Lo scorso 24 aprile il presidente uscente Emmanuel Macron ha ottenuto un secondo mandato con il 58,5 per cento dei voti contro il 41,5 per cento di Marine Le Pen. Eric Jozsef ci aiuta ad analizzare il voto francese e le sfide che attendono Macron.


Eric Joszef giornalista francese. Da diciotto anni è corrispondente in Italia del quotidiano francese Libération. Collabora fin dalla prima uscita al quotidiano di Ginevra Le Temps e scrive per varie testate italiane. Per Arte, canale culturale franco-tedesco a vocazione europea, ha realizzato i documentari: Gene(s)rations, dedicato agli avvenimenti del 2001 a Genova durante il G8 (al quale ha partecipato come inviato) e Halte à la Mafia. Dal 2002-2004 è stato presidente dell’Associazione Stampa Estera

Domenica 24 aprile, al Champ-de-Mars, dove si erano radunate diverse migliaia di persone, nel discorso di ringraziamento il rieletto presidente Macron comprende che non può sottovalutare il dato degli astenuti (28%) e non ignorare il supporto di chi al secondo turno ha deciso di votare per lui soprattutto in chiave anti-LePen. Macron è consapevole che le sfide che lo attendono nei prossimi 5 anni non sono semplici a partire dalle legislative del prossimo giugno.
Una rielezione importante quella di Macron contro una Marine Le Pen, leader finora incontrastata della destra francese, che ha visto crescere i consensi nei suoi confronti ma che deve guardarsi da chi è alla sua destra, Eric Zemmour che mira a defenestrarla. A sinistra la vera sorpresa Jean-Luc Mélenchon 70enne leader de La France Insoumise, il principale gruppo politico di sinistra capace di arrivare ad un soffio dal ballottaggio con il suo 22%. Per comprendere al meglio lo scenario politico francese, abbiamo chiesto supporto ad Eric Joszef giornalista francese. Da diciotto anni è corrispondente in Italia del quotidiano francese Libération. Collabora fin dalla prima uscita al quotidiano di Ginevra Le Temps e scrive per varie testate italiane.
Per Arte, canale culturale franco-tedesco a vocazione europea, ha realizzato i documentari: Gene(s)rations, dedicato agli avvenimenti del 2001 a Genova durante il G8 (al quale ha partecipato come inviato) e Halte à la Mafia. Dal 2002-2004 è stato presidente dell’Associazione Stampa Estera[1].


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Emmanuel Macron è il nuovo presidente della Francia. Ha ottenuto, in base ai risultati definitivi, il 58,55% dei voti espressi, contro il 41,45 di Marine Le Pen. Nel 2017, eravamo di fronte alla stessa situazione e il Macron aveva ottenuto il 66,1% dei voti, Le Pen il 33,9%. Insomma bene ma non benissimo

“Bisogna fare due valutazioni diverse, sicuramente Macron non è andato bene come 5 anni fa, lo dicono i numeri, ha perso 2 milioni di voti rispetto al 2017 e lo scarto con la destra si è ridotto. Contemporaneamente l’estrema destra è avanzata conquistando quei due milioni di voti anche come voti di protesta. Macron però ha dimostrato che il “Fronte repubblicano” esiste ancora ed ha retto al secondo turno. Diventa un aspetto importante per un presidente che non è più una “novità” come 5 anni fa, ma si tratta di una rielezione e questo è un dato importante. Macron è primo presidente che va il secondo mandato senza coabitazione (prima di lui Mitterrand e Chirac ma dopo un periodo di coabitazione). Quindi la valutazione in chiaroscuro, bene la rielezione ma l’elemento preoccupante è la scarsa partecipazione e soprattutto aver ricevuto molti voti non per il programma politico ma da parte di chi era “contro” la Le Pen.”

Proviamo ad analizzare il voto.
Primo dato: L’astensionismo alto al 28%. Al primo turno tra i più astensionisti, le banlieue e i giovani[2].
Secondo dato Macron ha vinto nelle città, Le Pen nei piccoli centri e nei territori d’oltralpe, Mélenchon nelle periferie.
Terzo dato la radicalizzazione del voto: al primo turno il 57,8% dei votanti si è espresso a favore di un partito radicale estremo, di sinistra (il 25,5%) o di destra (il 32,3%).

