Focus sulla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 21 luglio 2016


A cura di Arnaldo Bernini

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 649 cod. proc. pen. «per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile ed il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale»12.

La logica della decisione del Giudice delle leggi deve cogliersi su due diversi piani. Da un lato, la definizione della medesimezza del fatto, o idem factum, e l’individuazione della sua concordanza, o meno, con l’idem legem. Dall’altro, la possibile ricorrenza della violazione del ne bis in idem nel caso in cui sussista un concorso formale di reati fra il reato oggetto del primo giudizio passato in giudicato, quale res iudicata, ed il reato oggetto di un nuovo giudizio, quale res iudicanda.

In ordine all’idem factum ed al suo rapporto con l’idem legem, nella pronuncia in commento si legge che «non vi è […] alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente»3.

L’elemento oggettivo del principio del ne bis in idem implica dunque, secondo i Giudici di Palazzo della Consulta, la piena coincidenza di tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato, da identificarsi in condotta, nesso di causalità ed evento4. Elementi, questi, che devono essere valutati nella loro dimensione storico-naturalistica e non giuridica: l’idem legem, costituito da tutti quei profili concernenti la qualificazione giuridica del fatto, quali ad esempio titolo, grado e circostanza del fatto, non sarebbe infatti costituzionalmente legittimo se applicato al ne bis in idem, poiché violerebbe gli artt. 24, 111 e 117, primo comma, della Carta costituzionale.

Svincolato, in tal modo, l’idem factum dal solo riferimento alla condotta, e chiarito che l’idem legem applicato all’art. 649 cod. proc. pen. sarebbe costituzionalmente illegittimo, la Corte ha affermato che il contrasto tra medesimo fatto giuridico e medesimo fatto storico, sebbene sia in astratto possibile, in concreto non sussiste perché sia la CEDU che il codice di procedura penale fanno entrambi riferimento all’idem factum. 

Quanto, invece, alla violazione del ne bis in idem nel caso in cui sussista un concorso formale di reati fra la res iudicata e la res iudicanda, la Corte ha osservato che non potendo esistere un’analisi sul concorso formale di reati scevra dall’impatto dell’idem legem, ed essendo quest’ultimo – come detto poc’anzi – costituzionalmente illegittimo, «sussiste il contrasto denunciato […] tra l’art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui esclude la medesimezza del fatto per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, e l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo»5.

In altri termini, la decisione del Giudice delle leggi si fonda sulla circostanza che l’interprete, nell’accertare la ricorrenza, o meno, di un concorso formale di reati, avesse considerato come rilevante, oltre che il medesimo fatto storico, anche, l’idem legem. Un’operazione ermeneutica che è preclusa dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, secondo il quale deve essere proprio il solo fattore dell’idem factum a determinare l’applicabilità o meno il divieto di bis in idem.

La rilevanza della sentenza n. 200 del 2016 non deve solo cogliersi nella ricaduta che essa avrà nel processo nel corso del quale il Giudice costituzionale è stato chiamato ad esprimersi6. Essa, oltreché espressione del principio secondo cui la materia del concorso formale di reati non deve aver alcun ruolo nell’operazione di ricognizione delle ipotesi di bis in idem ed, in secondo luogo, soprattutto, è la conferma dell’ormai inscindibile rapporto che lega l’ordinamento dell’Unione europea, la CEDU e l’ordinamento interno e, soprattutto, del dialogo avanzato instauratosi tra le relative Corti.

Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale sul principio del ne bis in idem, oltre a confermarne il valore di principio fondamentale di garanzia, legalità e libertà, rivela una volta di più, ed ove mai ce ne fosse ancora bisogno, quanto la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione7 e della Corte europea dei diritti dell’uomo8 incidano su quella interna, anche costituzionale9.


Immagine in copertina: Giorgio de Chirico, L’archeologo, 1926 – Fonte: Arte.it

  1. cfr. il dispositivo della sentenza oggetto delle presenti riflessioni
  2. Il quadro normativo di riferimento completo, attenzionato dalla Corte, è formato dagli artt. 83 TFUE, 6 e 7 CEDU, dal’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU stessa, e dagli artt. 10, 11, 24, 111 e 117 della Cost., oltreché dall’art. 649 cod. proc. pen.
  3. cfr. la pronuncia in commento, al punto 4.
  4. Nel ragionamento della Corte è chiaro ed evidente ‘eco del’autorevole e risalente dottrina secondo cui «il divieto di ne bis in idem è configurabile quando tra fatto giudicato e fatto giudicabile vi è completa identità di tutti gli elementi: condotta, evento e nesso causale […] Ai fini del’operatività del divieto di un secondo giudizio, la valutazione su’identità del fatto è circoscritta al’elemento materiale del reato, nelle sue componenti essenziali. Il concorso di ulteriori eventuali circostanze aggravanti non può determinare la diversità del fatto». Così Giarda A. e Spangher G., Codice di procedura penale commentato, IV Edizione, IPSOA Gruppo Walters Kluwer 2010, pag. 7668.
  5. cfr. la sentenza in esame al punto 11.
  6. Difatti, in questo, il Tribunale di Torino, che con ordinanza del 24 luglio 2015 aveva sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., dovrà solo valutare se i fatti storici, intesi come idem factum (nella prospettata triade di condotta, evento e nesso causale) del primo processo siano o meno i medesimi del secondo. Se nella prima ipotesi dovrà dichiarare bis in idem e pronunciare una sentenza di non luogo a procedere, nella seconda ipotesi invece, il processo potrà proseguire.
  7. cfr., in tema di ne bis in idem, la sentenza 26 febbraio 2013, Aklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, causa C-617/10
  8. cfr. la sentenza del 10 febbraio 2009, Zolotukhin c. Russia., nonché la sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia ricorso n. 18640/10.
  9. cfr., ad esempio, Corte costituzionale, sentenze nn. 348 e 349 del 2007.