Refugees wait to cross the Macedonian-Greek border

In uno studio del 2011, realizzato per il Parlamento Europeo si legge che il cambiamento climatico influirà negativamente sulla pressione migratoria, sotto forma sia di eventi improvvisi sia di quelli a insorgenza lenta, nonostante i legami siano empiricamente difficili da rintracciare1.


 

Partendo da questa premessa, viene riconosciuta l’assenza di meccanismi di protezione specifici per i migranti ambientali, ma allo stesso tempo si sottolinea che tanto l’estensione degli scopi della Convenzione di Ginevra del 1951, quanto l’allargamento dei Guiding Principles per gli IDP del 1998 non rappresentano scenari realisticamente percorribili. Nel documento vengono analizzati tre modi per alternativi per rispondere alla sfida2:

  • la creazione di un framework normativo specifico per la migrazione ambientale o climatica. Il progetto più onnicomprensivo è quello di una convenzione internazionale sullo sfollamento ambientale, abbozzata dall’Università di Limoges e giunta ormai ad una terza versione nel 20133. La bozza fornisce definizioni accurate di “gradual” e “sudden disaster”; include i migranti trans-frontalieri e stabilisce il principio di non-refoulement (art.8)4; si attiene ai principi di solidarietà, responsabilità comuni ma differenziate, di protezione effettiva e del consenso necessario del migrante per effettuare lo sfollamento. La Convenzione garantirebbe una serie molto ampia di diritti ai migranti, tra cui: assistenza, viveri, cure mediche, personalità giuridica, diritti civili e politici, alloggio, lavoro, cura e trasporto degli animali domestici e infine il diritto a ritornare in patria o a rifiutare il ritorno. Si tratta quindi di un programma fin troppo ambizioso per questo momento storico e politico.

  • L’aggiunta di un Protocollo sulle migrazioni climatiche alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC). Si tratterebbe di un regime di protezione sui generis basato su5: ricollocamento pianificato in via preventiva; riconoscimento internazionale di diritti collettivi (e non individuali, come per i rifugiati) per le popolazioni locali più colpite dai disastri; responsabilità comuni ma differenziate.

Anche in questo caso le misure suggerite sono poco realistiche al giorno d’oggi, così come pare altrettanto velleitario ipotizzare la creazione di un’apposita agenzia che si occupi in modo specifico di migrazioni ambientali6. A livello internazionale, sarebbe forse più percorribile proporre meccanismi di soft law modellati sull’esempio dei Guiding Principles per gli IDP, cercando di calibrare la risposta in base alle esigenze specifiche del disastro e prendendo esempio dai provvedimenti più progressisti di alcuni Stati7.

  • La terza opzione, più plausibile, propone l’utilizzo di varie forme di strumenti di protezione temporanea, a cui ricorrere con la finalità di dare rifugio agli sfollati ambientali. In questa ipotesi rientrano le soluzioni elaborate dalle istituzioni comunitarie e dagli Stati Uniti, in cui lo United States Immigration Act del 1990 prevede lo status di protezione temporanea in circostanze come siccità, inondazioni, epidemie o terremoti, se lo Stato d’origine non può assicurare il ritorno a condizioni di vita sicure per i cittadini8.

Stante la quasi impossibilità di applicare le disposizioni di Ginevra alla fattispecie di migrante ambientale, le forme di protezione sussidiaria menzionate fin qui vengono reputate da alcuni esperti come le più adeguate a colmare il gap in materia. Di fatto, essa potrebbe essere garantita sulla scorta del diritto internazionale dei diritti umani: esso prevede la concessione di protezione temporanea, unita a standard minimi di trattamento, in caso di violazione grave dei diritti umani, che avverrebbe anche in seguito alle conseguenze più acute del cambiamento ambientale e climatico9.

A livello europeo si è molto discusso nel corso degli ultimi dieci anni sulla questione, esprimendo timore per i possibili arrivi di cospicui flussi migratori. La prospettiva securitaria ha evidenziato il nesso tra migrazione, sicurezza e sviluppo, incentivando gli aiuti economici in loco e preferendo agire al di fuori dei confini del continente10. In termini giuridici, il diritto comunitario presenta una cornice giudicata ancora lacunosa riguardo alle migrazioni ambientali, sebbene l’UE detenga una leadership indiscutibile nella lotta al cambiamento climatico11.

Le politiche migratorie restano competenza degli Stati sovrani, mai come ora così restii ad accogliere stranieri. Esistono, comunque, due strumenti principali che potrebbero fornire una cornice per le migrazioni ambientali e climatiche: la Temporary Protection Directive (TPS) e la Qualification Directive, che concede l’asilo in base a determinate condizioni.