“Dall’analisi del voto emerge un solo dato: abbiamo una Francia spaccata su tre livelli.
Primo frattura territoriale. L’analisi del voto del primo turno ci dice che Macron ha vinto nei grandi centri cittadini, Mélenchon ha vinto nelle periferie, la Le Pen ha vinto nei centri periurbani che hanno paura di diventare periferia.
Al secondo turno la frattura territoriale si evidenzia maggiormente nelle isole e nei territori d’oltralpe, in Guyana, in Martinica, a Guadalupe, l’astensionismo è stato elevato e i cittadini che al primo turno hanno votato per Mélenchon al secondo hanno votato per la Le Pen. Un dato che risulta ancora più importante in relazione al rapporto tra Le Pen padre,  Jean-Marie veniva pesantemente contestato nei territori d’oltralpe, e Marine che invece ha vinto in sette territori su 10, toccando il 69, 6 per cento in Guadalupe, il 60,87 nell’isola di Martinica e il 60,7 nella Guyana francese.
La seconda frattura è generazionale e anche questa è molto forte. Al secondo turno Macron ha intercettato i voti degli over-50, tra i giovani invece c’è stata molta astensione, non volevano votare l’estrema destra di Marine Le Pen ma nemmeno per Macron, non sentendosi rappresentati dall’uno né dall’altra
La terza frattura è di tipo sociale, al secondo turno i quadri, i dipendenti pubblici hanno votato per Macron gli operai per la Le Pen.”

Per la sua terza candidatura alle elezioni presidenziali, Jean-Luc Mélenchon ha ottenuto il 21,95% dei voti, quasi 2 punti in più rispetto al 2017. Questo risultato è più legato ai temi proposti in campagna elettorale o possono essere visti come un voto di protesta degli elettori che non volevano premiare né Macron né Le Pen?

“Anche qui ci sono due elementi da considerare. Mélenchon ha parlato principalmente ai giovani puntando su temi molto sentiti dalle nuove generazioni come la tutela dell’ambiente e la tutela sociale, il tutto sopportato da una ottima campagna di comunicazione, che per certi versi ricordava quella del primo Movimento5Stelle. Ma Mélenchon è riuscito a sfiorare il ballottaggio anche grazie a quello che è stato definito “Voto utile”, cioè ai francesi che guardavano a sinistra è stato chiesto di votare compatti per lui e non frazionare il voto. Senza il voto utile, secondo alcuni sondaggi, Mélenchon avrebbe preso l’11% mentre il partito dei verdi avrebbe preso il 9%.”

La figura di Mélenchon ha un equivalente in Italia?

“Non il Pd, Mélenchon si potrebbe definire come un mix tra il Movimento5Stelle e forse Nicola Fratoianni leader della Sinistra Italiana. Come dicevo prima Mélenchon è molto vicino al “metodo 5Stelle”, sia per stile di comunicazione che per gli argomenti trattati, come ad esempio la contrapposizione “popolo-casta”. Diciamo che Mélenchon è un Beppe Grillo di sinistra.”

Il prossimo governo Macron dovrebbe spostare l’età pensionabile fino ai 65 anni e dovrebbe introdurre l’obbligo per i beneficiari del RSA di dover lavorare 15h settimanali. La sinistra afferma che queste manovre serviranno per fornire lavoratori a basso costo. In quest’ottica l’eventuale cohabitation Macron- Mélenchon sarebbe complicata.

“Estremamente complicata ma non è un ipotesi concreta, vedremo come andranno le elezioni. Il primo ministro dovrà essere nominato ma dovrà avere una maggioranza alla camera. Nonostante il suo appello, considero molto difficile che Mélenchon potrà diventare primo ministro. E’ una questione numerica, il sistema elettorale prevede di arrivare al 50%, se la Gauche arriva tutta unita non supera il 30%, ed è difficile che l’estrema destra possa avvantaggiare un partito di sinistra. Quindi molto difficile che Mélenchon possa avere la maggioranza assoluta, e molto improbabile che possa puntare quella relativa, per riuscirci dovrebbe trovare un alleato che chiaramente non potrebbe trovarlo a destra, al massimo al centro.”

