiddetto “decennio di preparazione”, che avrebbe portato al conseguimento dell’agognata unità d’Italia, proclamata il 17 marzo 1861 e di cui si sono appena festeggiati i 159 anni.
Trasportando il discorso dello scrittore padovano ai giorni nostri, in piena emergenza COVID-19, appare chiaro come le istituzioni sportive siano ben lontane dai concetti trasmessi da Nievo, dal momento che, solo in seguito al dilagare impetuoso e incontrollato del coronavirus, le federazioni hanno deciso di sospendere le rispettive manifestazioni, dopo aver tentato contro ogni logica di salvaguardare i molteplici interessi, principalmente economici, in ballo.
Di fronte a questa situazione, chi non ha sicuramente brillato di tempestività e sensibilità è stata la UEFA[2], l’organo amministrativo, organizzativo e di controllo del calcio europeo, che ha deciso di sospendere le competizioni poste sotto la propria egida, su tutte la Champions League e l’Europa League, soltanto lo scorso 13 marzo, dopo aver permesso, nell’arco della settimana, la disputa di dieci partite complessive, di cui ben sei a porte chiuse, soluzione dimostratasi un palliativo poco efficace.
La criticità del momento, acuita dai primi inevitabili casi di coronavirus tra i calciatori e dalla conseguente scelta di molti paesi di non portare avanti i campionati, ha ‘costretto’ la UEFA a convocare una conference call con tutte le 55 federazioni europee, stabilendo ciò che da subito era sembrato ineluttabile, ovvero il rinvio al 2021 dell’Europeo in programma dal prossimo mese di giugno.
In tal modo, la UEFA consentirà il completamento dei campionati nazionali, della Champions e dell’Europa League, che avranno il proprio epilogo con ogni probabilità in piena estate, virus permettendo.
Del tutto diverso l’approccio alla pandemia da parte della NBA, la principale lega professionistica di pallacanestro degli Stati Uniti d’America, che, immediatamente dopo la comunicazione della positività al coronavirus di Rudy Gobert, cestista degli Utah Jazz, ha disposto non solo il rinvio del match tra i Jazz stessi e Oklahoma, con le due franchigie[3] che avevano già effettuato il riscaldamento, ma anche la sospensione dell’intera stagione, con lo slittamento della fine della regular season, originariamente prevista per il 15 aprile, e dei play-off validi per l’assegnazione del titolo.
La NBA è riuscita, così, a non finire coinvolta nella confusione della classe politica americana, con il presidente Donald Trump che, in soli quattro giorni (tra il 9 e il 13 marzo), ha prima dichiarato che il COVID-19 è paragonabile a una semplice influenza stagionale[4], salvo poi proclamare lo stato di emergenza nazionale, stanziando, nel contempo, 50 miliardi di dollari per contrastarne la diffusione ed effettuando personalmente il tampone per riscontrarne un’eventuale positività.
Anche il mondo dei motori non è rimasto immune dal caos generato dal coronavirus. Analizzando la Formula 1 e la MotoGP, tuttavia, le medesime decisioni di sospensione della stagione prese dalla Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) e dalla Federazione Internazionale di Motociclismo (FIM) sono state diametralmente opposte per quanto riguarda le tempistiche.
La FIA, infatti, è stata saggia nel posticipare a data da destinarsi già lo scorso 12 febbraio il Gran Premio di Cina, inizialmente in calendario il 19 aprile, ma non si è dimostrata altrettanto abile nel rinviare a tempo debito il Gran Premio inaugurale d’Australia, vedendosi costretta ad annullare l’evento a poche ore dall’inizio della prima sessione di prove libere a causa della positività di un meccanico della McLaren, non intenzionata, per questo motivo, a prendere parte alla gara.
Inoltre, la federazione ha stabilito il rinvio dei successivi GP (Bahrein, Vietnam, Olanda e Spagna) e la cancellazione di Montecarlo, fissando il teorico avvio dell’annata al 7 giugno, quando si correrà sul circuito azero di Baku.
Diversa, invece, la gestione da parte della FIM, che lo scorso 1° marzo ha ufficializzato l’annullamento del Gran Premio del Qatar per la sola classe MotoGP, poiché, a partire da quello stesso giorno, il paese mediorientale ha adottato misure più restrittive per coloro che provengono dalle nazioni colpite dalla pandemia, compresa l’Italia. Ciò avrebbe reso impossibile lo svolgimento della gara, giungendo dal Belpaese una buona parte dei membri del circus[5]. Hanno regolarmente corso sul circuito di Losail le squadre e i piloti della Moto 2 e della Moto 3, già presenti in Qatar da una settimana per la conclusione dei test invernali. In anticipo rispetto alle altre federazioni, tra il 10 e l’11 marzo, la FIM ha nuovamente modificato il calendario, posticipando a novembre (il 15 e il 22) i GP degli Stati Uniti e d’Argentina, programmati rispettivamente come secondo e terzo appuntamento della stagione, e indicando come possibile start il GP di Spagna del 3 maggio.