La TPS12 fu designata come un meccanismo da innescare solo negli stati d’eccezione, come flussi ingenti di migranti che fuggono da conflitti armati, violenza endemica o violazioni generalizzate dei diritti umani. La redistribuzione dei migranti sarebbe dovuta avvenire promuovendo sforzi equilibrati tra gli Stati membri. Peraltro, l’art.2(C) contiene una lista non esaustiva, per la quale coloro che richiedono la protezione non devono necessariamente rientrare tra gli scopi previsti dalla normativa sui rifugiati, ma da altri strumenti di protezione nazionali o internazionali. Esiste dunque la possibilità che queste disposizioni vengano interpretate in modo non restrittivo, includendo eventualmente anche i profili di chi è stato indotto a emigrare per via dei disastri ambientali o climatici13. Tuttavia, l’evidente assenza della volontà politica di implementare la direttiva rende velleitario pensare ad un aggiustamento in corso. Di fatto, essa non è stata mai applicata neppure per i profili individuati nell’art.2(C), essendo un provvedimento da applicare in via emergenziale. Tale natura eccezionale non è stata neppure riconosciuta dopo le Primavere arabe del 2011 per i flussi provenienti dalla sponda meridionale del Mediterraneo.

L’UE dispone poi anche di un meccanismo d’asilo che potrebbe essere adattato alle esigenze specifiche dei migranti ambientali, cioè la Qualification Directive del 2004, modificata nel 2011. Essa ha lo scopo di fornire standard minimi di protezione a cittadini di stati terzi (Third Country Nationals), ad apolidi, a rifugiati o ad altri individui richiedenti protezione internazionale14. La finalità iniziale risiedeva nell’armonizzazione dei differenti parametri legislativi degli Stati membri in materia di diritto d’asilo. Analizzandone l’eventuale applicazione per le migrazioni trans-frontaliere, l’art.8 prevede che la protezione sussidiaria possa essere garantita soltanto se nel paese d’origine non esiste alcuna internal flight alternative, cioè una zona in cui possa trovare un rifugio sicuro, al riparo «dal timore di essere perseguitato, da rischi reali e da gravi danni»15. Nella circostanza in cui l’intero paese non rappresentasse un luogo sicuro, la QD potrebbe allora essere applicata. Ci si domanda, quindi, se la regola possa valere anche nel caso di migrazioni indotte da disastri naturali. Il nodo gordiano va ricercato nell’art.15 e nella definizione di «danno grave» (serious harm), che comprende: a) pena di morte o esecuzione; b) tortura, trattamento disumano o degradante, punizione; c) minaccia grave individuale alla vita civile della persona a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno. Apparentemente, sembra palese che nessuna delle fattispecie possa comprendere l’oggetto del nostro dibattito. L’assenza di riferimenti non esclude, comunque, che a livello potenziale qualsiasi altra violazione dei diritti umani possa essere compresa nell’art.15(b) e considerata alla stregua di «trattamento disumano o degradante». Il dibattito non è stato preso seriamente in considerazione, per via dei risvolti politici e sociali che un’interpretazione del genere avrebbe. Di fatto, l’allargamento di significato degli aggettivi «disumano e degradante» avrebbe l’effetto, giudicato controproducente, di includere la povertà e l’indigenza economica tra gli aspetti per cui un migrante potrebbe chiedere tali forme di protezione. Se è vero che ci sono state alcune sentenze più orientate verso tale direzione16, la giurisprudenza europea è tuttavia ancora tiepida nell’esprimersi positivamente a favore dell’equiparazione tra la fattispecie dell’art.15(b) e le privazioni dovute alle migrazioni ambientali. L’impianto giuridico dell’UE e la posizione della Commissione del 2013 sono stati criticati da chi sottolinea che la minaccia di «trattamento disumano o degradante» è insita nel ritorno forzato del migrante nel suo paese d’origine, nel caso in cui questo fosse invivibile per motivazioni legate all’ambiente17.

Per quanto riguarda gli Stati membri, esistono degli esempi virtuosi come la Svezia e la Finlandia18, che hanno previsto meccanismi di protezione più avanzati, almeno fino al recente passato. Il diritto d’asilo svedese (Swedish Aliens Act 2005/716) contiene una norma che offre una «protezione alternativa» alle persone che sono impossibilitate a far ritorno in patria a causa di un «disastro ambientale». Gli individui e le loro famiglie potevano fare richiesta per un permesso di soggiorno, ma soltanto in situazioni catastrofiche alla Chernobyl: gli effetti dei cambiamenti climatici a insorgenza lenta non sono menzionati.

