Charbel Makhluf (o Sciarbel Makhlouf), è stato un monaco cristiano e presbitero libanese, proclamato santo da Paolo VI nel 1977.

Nello studio delle comunità cristiane orientali è facile e comune, imbattersi in una narrativa dolorosa: persecuzioni, minacce ed esilio ne hanno spesso accompagnato la storia nel corso dei secoli. Una di queste comunità però, può quasi risultarci vincitrice, o quantomeno, detentrice di una storia più fortunata di quella delle sue consorelle: la comunità dei maroniti libanesi.


A cura di Debora Iannotti

La comunità maronita fin dalla sua nascita nel lontano VI sec. d.C., ebbe un rilevante ruolo nella costituzione di una florida e organizzata comunità che, dalle conquiste arabe del Mashrek[1] , passando per la costituzione dell’Impero Ottomano, sino alla nascita del Grande Libano, ha sempre manifestato e preservato un grande impegno politico e sociale, non conformandosi neanche quando in minoranza, a un ruolo subalterno.

La storia del Libano, così come quella della maggior parte dei paesi medio-orientali, può trovare una lettura attraverso la lente del Colonialismo. Con la Conferenza di Pace di Parigi del 1919[2], il paese rientrò nella cosiddetta sfera di influenza francese[3].

All’alba del protettorato francese, il Libano presentava caratteristiche peculiari: l’organizzazione politica e sociale dipendeva dalla presenza di numerose comunità caratterizzante da un ruolo poli-funzionale all’intero del paese. La radice storica di queste comunità e la loro conseguente trasformazione in organi politici sotto l’egida europea, ha fatto sì che la storia di questo paese sia stata spesso legata, raccontata e analizzata attraverso le intricate vicende di queste comunità.

Le comunità

Senza dubbio alcuno, le comunità rappresentano l’elemento che maggiormente costituisce lo stato libanese, parlando talora di etnie, confessioni, clan, ecc. Le comunità rappresentano il minimo comune denominatore della vita e vicende del popolo libanese. La definizione di comunità a stampo confessionale prevede un sistema caratterizzato dalla convivenza su un medesimo territorio di diversi raggruppamenti comunitari governati da una propria autorità. Tali autorità sono rette da statuti e leggi organiche interne alla stessa e sottomesse alle gerarchie religiose della confessione, alle quali lo Stato riconosce la legittimità di applicare statuti e leggi propri nella materia del cosiddetto statuto personale.

Il ruolo delle comunità è sì focale, ma è bene ribadire che sarebbe troppo semplicistico ricondurre il tutto a una pura questione religiosa: costoro sono caratterizzate da questioni identitarie, sociali e politiche. Qui di seguito il termine confessionalismo (in arabo ta’ifiya) e comunitario verranno usati indistintamente. Nel caso libanese, oltre a essere entità socio-religiose, le comunità presto sono divenute entità politiche.

Ad oggi le comunità riconosciute e regolamentate in Libano sono 18 (Aboujaoude, 1985, pp. 155-90), anche se alcuni analisti preferiscono fermarsi a 17, escludendo la ormai esigua presenza della comunità ebraica. Il peso specifico di ciascuna comunità dipende da fattori inerenti alla storia e esistenza della stessa, nonché le sue relazioni con l’ambiente circostante.

I primi fattori caratterizzanti possono essere ascritti al contesto demografico e socio-culturale: il potere economico che ne deriva proietta il peso politico di ciascuna comunità. Il secondo fattore attiene alla ripartizione geografica e quasi dinastica delle grandi famiglie e ai loro contatti esterni allo Stato libanese. Infine, non di minore rilevanza, quanto gli interessi di alcune potenze regionali e talvolta internazionali, abbiano influito e tutt’ora influiscano su alcuni gruppi confessionali costituendo una seria ingerenza nella vita nazionale.