C’è il rischio concreto che il presidente Macron potrebbe non avere la maggioranza assoluta e si andrebbe verso un Assemblea divisa con tre o quattro campi, dalla sinistra di Mélenchon alla destra forse riunita, tra i quali sarà difficile intesa…

“Abbiamo un tripolarizzazione della politica francese. A sinistra in cui l’elemento determinante è come sappiamo Mélenchon che sta facendo un operazione incredibile che rovescia 50 anni di politica francese. Nel giugno del 1971 al Congresso di Épinay François Mitterrand leader di Convention des institutions républicaines in quel momento minoritario, fu eletto segretario del Partito Socialista e decise di allearsi con i comunisti (1972). Una mossa che gli permise di prendere la scena e in breve tempo riuscì a ribaltare le forze a sinistra con i Socialisti che superano il Partito comunista nel 1978. Ora sta avvenendo il contrario, la sinistra radicale insegue quella moderata, ma gli elettori moderati tendono ad andare verso Macron e non verso Mélenchon. Macron, pur senza avere un partito, è stato in grado di creare un polo centrale capace di recuperare gli elettori moderati della destra e della sinistra.
La destra che rappresenta il terzo polo cresciuto in termini di numeri, ma è diviso tra i suoi leader. Sinceramente è difficile da prevedere come andrà tra Marine Le Pen ed Éric Zemmour dopo le critiche post elezioni.
Con un sistema elettorale che premia che prende il 50%, Macron dovrebbe riuscire ad avere una maggioranza ma dovrà allearsi con Valérie Pécresse e forse con i pochi verdi e i socialisti che non appoggiano Mélenchon. Chiaramente Macron se dovesse raggiungere una maggioranza con questo tipo di alleanze, corre dei rischi al momento di votare le riforme annunciate.”

Cosa è rimasto del movimento dei Gilets Jaunes?

“Sebbene le motivazioni che hanno portato alle manifestazioni sono rimaste, i Gilets Jaunes si sono esauriti. Merito anche di Macron che ha messo molti soldi sul tavolo per soddisfare alcune delle richieste, ma i Gilets Jaunes si sono esauriti soprattutto perché non avevano un partito di riferimento o comunque non sono stati in grado di trasferire queste istanze in un contenitore politico. Quindi erano arrivati al punto di trovare o uno sbocco elettorale o virare verso una svolta insurrezionalista, o come è accaduto si sono esauriti.”

In che misura l’attuale guerra in Ucraina ha pesato sulla campagna elettorale?

“Molto. Al primo turno Macron non ha fatto campagna elettorale proprio perché completamente assorbito dalla guerra. Poi è risalito nei sondaggi, aiutato anche dal suo ruolo di Capo di Stato e il suo attivismo nella risoluzione del conflitto. Al primo turno ha di fatto “eliminato” Zemmour per la sua prossimità con Putin, in particolare per le dichiarazioni rilasciate dal leader di Reconquête quando affermò che “Putin sistemava i problemi in Crimea” e per la sua incapacità di essere empatico con i profughi ucraini. Mentre Le Pen e Mélenchon hanno preso le distanze dal Presidente russo.
Al secondo turno, la guerra è tornata nel dibattito politico, il è stato utilizzato da Macron nel dibattito televisivo contro la La Pen, ricordandole la sua prossimità ideologica e finanziaria, in particolare nel caso di elezione della leader di Rassemblement National a Presidente della Repubblica, nei confronti di Putin parlerebbe da “cliente a banchiere e non da Capo di Stato a Capo di Stato”. Una posizione molto forte che ha indebolito molto la Le Pen, incapace di rispondere in modo convincente.”

Macron in questi 5 anni ha più volte provato a ricoprire un ruolo di primo piano sulla scena internazionale. E’ stato in questi mesi uno dei pochi leader europei a cercare con convinzione una soluzione diplomatica tanto da ricevere gli auguri per la rielezione sia da Putin che da Zelensky. Un suo giudizio su questi 5 anni del Macron internazionale e se questo attivismo riuscirà ad avere i suoi frutti?

“Sul Macron internazionale dobbiamo scindere il ruolo della Francia nel mondo da quello in Europa.
Sulla politica internazionale è stato un fallimento, ma sia chiaro non di Macron ma della Francia come sistema paese. La Francia non è più quella della Grandeur e nemmeno quella “Potenza media di importanza mondiale” come la definì l’ex presidente Giscard d’Estaing. Oggi la Francia è un piccolo paese. Lo abbiamo visto in molti teatri africani e mediorientali.
Lo scorso 17 febbraio la Francia ha annunciato il ritiro delle proprie truppe senza riuscire nell’obiettivo principale di combattere contro i movimenti politico-militari di ispirazione Jihadista. Stessa cosa è accaduta in Libano, Macron si presentò a Beirut nell’agosto del 2020 dopo 2 giorni dall’esplosione nel porto promettendo aiuti e proponendo un nuovo patto ai leader libanesi, dichiarazioni che non hanno avuto poi un seguito.
Ma mentre la valutazione sulla politica internazionale di Macron non può che essere negativa, al contrario quella sulla politica europea è ampiamente positiva. Bene la politica sanitaria, quella del rilancio economico, e tanti altri temi europei. Possiamo dire che ci sono stati fatti grandi passi in Europa grazie all’attivismo della Francia di Macron. Anche sulla crisi odierna in Ucraina, sebbene con differenze, l’Europa è in grado di parlare con una voce comune, e questo è un dato di forza. L’iniziativa di Macron temo non possa portare a nessuna soluzione concreta. Chiaramente gli Stati inevitabilmente perseguono primariamente gli interessi nazionali. Un problema storico che si può superare solo con una difesa comune europea un integrazione anche militare. Ecco se oggi avessimo un Governo europeo, la situazione sarebbe diversa.”