Anche il tennis si ferma e lo fa almeno fino al prossimo 7 giugno. Niente Roland Garros, rinviato al 20 settembre, niente Internazionali al Foro Italico di Roma e, in generale, rinvio pressoché totale della stagione sulla terra rossa. Per ovviare a questa situazione d’emergenza, le associazioni maschili (ATP) e femminili (WTA) dei giocatori professionisti di tennis hanno stabilito di ridisegnare il calendario in una fase successiva, nella speranza di poter garantire il regolare svolgimento dei tornei dall’8 giugno, giorno fissato per la ripartenza[6], e di non dover annullare Wimbledon, terza prova dello Slam, che dovrebbe iniziare il 29 giugno.
Spera di ricominciare prima le proprie gare il mondo del ciclismo, scosso lo scorso 5 marzo dalla positività di Fernando Gaviria, velocista colombiano considerato una delle maggiori promesse. La scelta, colpevolmente tardiva, dell’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) di fermare le competizioni fino al 30 aprile è arrivata soltanto il 17 marzo, dopo aver fatto correre fino alla penultima tappa la Parigi-Nizza, incurante del dilagare della pandemia in Francia.
Tra le varie corse saltate, e in attesa di una nuova collocazione, c’è anche il Giro d’Italia che sarebbe dovuto partire il 9 maggio dall’Ungheria per arrivare il 31 dello stesso mese a Milano per la passerella finale. Come comunicato dall’UCI, i Grandi Giri avranno la priorità sulle altre gare quando sarà stilato il nuovo calendario, sebbene sia alquanto improbabile immaginare il 30 aprile come data di ripresa delle attività[7].
Viaggia in direzione ostinata e contraria il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), che, in questo periodo, sembra vivere fuori dal mondo e dalla realtà. Ne è prova il comunicato diffuso il 17 marzo, in cui il presidente Thomas Bach ha invitato gli atleti a continuare le loro preparazioni in vista dei Giochi olimpici, in programma a Tokyo dal 24 luglio al 9 agosto.
Il CIO non ha cambiato idea neanche di fronte al tortuoso cammino vissuto dalla fiaccola olimpica, accesa nell’antica Olimpia lo scorso 12 marzo in un evento senza pubblico nello stesso giorno in cui la Grecia ha registrato il primo decesso da coronavirus.
Appena 24 ore dopo, il Comitato olimpico greco, per il timore dell’assembramento di un numero troppo elevato di persone, ha deciso di fermare il percorso di 3.200 chilometri e 15 siti archeologi sul proprio territorio della fiamma, consegnata il 19 marzo alla delegazione giapponese in una cerimonia priva di spettatori.
Difficile, se non impossibile, che le Olimpiadi possano svolgersi in estate e sarebbe auspicabile che il CIO decida di rinviarle, affinché si possa tutelare la sicurezza degli 11.090 atleti attesi, dei delegati delle 207 nazioni rappresentate e dei milioni di spettatori che giungerebbero nella capitale giapponese.
Sarebbe il modo giusto, invero, per rispettare il motto olimpico ufficiale, “Citius!, Altius!, Fortius!”, espressione latina che significa “Più veloce!, più in alto!, più forte!”[8], decisamente adatta per esprimere lo spirito che dovrebbe animare il mondo nella battaglia contro la pandemia.
Note
[1] Ippolito Nievo, Confessioni di un italiano, a cura di Ugo M. Olivieri, Universale Economica Feltrinelli/Classici, Milano, 2017, p.11
[3] Le squadre della NBA sono chiamate con il termine franchigie e hanno caratteristiche di estrema flessibilità per quanto concerne simbologia, colori e identità territoriale: esse infatti possono essere rilocate in altre città a totale discrezione della lega e/o degli investitori, perlopiù per motivazioni puramente commerciali. Se una squadra si sposta da una città a un’altra porta con sé tutta la sua storia: i titoli vinti, i numeri di maglia ritirati, il nome della franchigia e quant’altro. A meno che non si crei una nuova franchigia o qualcuna cessi l’attività (volontariamente o per fallimento), le squadre concorrenti sono sempre le stesse stagione dopo stagione
[4] https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1237027356314869761
[5] https://www.motogp.com/it/notizie/2020/03/01/moto2-e-moto3-disputano-la-tappa-del-qatar/326209
[6] https://www.atptour.com/en/news/atp-wta-statement-on-tour-suspension-2020
[7] https://cyclingpro.net/spaziociclismo/giro-2020/giro-ditalia-2020-luci-chiarisce-le-grandi-corse-a-tappe-avranno-la-priorita-nel-nuovo-calendario/
[8] https://it.wikipedia.org/wiki/Motto_olimpico
Foto copertina: SportPsychology
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