Il punto di svolta si avrà con il raggiungimento dell’indipendenza e la firma del Patto Nazionale; se da un lato il Patto legittimava una divisione comunitaria del potere, dall’altro le azioni dei governi della prima Repubblica Libanese (1943-1975) andarono in direzione opposta. Sebbene i primi due governi di Solh (1943-45; 1946-51) sotto la presidenza Khoury, fecero dell’anti-confessionalismo la propria bandiera, ciò che in realtà avvenne fu una graduale istituzionalizzazione del confessionalismo. L’Art. 95 della Costituzione, secondo il quale il sistema confessionale istituito deve avere solo valore transitorio, non è mai stato modificato e risulta ancora in vigore.

Gli sviluppi raggiunti dopo l’accordo di Ta’if e la conseguente modifica della costituzione non hanno fatto altro che confermare la tendenza sempre più confessionale aggiungendo anche una serie di prerogative politiche.

L’equilibrio inter-confessionale è mantenuto da fattori interni, esterni e internazionali. La “confessionalizzazione” del paese riflette la modalità di gestione degli affari delle comunità e fra le comunità. Le comunità, che vanno intese come la vera e propria pietra angolare del paese, si reggono su leggi organiche divise in due grandi categorie: le leggi per le comunità cristiane ed ebraiche e quelle per le comunità musulmane. In realtà va detto che non esistono codici per tutte le 18 comunità, ma solo per 15 di esse: alauiti, copto-ortodossi ed ebrei appunto, seguono i regolamenti delle comunità più vicine al loro credo (Ofeish, 1999).

Comunità religiose in Libano:

 Confessioni cristiane

1.Maronita

2.Greco-ortodossa

3.Greco-cattolica, melikita

4.Armeno-gregoriana, ortodossa

5.Armeno-cattolica

6.Siriano-ortodossa, giacobita

7.Siriano-cattolica

8.Assiro-caldea, nestoriana

9.Caldea

10.Latina

11.Protestante

12.Copto-ortodossa

 Confessioni musulmane

13.Sunnita

14.Sciita

15.Drusa

16.Alauita

17.Ismaelita 

Confessione Ebraica

Fonte: Lebanese institutions and Arab nationalism, Pierre Rondot, Journal of Contemporary History, Vol. 3, No. 3, The Middle East (Jul., 1968) pp. 37-51

I Maroniti

Il nome “maronita” è fatto risalire al nome del monaco anacoreta Marone, divenuto poi il primo santo della Chiesa Maronita, sulla cui tomba, nei pressi di Apamea (Qal’at al-Mudīq) sorse un monastero. Il luogo divenne ben presto un polo attivo nella vita dei cristiani del Vicino Oriente: durante la conquista araba della regione (636 d.C.) i monasteri maroniti furono un fermo rifugio per tutti i cristiani perseguitati che non riuscivano a raggiungere la cristiana ortodossa Bisanzio. Nel 744 d.C. i monaci e i profughi sopravvissuti ai saccheggi e razzie, si organizzarono costituendo un patriarcato a sé, facendosi riconoscere anche civilmente come comunità cristiana separata dal califfo Murwān II (744-748 d.C.).

Sul finire del sec. IX, a causa di continue persecuzioni da parte dei monofisiti[4] e conseguentemente alla distruzione del monastero a opera dei musulmani, i monaci con le molte famiglie concentratesi presso il monastero, emigrarono nella montagnosa e boschiva regione meridionale del Monte Libano, trovando così un rifugio sicuro.

La struttura sociale maronita in questo periodo era presieduta da un certo numero di muqaddamīn o presidenti, che riconoscevano l’alta direzione del patriarca, la massima autorità religiosa. Il patriarca fu coadiuvato, con l’evolversi ecclesiastico-civile della neonata società, da un certo numero di vescovi, mentre ai “presidenti” successero – dal sec. XVI soprattutto – stabili famiglie di capi, che si trasmisero l’autorità per via ereditaria. Questa organizzazione patriarcale-religiosa rimase sostanzialmente uguale, sia durante il succedersi dei califfati, sia dal 1516 sotto i sultanati ottomani; costoro si limitarono a esercitare una vaga e quasi nominale sovranità de iure sulla comunità del Libano, rispettandone una indipendenza de facto.