A proposito di integrazione militare, la decisione del Cancelliere Olaf Scholz di riarmare la Germania e di destinare 100 miliardi di euro in spese militari ha portato a qualche reazione?

“No, per il momento non ci sono reazioni, ma se l’aumento delle spese non verrà integrato in una difesa comune europea evidentemente creerà delle questioni.”

Del ruolo della NATO e sulla presenza delle basi militari si discute spesso in Italia. In Francia questo è un tema sentito?

“In Francia alcuni partiti, come quello della signora Le Pen e quello di Mélenchon, vogliono uscire dal comando NATO,  ma la situazione è meno conflittuale che in Italia. E nonostante questi partiti prendano molti voti, l’uscita della Francia dalla NATO o il rapporto della Francia con la NATO non è un tema molto dibattuto. A Parigi non c’è un sentimento di sudditanza rispetto alla NATO come ad esempio vedo in Italia e che provoca delle discussioni, non c’è visto che la Francia è già uscita[3] e se dovesse rifarlo in futuro non vorrebbe dire passare nel “campo nemico”.
Diciamo che in Francia rispetto alla NATO c’è una percezione più tranquilla e meno isterica che in Italia, questo ovviamente dipende anche dal fatto che non abbiamo sul suolo francese soldati americani dal 1966 e non abbiamo avuto vicende come quella del Cermis[4] che danno più una percezione di subire la NATO anziché partecipare alla NATO. Un aspetto che spesso mi stupisce e quando assisto alla discussione del piacere o meno di un Presidente della Repubblica o del Consiglio italiano agli Stati Uniti, cosa che in Francia non avviene.”

Lo scorso 26 novembre è stato firmato a Roma il trattato del Quirinale tra Italia e Francia. Un passo avanti nelle relazioni tra i due stati che concludono una stagione di conflittualità?

“In questo periodo si perché Macron e Draghi sono perfettamente allineati. Anche se ci sono delle differenze di vedute su alcuni dossier internazionali come ad esempio in Libia e in generale nel Mediterraneo, non ci sono dissidi. Il trattato del Quirinale[5] è stato firmato proprio per evitare che i rapporti tra gli Stati possano dipendere dai Governi. L’obiettivo principale del trattato è quello di costituire un’alleanza strategica tra Parigi e Roma. Si tratta di un nuovo strumento politico per entrambe le parti, per superare i disaccordi a livello bilaterale ed europeo.”


Note

[1] https://www.festivaldelgiornalismo.com/speaker/eric-jozsef
[2] Più dell’80% di chi ha tra 18 e 30 anni non ha votato, in certi comuni di periferia si è recato alle urne non più del 10-15%
[3] 1966: Charles de Gaulle decide l’uscita della Francia dal comando militare NATO per poter perseguire un proprio programma di difesa non necessariamente dipendente da altri paesi, mantenendo la sua autonomia anche nelle scelte nel programma nucleare.
[4] L’incidente della funivia del Cermis, spesso definito dagli organi di informazione come la strage del Cermis, si riferisce ai fatti avvenuti il 3 febbraio 1998 quando un aereo militare statunitense Grumman EA-6B Prowler della United States Marine Corps, volando a una quota inferiore a quanto concesso e in violazione dei regolamenti, tranciò il cavo della funivia del Cermis, facendo precipitare la cabina e provocando la morte dei venti occupanti.
[5] Il trattato del Quirinale (in francese traité du Quirinal), formalmente trattato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica francese per una cooperazione bilaterale rafforzata, è un trattato tra Italia e Francia che mira a fornire un quadro stabile e formalizzato per la cooperazione nelle relazioni tra i due Paesi.


Foto copertina: French President Emmanuel Macron waves as he leaves after his visit at the ‘Percy’ Army Hospital in Clamart, near Paris, France, 28 April 2022. Macron met soldiers injured during external operations, and caregivers of the Percy Army Hospital. EPA/CHRISTOPHE PETIT TESSON / POOL