Lo Stato di diritto è un valore fondante dell’UE la quale si è dotata nel corso del tempo di alcuni strumenti per proteggerne il rispetto, soprattutto alla luce di quanto sta avvenendo in Polonia e in Ungheria
Che cosa si intende per Stato di diritto?
Lo Stato di diritto è quella forma di Stato in cui i rapporti tra quest’ultimo e i cittadini sono regolati da norme giuridiche. In tal modo, l’esercizio arbitrario del potere viene contrastato con una progressiva regolazione dell’organizzazione e del funzionamento dei pubblici poteri, che ha come scopo sia la diffusione sia la differenziazione del potere, rispettivamente, attraverso istituti normativi (unicità e individualità del soggetto giuridico; eguaglianza giuridica dei soggetti individuali; certezza del diritto; riconoscimento costituzionale dei diritti soggettivi) e modalità istituzionali (delimitazione dell’ambito di esercizio del potere politico e di applicazione del diritto; separazione tra istituzioni legislative e amministrative; primato del potere legislativo, principio di legalità e riserva di legislazione; subordinazione del potere legislativo al rispetto dei diritti soggettivi costituzionalmente definiti; autonomia del potere giudiziario), comunemente considerati come parti integranti della nozione di Stato di diritto[1]. Da sottolineare è che lo Stato di diritto è intrinsecamente connesso al rispetto della democrazia e alla salvaguardia dei diritti, non solo di quelli procedurali ma anche di importanti diritti sostanziali. Per queste ragioni, le leggi dovrebbero essere chiare, generali nella forma, universali nell’applicazione, disponibili pubblicamente e giudicate in modo proceduralmente corretto da una magistratura indipendente. Ciononostante, la storia insegna che ci sono stati e sono ancora presenti nel mondo contemporaneo degli Stati dotati di una struttura del potere altamente istituzionalizzata in cui colui che governa non si ritiene vincolato da alcuna legge. Si tratta dei governi dispotici dove al vertice vi è chi crede di poter agire liberamente, limitando, al contempo, le libertà e i diritti degli altri cittadini dello Stato.
Lo Stato di diritto come valore fondante dell’UE
L’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE) afferma che tra i valori fondanti dell’Unione europea, insieme al rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dei diritti umani, si annovera anche lo Stato di diritto. Ne consegue che tutti gli Stati membri dovrebbero presentare delle società caratterizzate dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. Nella realtà dei fatti la situazione è diversa ed è degenerata negli ultimi anni, prima in Polonia e poi in Ungheria, come si vedrà in seguito nel dettaglio. Richiamato nel preambolo del Trattato sull’Unione europea e da quello della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato di diritto, insieme agli altri valori precedentemente enunciati, rientrano tra i criteri di Copenaghen (articolo 49 del TUE) a cui uno Stato candidato deve conformarsi per poter entrare nell’Unione. Per far sì che nessun membro se ne allontani dopo l’adesione, il Trattato di Amsterdam ha introdotto un apposito meccanismo sanzionatorio. Un meccanismo analogo era stato proposto per la prima volta dal Parlamento europeo nel progetto di testo del Trattato UE del 1984. Il Trattato di Nizza ha poi aggiunto una fase preventiva in caso di «evidente rischio di violazione grave» dei valori dell’UE in uno Stato membro[2]. L’intera procedura è sancita all’articolo 7 del TUE, la cosiddetta «opzione nucleare» che si applica anche alle situazioni che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE. Il primo paragrafo prevede che su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può stabilire che esiste un tale rischio. Tuttavia, prima di procedere alla relativa constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni. Il secondo e il terzo paragrafo riguardano la successiva fase sanzionatoria che può essere attivata dalla Commissione o da un terzo degli Stati membri, ma non dal Parlamento, dopo aver invitato lo Stato membro interessato a presentare osservazioni. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, può constatare allora l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di quello Stato dei valori di cui all’articolo 2 del TUE. Ne deriva la sospensione di alcuni dei suoi diritti, come del diritto di voto del rappresentante del governo di tale Stato in seno al Consiglio, ferma restante la possibilità di modificare o revocare le sanzioni. Ma l’applicazione di quanto previsto è politicamente difficile e in una comunicazione del 2014 la Commissione ha proposto il «Quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto» il quale si propone di contrastare le minacce future allo Stato di diritto negli Stati membri prima che si verifichino le condizioni per attivare i meccanismi previsti dall’articolo 7 del TUE[3]. Questo non si configura come un’alternativa all’attivazione dell’articolo 7, bensì lo precede ed integra. Analogamente, non compromette la procedura di infrazione da parte della Commissione ai sensi dell’articolo 258 del TFUE che si applica quando una normativa nazionale non è in conformità con il diritto dell’UE in casi specifici e individuali. Le tre fasi comprendono la valutazione della Commissione e l’invio di un parere in cui sono motivate le sue preoccupazioni; una sua raccomandazione motivata sullo Stato di diritto nel quale si invita lo Stato membro interessato a risolvere la situazione entro un determinato periodo di tempo; il controllo del seguito dato dallo Stato membro alla raccomandazione che gli è stata rivolta.