Si attesta che i maroniti strinsero ottimi rapporti con i Crociati e a partire dal 1182 d.C. iniziarono a tessere rapporti sempre più stretti con il cristianesimo occidentale romano, tanto da essere considerati il primario centro cattolico d’Oriente.[5]

Il connubio tra comunità maronita e potenze occidentali iniziò a svilupparsi intorno al 1860, periodo nel quale le tensioni con la minoranza drusa crebbero a tal punto da sfociare in violente rappresaglie da parte di questi ultimi. Fu un anno dopo, nel 1861, quando le potenze europee in accordo con la Sublime Porta, crearono un nuovo statuto per il Monte Libano (non erano ivi comprese la Valle della Bekaa, la zona di Beirut e di Wadi el Taim) ribattezzato in “Piccolo Libano”.

La nuova entità rimase stabile fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Lo Statuto diede vita al regime conosciuto col nome di mustasarrifiyya cioè una unità amministrativa governata da un mutasarrif, nominato dal governo ottomano, a sua volta assistito da un’assemblea rappresentante i diversi gruppi proporzionalmente: 3 drusi, 4 maroniti, 2 greco-ortodossi, 1 greco-cattolico, 1 sunnita e 1 sciita (Farah, 1999).

Tramite la legge organica del 1864 a tale struttura amministrativa venne data struttura “costituzionale”: il regolamento organico prevedeva l’abolizione dei privilegi feudali, la perfetta eguaglianza delle popolazioni e una limitata sperimentazione di suddivisione del potere tra le medesime.

Fu qui che la modalità della mutasarrifiyya, divenne prevalente in Libano: tale soluzione accontentava sia l’Impero Ottomano (da sempre convinto nella soluzione della decentralizzazione per le minoranze non musulmane) e le potenze europee, che poterono incrementare così la loro presenza in Libano contribuendo allo sfaldamento della Sublime Porta.

È proprio nell’asse Monte Libano-Beirut, il Piccolo Libano, che si iniziano a manifestare le caratteristiche del futuro Stato Libanese. È in questo florido periodo che molti libanesi, tra i quali molti maroniti, iniziarono a emigrare all’estero formando una sacca di intellettuali i quali influenzeranno in modo determinante la storia successiva del Libano.

A seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, nell’ottobre del 1914, l’Impero Ottomano decise di sospendere il regolamento organico che governava il Piccolo Libano e imporre la legge marziale. Alla sconfitta dell’Impero durante il conflitto mondiale seguì un periodo di forti agitazioni e cattiva gestione amministrativa dei territori delle provincie arabe dell’Impero. In questo periodo, i leader della comunità maronita crearono una massiccia campagna a sostegno della creazione di uno stato indipendente maronita sotto protettorato francese,in quel territorio corrispondente alla passata mutasarrifiyya.

Dal 1920, dopo la disgregazione dell’Impero, il Libano cadde sotto protettorato francese. La disgregazione e le politiche mandatarie accelerarono il processo di “confessionalizzazione” del paese. La “Carta del Mandato” emanata dalla Lega della Nazioni, prevedeva che le potenze mandataria avessero tre anni di tempo per elaborare uno statuto organico per Siria e Libano, con il fine di istituire un sistema giudiziario che assicurasse pari diritti a tutti.

Il Libano venne riorganizzato con la Costituzione del 1926, revisionata nel 1936 tramite decreti dall’Alto commissario per Libano e Siria. In questa fase storica si concretizzò il Grande Libano, ossia un’entità territoriale comprendente il Piccolo Libano e le zone limitrofe (di fatto quelle escluse nella prima “mutasarrifiya”) le quali però ebbero tutt’altro sviluppo economico rispetto al Monte Libano (Valle della Bekaa, Tripoli, e Sud Libano).