Analogamente, il diritto d’asilo finlandese (Finnish Aliens Act 2004/301) concede la protezione sussidiaria a chiunque rischi, in caso di ritorno nel paese di provenienza, di essere sottoposto ad un «danno grave», di cui i disastri ambientali però non fanno parte. Un permesso di soggiorno «umanitario» può essere comunque garantito a chi non potrebbe ritornare per via di «catastrofi naturali o situazioni di sicurezza insufficiente dovute a conflitti armati interni o internazionali o a mancanza di diritti umani, come ribadito dalla sezione 109 dell’Atto, che prevede specificamente la protezione almeno temporanea per gli environmentally displaced persons e per chi non può rimpatriare per via di un conflitto. Entrambe le normative non sono ancora state sperimentate per una situazione di migrazione ambientale.

L’emergenza migratoria del 2015 inoltre ha spinto la Finlandia a mantenere in vita solo la sez. 109 dell’Atto (la possibilità di ottenere la protezione temporanea) e la Svezia a revocare per tre anni (2016-2019) la “protezione alternativa”. In Italia, si sta cominciando a discutere di migrazioni ambientali e climatiche, non solo a livello mediatico ma anche in sede giurisprudenziale. Una coraggiosa sentenza del Tribunale di L’Aquila19 del 18 febbraio 2018 riconosce il diritto di un cittadino del Bangladesh alla protezione umanitaria in quanto vittima di disastro ambientale che gli avrebbero fatto perdere il terreno agricolo, ossia le alluvioni, un evento catastrofico improvviso che rappresenta nel contempo anche un effetto graduale del cambiamento climatico20. Il giudice ha sottolineato che i danni sono stati acuiti sia da tali cambiamenti sia dalla deforestazione forzata degli ultimi 40 anni e dalle pratiche di land grabbing, attribuendo quindi la fattispecie a chiare cause antropogeniche21. La sentenza ha segnato un passo in avanti storico nel contesto italiano, evocando per la prima volta un caso di migrazione ambientale. Ciononostante, se n’è parlato solo tra gli esperti in materia e in pochi giornali che hanno interpretato l’episodio usando una retorica securitaria.

Questo è dunque il quadro europeo, caratterizzato da falle che potrebbero essere colmate solo in presenza di una forte e comune volontà politica di riforma degli strumenti giuridici adeguati. L’art.78 del TFEU, del resto, fornisce all’UE un mandato abbastanza ampio per emendarli e per sviluppare un sistema comune di asilo, di protezione sussidiaria e temporanea. Al momento i propositi di riforma in tal senso si sono arenati, a causa dell’ondata populista che ha affossato la modifica del regolamento di Dublino22.

La quale, a sua volta, non ha mai citato la parola “clima”, accostata ancora faticosamente alla questione migratoria. Più che concentrarsi sui rimedi per affrontare le migrazioni dirette verso l’Europa, l’approccio dominante continua ad essere incentrato sull’esternalizzazione dei controlli di sicurezza e delle politiche di cooperazione allo sviluppo, concepite per risolvere alla radice le criticità che spingono all’emigrazione extra-continentale. Ciò vale sia per le migrazioni economiche, sia per quelle indotte da disastri e cambiamenti ambientali. Oltre alle forme di protezione giuridica, lo studio realizzato per il Parlamento Europeo nel 2011 si sofferma sulla necessità di affrontare la questione in via preventiva, dal punto di vista economico, sociale e logistico. Da cui, la centralità della cooperazione internazionale e degli aiuti allo sviluppo per aumentare la resilienza delle zone più vulnerabili23.


Note

1{European Parliament,‘Climate Refugees’: legal and policy responses to environmentally induced migration, Study requested by the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs, Brussels, pp. 10-11}.

2{Ivi, pp. 43-47}.

3{CRIDEAU, CRDP, Draft Convention on the International Status of Environmentally-Displaced Persons, Faculty of Law and Economic Science, University of Limoges, 2013

4 {Simonelli A., Governing Climate Induced Migration and Displacement, Palgrave MacMillan, New York, p. 133}.

5 {Biermann, F., Boas I., Preparing for a warmer world. Towards a global governance system to protect climate refugees, Global Environmental Politics, Vol. 10, pp. 60-88}.

6 {Simonelli A., Governing Climate Induced Migration and Displacement, op.cit., p. 113}.

7 {IOM, IOM Outlook on Migration, Environment and Climate Change, 2014, pp. 31-33}.