Con il tempo l’Unione si è dotata di altri strumenti giuridici per proteggere lo Stato di diritto e gli altri valori in modo tale da prevenire l’applicazione dell’articolo 7. A tal proposito, si ricordino in particolare: il ciclo del semestre europeo nell’ambito della lotta contro la corruzione, sistemi giudiziari efficaci e la riforma della pubblica amministrazione; il quadro di valutazione UE della giustizia che esamina annualmente una serie di indicatori per valutare l’indipendenza, la qualità e l’efficienza dei sistemi giudiziari nazionali; il servizio di assistenza per le riforme strutturali della Commissione che fornisce sostegno tecnico anche nei settori pertinenti al rafforzamento del rispetto dello Stato di diritto; i fondi strutturali e di investimento europei e i fondi che sostengono le politiche in materia di giustizia e sicurezza che aiutano gli Stati membri a rafforzare la pubblica amministrazione, il sistema giudiziario e la loro capacità di combattere la corruzione; il meccanismo di cooperazione e verifica per assistenza alla Bulgaria e alla Romania; l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) che individua e indaga su frodi, corruzione e altri reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE e formula raccomandazioni che consentono alle autorità nazionali di avviare procedimenti amministrativi o giudiziari[4].
La preoccupante situazione in Ungheria e Polonia
La Commissione ha avviato da tempo delle procedure di infrazione contro Polonia e Ungheria su singoli provvedimenti o prese di posizione, per esempio il trattamento disumano nei confronti dei migranti in Ungheria, o le nomine politiche dei giudici in Polonia, senza riuscire a influenzare più di tanto le decisioni dei rispettivi governi[5]. A partire dagli ultimi mesi del 2015, la Polonia è l’epicentro di una grave crisi costituzionale, che può comportare il serio pericolo di una regressione antidemocratica nel Paese protagonista della storica ondata di democratizzazione che ha preso avvio in tutta l’Europa centro-orientale a seguito del crollo del Muro di Berlino[6]. Nel 2016 è stato applicato pertanto il Quadro relativo allo Stato di diritto, senza pervenire ad alcun risultato soddisfacente. Dal 2015 il governo polacco è guidato dal partito di estrema destra ed euroscettico Diritto e Giustizia (PiS) che ha introdotto una serie di riforme del sistema giudiziario. Nel 2017 Beata Szydło è stata sostituita nella carica di Primo ministro da Mateusz Morawiecki che è oggi al suo secondo mandato. L’UE è fortemente preoccupata per la sempre più debole indipendenza della magistratura e per la mancanza di un’effettiva separazione dei poteri nel Paese. La procedura di cui all’articolo 7 del TUE è stata attivata per la prima volta nella storia europea nel dicembre 2017 dalla Commissione proprio nei confronti di questo Stato. Nel marzo 2018, il Parlamento europeo ha sostenuto la procedura con una risoluzione in cui ha invitato il Consiglio ad agire con tempestività. La lenta erosione dello Stato di diritto si è manifestata in più occasioni. Il 14 ottobre 2021 la Corte costituzionale polacca ha deciso di non riconoscere più il primato del diritto dell’Unione europea sulle leggi nazionali ed uno degli aspetti più rilevanti di questa decisione è che il tribunale che l’ha presa era composto in buona parte da giudici indicati dal partito[7]. Inoltre, le autorità polacche hanno continuato a erodere l’indipendenza della magistratura e la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che due dei massimi organismi giudiziari polacchi non avevano rispettato gli standard di equità processuale[8].
Nel marzo 2018, il Parlamento europeo ha avviato la fase preventiva dell’«opzione nucleare» con una risoluzione contro l’Ungheria per una serie di questioni riguardanti il funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale, l’indipendenza della magistratura e di altre istituzioni e i diritti dei giudici, la corruzione e i conflitti di interesse, i diritti delle persone appartenenti a minoranze, compresi i rom e gli ebrei, e la protezione dalle dichiarazioni di odio contro tali minoranze, ecc. Ha definito quanto avvenuto nel Paese come una «minaccia sistemica per i valori di cui all’articolo 2 del TUE e un evidente rischio di violazione grave dei suddetti valori». Negli anni successivi, il Parlamento europeo si è più volte espresso condannando con la massima fermezza le leggi adottate dal Parlamento ungherese. Ad esempio, da menzionare è la sua risoluzione dell’8 luglio 2021 sulle violazioni del diritto dell’UE e dei diritti dei cittadini LGBTIQ in Ungheria a seguito delle modifiche giuridiche adottate dal Parlamento ungherese. Da ultimo, nella sua risoluzione del 16 settembre 2022 ha ribadito i suoi timori riguardanti il peggioramento della situazione in Ungheria e ha espresso «profondo rammarico per il fatto che la mancanza di un’azione decisa da parte dell’UE abbia contribuito al crollo della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in Ungheria, trasformando il Paese in un regime ibrido di autocrazia elettorale, secondo gli indicatori pertinenti»[9]. Le elezioni politiche tenutesi il 3 aprile 2022 hanno visto la rielezione, con il 53% dei voti, del Primo ministro uscente Viktor Mihály Orbán che ricopre questa carica dal 2010. L’OSCE in risposta alle preoccupazioni sulla regolarità delle elezioni e agli appelli della società civile, ha inviato una missione internazionale di osservazione elettorale, cosa che non dovrebbe aver ragione di avvenire negli Stati membri dell’UE. Infine, il Parlamento europeo ha chiesto l’intervento della Commissione e del Consiglio.