Il processo di inclusione delle nuove entità non convinse i più; molti esponenti maroniti, sunniti e gli stessi francesi ebbero perplessità sulla possibilità di includere parti di territorio a predominanza di una o dell’altra comunità alterando così la composizione etnico-geografica della regione. Il nuovo disegno territoriale fu fortemente voluto dal patriarca maronita Howayyek che recandosi alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919, testimoniando come queste nuove frontiere avrebbero le aree del Monte Libano e Beirut di approvvigionamenti agricoli.

La nascita del Grande Libano provocò un ampio cambiamento nelle proporzioni nella proporzionalità demografica libanese. Il censimento del 1932 la percentuale dei cristiani passò dal 79,4% al 50,4%. La massiccia emigrazione e l’arrivo di nuove comunità nella nuova compagine territoriale del Libano, diminuirono sensibilmente l’influenza della comunità maronita, sebbene ancora maggioritaria. Sunniti e sciiti rappresentavano insieme il 42,3%.

La Costituzione del 1926, di stampo liberale, fu fortemente ispirata dall’uomo d’affari maronita Michel Chiha con il contributo del greco-ortodosso Charles Debbas, i quali si ispirarono alle costituzioni francese del 1875 e belga del 1831. Michel Chiha fu un grande contributore della teoria della comunizzazione del paese; la creazione di uno stato forte libanese avrebbe potuto minare alla ricchezza umana e culturale del paese.

Lo stato, per Chiha, doveva porsi come principale obbiettivo, il mantenimento delle diversità culturali (Chiha 1931). La Costituzione all’ art.9, sancì l’uguaglianza civile di tutti i libanesi davanti alla legge. Da questa fase in poi, lo Stato divenne un’entità multi-comunitaria e la Costituzione legittimava un doppio livello di confessionalismo: da un lato quello inerente allo statuto personale, dall’altro quello politico che prevedeva la ripartizione dei vari impieghi amministrativi tra le varie comunità.

Col passare del tempo fu chiaro alla comunità maronita dell’impossibilità della creazione di uno stato libanese a traino cristiano: per la futura indipendenza, una collaborazione tra le varie comunità era necessaria e auspicabile. Si formarono quindi due blocchi all’interno della comunità maronita: il primo, guidato da Emile Eddé, chiamato “National Bloc” si rifaceva all’esperienza del Piccolo Libano, mentre il secondo il “Constitutional Bloc” capeggiato da Bechara al-Khoury, proponeva un Grande Libano governato dalle diverse comunità. Negli anni che seguirono, a causa anche dello scoppio del secondo conflitto mondiale, il paese visse un lungo periodo di stallo politico, economico ed intellettuale.

Gli anni tra il 1941 e il 1943 videro scemare rovinosamente i rapporti tra la Francia e il Libano: con la potenza europea impegnata nel conflitto mondiale, erano rimaste accantonate le richieste di indipendenza siriana e libanese. L’ 8 novembre 1943, la Camera dei deputati libanese decise unilateralmente di emendare la Costituzione, sopprimendo ogni riferimento al mandato francese e facendo dell’arabo la lingua ufficiale. La partita post Indipendenza si giocò sul riuscire a raggiungere una stabilità interna tra le varie comunità: fu così che i deputati del “Constitutional Bloc” e i notabili sunniti guidati da Solh, stipularono un accordo non scritto, passato alla storia con il nome di “Patto Nazionale”, dando vita alla prima repubblica libanese.