8 {McAdam J., Climate Change, Forced Migration and International Law, Oxford University Press, Oxford, 2012, p. 100}.

9 {Kolmannskog V., Trebbi L., Climate change, natural disasters and displacement: a multi-track approach to filling the protection gaps, International Review of the Red Cross (IRRC), Vol. 92. N.879, September, p. 52; Humphreys S. (eds.), Human Rights and Climate Change, Cambridge University Press, Cambridge, 2010}.

10{Ammer M. et al., Time to Act. How the EU can lead on climate change and migration, Heinrich Böll Stiftung – European Union, Brussels, June 2014, p. 20 e 27; Petrillo E., Environmental Migrations from Conflict-Affected Countries: Focus on EU policy response, The Hague Institute for Global Justice, Working Paper 6. March 2015, p. 9}.

11 {Wurzel R., Connelly J., The European Union as a Leader in International Climate Change Politics, Routledge, New York}.

12 {Council of the European Union, Directive 2001/55/EC of 20 July 2001 on minimum standards for living temporary protection in the event of a mass influx of displaced persons and on measures promoting a balance of efforts between Member States in receiving such persons and bearing the consequences thereof, OJ L 212, Brussels, 2001}.

13{European Parliament, ‘Climate Refugees’: legal and policy responses to environmentally induced migration, Study requested by the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs, Brussels, p. 54}.

14{Council of the European Union, European Parliament (2011). Directive 2011/95/EU of the European Parliament and of the Council of 13 December 2011 on standards for the qualification of third-country nationals or stateless persons as beneficiaries of international protection, for a uniform status for refugees or for persons eligible for subsidiary protection, and for the content of the protection granted (recast), OJ L 337/9, Brussels}.

15{European Parliament, ‘Climate Refugees’: legal and policy responses to environmentally induced migration, op.cit., p 51}.

16{Una sentenza interpretata come possibile dimostrazione di come la protezione sussidiaria possa essere garantita su basi umanitarie è Budayeva v Russia del 2009. Rifacendosi all’art.2 della ECHR sul «diritto alla vita», la CEDU ha stabilito che il dovere dello Stato di proteggere la vita dei cittadini comprende pure la protezione dai disastri ambientali provocati dall’uomo, quando il rischio è conosciuto in precedenza. Viene lasciata molta discrezione allo Stato riguardo ai disastri attribuibili al cambiamento climatico. In McAdam J., Climate Change, Forced Migration and International Law, op.cit., pp. 58-60}.

17{European Commission, Commission Staff Working Document (CSWD): Climate change, environmental degradation, and migration, accompanying the document ‘Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions’, SWD (2013) 138 final, Brussels, 2013, criticato in Ammer M. et al., Time to Act, op.cit., p. 30}.

18{Hush E., Developing a European Model of International Protection for Environmentally-Displaced Persons: Lessons from Finland and Sweden, Columbia Law School, September 2017}.

19{Tribunale di L’Aquila (2018). Ordinanza RG 1522/17, 18 febbraio 2018}.

20 {Diversi studi hanno riscontato delle evidenze empiriche sull’innalzamento del livello del mare e sul pericolo crescente di inondazioni. Cfr. McAdam J., Climate Change, Forced Migration and International Law, op.cit., pp. 161-185; Uddin T. A., Which Household Characteristics Help Mitigate the Effects of Extreme Weather Events? Evidence from the 1998 Floods in Bangladesh. In: Faist, T., Schade, J. (eds), Disentangling Migration and Climate Change. Methodologies, Political Discourses and Human Rights, Springer Publishing, Dordrecht, 2013, pp. 101-141}.

21{Peraltro, ella si è ispirata alla circolare del 30 luglio 2015 adottata dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo del ministero dell’Interno, che menziona le “gravi calamità naturali o altri gravi fattori locali ostativi a un rimpatrio in dignità e sicurezza” tra le ragioni di concessione della protezione umanitaria. Ministero dell’Interno – Commissione Nazionale per il diritto dell’asilo (2015). Ottimizzazione delle procedure relative all’esame delle domande di protezione internazionale. Ipotesi in cui ricorrono i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Circ. Prot. 00003716 del 30 luglio 2015}.

22{European Parliament, The Reform of the Dublin III Regulation, Study requested by the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs, Brussels, 2016}.

23{European Parliament, ‘Climate Refugees’: legal and policy responses to environmentally induced migration, op.cit., pp. 47-49}.


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Copertina: Refugees wait to cross the Macedonian-Greek border. (Freedom House/Flickr)