Sia nel caso polacco che in quello ungherese, la seconda fase della procedura risulta da tempo bloccata in seno al Consiglio poiché i due Stati si sostengono a vicenda. La determinazione e l’adozione di sanzioni rimangono difficilmente realizzabili a causa del requisito dell’unanimità, come dimostrato dal fatto che i governi di Ungheria e Polonia hanno annunciato di opporsi a qualsiasi decisione di questo tipo riguardante l’altro Stato membro[10]. Inoltre, i ripetuti veti di questi due Stati in seno al Consiglio europeo hanno condotto all’adozione del Regolamento (UE) 2020/2092 del Parlamento e del Consiglio del 16 dicembre 2020 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione. È stato pertanto introdotto un meccanismo alla luce del quale, in caso di violazioni dello Stato di diritto che incidono sugli interessi finanziari e sul bilancio dell’UE, la Commissione può sospendere i fondi europei allo Stato inadempiente. Gli Stati membri infatti possono garantire una sana gestione finanziaria solo se le loro autorità pubbliche agiscono in conformità della legge, se i casi di frode, inclusi i casi di frode fiscale, evasione fiscale, corruzione, conflitto di interessi o altre violazioni del diritto, sono effettivamente perseguiti dai servizi responsabili delle indagini e dell’azione penale, e se le decisioni arbitrarie o illegittime delle autorità pubbliche, comprese le autorità di contrasto, possono essere soggette a un effettivo controllo giurisdizionale da parte di organi giurisdizionali indipendenti e della Corte di giustizia dell’Unione europea[11]. Tale regolamento si colloca al crocevia tra dinamiche politiche e aspetti più strettamente giuridici e riguarda una delle questioni più urgenti che l’Unione si trova ad affrontare[12]. La Corte di giustizia dell’Unione europea, adita dai governi della Polonia e dell’Ungheria nelle cause gemelle C-156/21 e C-157/21, ha recentemente confermato la conformità del regolamento ai Trattati e al diritto dell’Unione europea. La Commissione europea, dal canto suo, ha votato all’unanimità la proposta di sospendere il 65% dei fondi di tre programmi operativi per la Coesione destinati all’Ungheria a causa della violazione dello Stato di diritto[13]. Il governo ungherese ha a disposizione fino a fine dicembre per attuare le 17 misure che ha concordato con la Commissione al fine di poter beneficiare dei 7,5 miliardi di fondi di coesione che le sono assegnati. Il Consiglio, alla fine, deciderà a maggioranza qualificata se adottare o meno le misure proposte contro lo Stato ungherese. Lo scenario attuale pone l’Unione europea di fronte a situazione complesse che richiedono soluzioni efficaci e repentine. In Polonia e in Ungheria prevarrà l’interesse economico su quella che da molti è stata considerata una deriva autoritaria del potere? Come spesso accade, solo il tempo saprà dare tutte le risposte.
Note
[1] Treccani, Lo Stato di diritto, 2011.
[2] Ottavio Marzocchi, La protezione dei valori dell’articolo 2 del TUE nell’Unione europea, maggio 2022.
[3] Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto, 11 marzo 2014.
[4] Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Rafforzare lo Stato di diritto nell’Unione, Il contesto attuale e possibili nuove iniziative, 3 marzo 2019.
[5] Il Post, L’Europa vuole mettere in riga Ungheria e Polonia, 30 settembre 2020.
[6] Dicosola M., La crisi costituzionale del 2015-16 in Polonia: il fallimento della transizione al costituzionalismo liberale?, Osservatorio Costituzionale, 18 aprile 2016.
[7] Il Post, Lo “Stato di diritto” che c’è sempre meno, in Polonia, 23 ottobre 2021.
[8] Amnesty International, Polonia: le violazioni dei diritti umani accertate nel 2021, Rapporto 2021-2022.
[9] Parlamento europeo, Risoluzione sulla proposta di decisione del Consiglio in merito alla constatazione, a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea, dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione, 15 settembre 2022.
[10] Ottavio Marzocchi, La protezione dei valori dell’articolo 2 del TUE nell’Unione europea, cit., p. 2.
[11] Regolamento (UE) 2020/2092 del Parlamento e del Consiglio del relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione, 16 dicembre 2020.
[12] Saputelli G., Baraggia A., Mercoledì 28 settembre diretta web sulla condizionalità nelle politiche di coesione e il rispetto dello Stato di diritto, Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2022.
[13] Festuccia P., Ungheria, la Commissione Ue propone taglio fondi di coesione per 7,5 miliardi di euro. Gentiloni: “Difendiamo i valori dello stato di diritto”, La Stampa, 18 settembre 2022.
Foto copertina: Viktor Mihály Orbán