Il risultato della contrattazione vide la comunità maronita abbandonare l’idea di vedere una influenza occidentale in Libano, e i sunniti abbandonare l’idea di una unione con la Siria o altro Stato Arabo (Rondot, 1989). Il Patto Nazionale dava piena attuazione all’articolo 95 della Costituzione del 1926, attuando di fatto un sistema statuale-amministrativo basato sulla ripartizione delle competenze tra le varie comunità: ai maroniti (la comunità più numerosa dell’epoca) spettò la presidenza, ai sunniti la presidenza del Consiglio. Solo nel 1947 entrò in vigore la regola che prevedeva l’elezione di uno sciita come speaker del Parlamento.

Il Patto Nazionale e il delicato equilibrio tra cristiani e musulmani si sgretolò intorno agli anni 60. La politicizzazione del confessionalismo si dimostrò un elemento disgregante molto efficace: le esplicite condanne al sistema provennero da tutte le forze sociali, ma paradossalmente ciò che si ottenne fu un accentuarsi dei cleavages comunitari, dando così vita al “Sistema Libano”.

La politicizzazione delle fratture, ancora fortemente presente oggi, portò a una istituzionalizzazione della corruzione e un di un sistema fortemente clientelare; neanche le riforme riconciliatorie di Fouhad Chehab, successore alla presidenza di Chamoun, attraverso la costituzione di un governo di unità nazionale, poté eradicare il sistema confessionale. Va notato come sotto la sua presidenza l’esercito, a forte conduzione maronita, finì per ingerire sempre di più nella vita politica del delicato stato libanese.

Il tramonto del chahabismo portò all’elezione come presidente di Suleyman Frangié, il quale fu l’incarnazione della vittoria dello Hilf, una coalizione raggruppante le forze di Kataeb, il Blocco nazionale e il Partito nazionale liberale. Le parole d’ordine della presidenza Frangié furono rivoluzione top downe “un solo Libano non due” (Kassir 1994). L’esperienza presidenziale Frangié non fu molto felice; una prima compagine governativa troppo giovane e inesperta fu sostituita dopo neanche 18 mesi dalle vecchie élite notabili dei precedenti governi.

Il deperimento del contesto economico, il crescere delle tensioni sociali, la nascita delle milizie comunitarie e la presenza palestinese furono forze dirompenti che portarono a un acuirsi delle rivendicazioni comunitarie portano in superficie le falle del sistema libanese.

Gli anni che precedettero la guerra civile videro sempre più attori innestarsi nella vita politica libanese: le milizie interne contribuirono a deteriorare le basi del Patto Nazionale, e le mire strategiche siriane e israeliane proiettarono il sistema libanese all’interno delle logiche di equilibrio regionali.

I primi colpi di armi da fuoco tra le milizie comunitarie che portarono allo scoppio della guerra civile, ebbero inizio dopo l’incidente ad Ain Rummaneh (13 aprile 1975), un quartiere cristiano di Beirut nel quale, durante una funzione religiosa alla quale assisteva il leader di Kataeb Gemayel padre, degli sconosciuti aprirono il fuoco uccidendo la sua guardia del corpo e altri due uomini. In segno di rappresaglia, i miliziani maroniti attaccarono un autobus palestinese uccidendo 28 passeggeri, rivelatisi fedayin palestinesi di ritorno da una parata militare.

I combattimenti dell’estate del ’75 tra i falangisti e il Movimento Nazionale, furono piuttosto violenti, mostrando una società sempre più divisa e armata, tanto da portare i leader maronitia dichiarare di voler creare un “secondo stato di Israele cristiano” e una “Sion Maronita” (Odeh, 1985, p.142).

Nel marzo 1978 Israele condusse l’operazione Litani, ufficialmente come reazione a un attentato palestinese nei pressi di Tel Aviv, benché le ragioni strategiche si presentarono chiare: era necessario poter creare un cordone sanitario con la frontiera libanese in modo di evitare l’ingresso o il passaggio delle milizie palestinesi. Il paese, ormai sprofondano nel caos più totale, arrivò a un punto di non ritorno con le abortite elezioni del 1988.

La presenza di attori esterni al conflitto iniziò a farsi sentire sempre di più e l’alto tasso di emigrazione derivante dal completo depauperamento economico, convinsero 62 membri del Parlamento a incontrarsi il 30 ottobre 1989 a Ta’if in Arabia Saudita, sotto gli auspici della Lega Araba.

L’obbiettivo del documento di intesa nazionale fu piuttosto ambizioso, tanto da prevedere l’abolizione del confessionalismo, l’imposizione di forti riforme economiche, la liberazione del territorio nazionale degli eserciti stranieri e la ferma regolamentazione degli accordi con la Siria. Il passaggio dallo stato di guerra alla pace post Ta’if, non permise una lenta transizione e assestamento necessari alla nuova leadership.

Il tangibile disagio era incarnato dalla presenza numerose truppe straniere, 30.000 soldati siriani e una massiccia presenza palestinese che caratterizzò oltre il periodo della guerra civile (data la presenza dell’OLP) anche gli anni successivi. Negli accordi infatti, veniva sottolineata la ferma volontà dello stato libanese a riprendere possesso del proprio territorio, rifiutando la presenza dei campi profughi e di conseguenza, dei profughi stessi.

Gli accordi di Ta’ifnon furono rifiutati solo dal generale Aoun, ma anche dai leader delle tre principali milizie libanesi e dal movimento di Hezbollah. Durante la guerra civile, le milizie beneficiarono economicamente e politicamente, e con gli accordi in atto, videro venir meno la stessa legittimità di esistere: gli accordi prevedevano di fatto il disarmo e scioglimento.

Le prime elezioni parlamentari si svolsero dopo ben venti anni (Il Parlamento legiferante fino ad all’ora era quello eletto nel 1972) con una nuova legge elettorale. Secondo l’art.1 in combinato disposto con le direttive di Ta’if, il parlamento passò da 108 a 128 deputati, la circoscrizione elettorale era baata sul governatorato, il muhafaza, e alcune circoscrizioni elettorali per il distretto del Monte Libano, Nabatiyyeh e sud del Libano e Valle della Bekaa.

Il sistema elettorale concepito permetteva a ogni deputato di rappresentare contemporaneamente la propria circoscrizione e la propria comunità confessionale. In questo modo, l’obbiettivo era quello di portare alla creazione di dinamiche di integrazione nazionale, sia a livello di base sia di élite.

I cristiani maroniti si opposero alle elezioni poiché allarmati per il mutamento per il mutamento confessionale seguito a Ta’if: le proiezioni vedevano la creazione di un parlamento pro-siriano. Benché l’ultimo censimento valido fosse quello del 1932, durante la guerra civile avvenne il soprasso in numero delle comunità musulmane su quelle cristiane. Per tali ragioni, i cristiani boicottarono le elezioni del 1992 e 1996, contribuendo in tal modo alla loro marginalizzazione. Le ultime elezioni furono accettate nonostante l’alto astensionismo e portarono all’elezione di Rafiq Hariri come primo ministro.

Le forze maronite uscirono fortemente indebolite dalla guerra civile e fortemente ridimensionate nella loro influenza dagli accordi di Ta’if. Fu infatti difficile riorganizzarsi politicamente: la comunità non riuscì a comprendere fin in fondo le dinamiche interne che portarono alla propria marginalizzazione, non fu in grado di costruire un palco politico trasversale e di massa, e non riuscì a gestire la presenza israeliana nel sud del paese, lasciando libera azione a Hezbollah. Le politiche di Hariri furono viste da molti libanesi come l’unica speranza per la ripresa del paese, tanto da riportare a una sua elezione nel 2000.

In questi anni, i maroniti si trovarono molto attivi nella coalizione anti-siriana insieme a i drusi di W. Jumblatt, le Forze libanesi di A. Geagea, alcuni membri di Kataeb attorno a Amine Gemayel e alcuni uomini dell’esiliato movimento del generale Aoun. Gli anni che seguirono non videro ancora realizzarsi il sogno di un grande Libano unito; fu piuttosto una nuova stagione di omicidi mirati, di grande impatto quello del 2005 contro Hariri, che sfociarono nella cosiddetta “Rivoluzione dei cedri”.

La strada per un Libano unito e aconfessionale è ancora lontana e impervia. Benché gli accordi di Ta’if abbiano quasi forzato i partiti politici a dovere correre trasversalmente per ottenere seggi in Parlamento, ciò non ha portato alle fine di sistemi clientelari e vasta corruzione. Le alleanze politiche sono cambiate, alcune suonano quasi stridenti, come ad esempio il sostegno di alcuni cristiani alle forze di Hezbollah.

Il Libano, negli ultimi anni, si trova sempre più inglobato in quel buco nero che sembra la crisi siriana; un vicino così ingombrante per anni, caduto e sgretolato, sembra proiettare i propri spettri, portando con sé nuovi dubbi e nuovi dilemmi. Cosa aspettarsi nel prossimo futuro per il delicato equilibrio libanese? Come approcciarsi ai profughi siriani che hanno riportato un nuovo sconvolgimento nella già delicatissima demografia libanese? Come gestire le milizie sciite nel sud del paese, apertamente schierate con il governo di Bashar al-Assad?

È dai giovani ancora, che forse proviene una timida speranza, come quella che li vide protagonisti nella giornata del 29 agosto 2015, in una manifestazione interconfessionale per le strade di Beirut reclamando la fine del sistema dei rifiuti, che ancora una volta, aveva rivelato i veri giochi di potere e interesse della politica stagnante.


Note

[1] Il Mashrek è l’insieme dei paesi arabi che si trovano a est rispetto al Cairo e a nord rispetto alla penisola arabica.

[2] La conferenza di pace di Parigi del 1919 fu una conferenza di pace organizzata dai paesi usciti vincitori dalla prima guerra mondiale, impegnati a delineare una nuova situazione geopolitica in Europa e a stilare i trattati di pace con le Potenze Centrali uscite sconfitte dalla guerra. La conferenza si aprì il 18 gennaio 1919 e durò fino al 21 gennaio 1920, con alcuni intervalli.

[3]Il Trattato di Versailles stabiliva che i territori dell’ormai dissolto Impero Ottomano venissero provvisoriamente riconosciuti come indipendenti salvo la tutela e assistenza da parte di uno stato incaricato di un “mandato” nei loro confronti. Ai sensi dei mandati, garantiti e accordati dalla Società delle Nazioni, La Gran Bretagna si sarebbe stata responsabile dei territori dell’Iraq, Palestina e Transgiordania, La Francia invece si sarebbe occupata dei territori libanese e siriano. (Hourani, 1992, p.318)

[4]È il termine usato nella teologia cattolica e nella storiografia occidentale per indicare la forma di cristologia, elaborata nel V secolo dall’archimandrita greco Eutiche, secondo la quale la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina e dunque in lui era presente solo la natura divina.

[5] Il culmine dell’asse romano-maronita si ebbe con la costruzione da parte di Papa Gregorio XII del collegio per Maroniti nel 1584, polo fondamentale per lo studio del cristianesimo orientale.

Bibliografia

Il Libano Contemporaneo, storia, politica e società, Rosita di Peri, 2009, Carocci editore

Les partis politiques au Liban, J. Aboujaoude, 1985, Bibliotheque de l’univerité Saint-Esprit, Kaslik

Political society in Lebanon, 1985, A. Hourani, Centre for Lebanese Studies, Oxford


Copertina : Mosaico raffigurante Charbel Makhluf (o Sciarbel Makhlouf), monaco cristiano e presbitero libanese, proclamato santo da Paolo VI nel 1977.