A cura di Domenico Nocerino e Valentina Chabert
In concomitanza con una sessione parlamentare in Armenia, lo scorso 29 ottobre oltre 60.000 persone sono scese in piazza a Stepanakert, capitale dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh, al fine di rivendicare il proprio diritto di autodeterminazione ed esprimere il timore che su pressione straniera Yerevan possa cedere l’Artsakh all’Azerbaijan. Abbiamo incontrato il Rappresentante Permanente della Repubblica del Nagorno-Karabakh in Armenia per discutere delle attuali sfide e criticità della regione.
Il 2 settembre 1991, il soviet dell’Oblast autonoma del Nagorno-Karabakh votò una risoluzione con la quale proclamò ufficialmente la nascita della Repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh. Una Repubblica “fantasma” non riconosciuta da nessun Paese membro dell’ONU nata su una regione rivendicata dall’Azerbaigian. Qui, a partire dal 1992, la guerra non si è mai completamente fermata. Una delle tante guerre congelate che la dissoluzione dell’URSS ha lasciato in eredità. Per comprendere le criticità, le sfide e le speranze del popolo del Karabakh, abbiamo incontrato Sergey Ghazaryan Rappresentante Permanente della Repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh in Armenia.
Qual è la situazione in Nagorno-Karabakh dopo il conflitto del 2020?
“La situazione è particolarmente critica. Dopo la guerra del 2020 e l’alleanza tra Turchia e Azerbaijan, l’Artsakh ha subito molte perdite: vite umane, territoriali, culturali, economiche. Più del 70% del territorio dell’Artsakh è occupato, il patrimonio storico-culturale che è stato conservato per secoli è andato distrutto proprio ora, nel 21° secolo. L’Azerbaijan continua a perseguire la strategia del sabotaggio per costringere le persone a lasciare le proprie case: l’altr’anno, ad esempio, durante il duro inverno caucasico ha chiuso le forniture di gas. Numerose scuole ed ospedali non sono operativi, e sfortunatamente la comunità internazionale ne è a conoscenza, ma è rimasta in silenzio. Inoltre, le istituzioni europee stanno glorificando il presidente azero Aliyev, soprattutto comprando il gas nonostante i diritti dell’Artsakh e dell’Armenia siano costantemente violati. La Repubblica del Nagorno-Karabakh ha sempre dovuto lottare per la sua esistenza: dopo la prima guerra, la popolazione dell’Artsakh ha desiderato la pace e la normalizzazione delle relazioni con il vicino. Tuttavia, l’Azerbaijan ha rifiutato la pace e si è preparato per la guerra che è scoppiata nel 2020, nascondendosi dietro alla scusa del processo negoziale.
L’Armenia, allo stato attuale, è delusa dalla comunità internazionale in generale e dalle organizzazioni internazionali. A lungo, il Gruppo di Minsk rappresentato in particolare dalla Russia, dagli Stati Uniti e dalla Francia – che sono tra l’altro membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – ha dichiarato che non c’è modo di risolvere questo conflitto impiegando la forza, ma Baku ha perseguito lo stesso questa via. Ha invitato questi rappresentanti e ha scelto la via militare nonostante le dichiarazioni dell’impossibilità di dare una soluzione al conflitto impugnando le armi.
Nuovamente, l’Azerbaijan ha mostrato un comportamento irrispettoso nei confronti della comunità internazionale e delle sue organizzazioni. È poi importante sottolineare che anche la Turchia è parte di questa guerra. Vi ha contribuito con mercenari e terroristi provenienti dal Medio Oriente, che hanno commesso atrocità denunciate anche da organizzazioni di alto livello. Tuttavia, il coinvolgimento dei terroristi sembra essere accettato dalla comunità internazionale, dato che non sono vi sono state conseguenze né per la Turchia, né per l’Azerbaijan.”.
Questo significa che la comunità internazionale – che al momento sta mostrando più interesse per la questione – non fornirà alcun tipo di assistenza militare all’Artsakh nel caso di una futura escalation?
“Parlando di assistenza internazionale, non ci si riferisce solo all’aiuto militare. Vedete questa foto alle mie spalle? Si tratta della Cattedrale del Santo Salvatore a Shushi. Ebbene, questa chiesa non esiste più. Questo esempio mi consente di fare riferimento alle norme internazionali: ciò a cui assistiamo rispettivamente alla situazione in Artsakh è l’uso di un doppio standard. Sono passati due anni e mezzo, e nessuna organizzazione internazionale è stata in Artsakh – anche a causa della pressione dell’Azerbaijan, che a nostro avviso è inaccettabile. Per quanto riguarda le nostre chiese, l’Azerbaijan ne ha distrutte molte nel 21° secolo, indipendentemente dagli sforzi che abbiamo compiuto nei secoli passati per preservare il nostro patrimonio culturale. Per quanto riguarda i cittadini, durante la guerra molti sono stati catturati come prigionieri. Le forze azere hanno compiuto decapitazioni, gli hanno tagliato alcune parti del corpo, le orecchie, sono avvenute delle vere e proprie crudeltà. Vi sono state esecuzioni, e i video sono stati inviati ai familiari – tutto ciò coperto dal governo azero. Solo l’ISIS ha compiuto atrocità simili. Ma la comunità internazionale ha accolto l’Azerbaijan e i suoi leaders, senza menzionare queste azioni crudeli.”.
Pertanto, non c’è stata alcuna responsabilizzazione dell’Azerbaijan da parte della comunità internazionale?
“Sfortunatamente no. Manca un’adeguata reazione internazionale, poiché si è chiuso un occhio anche sulla situazione dei diritti umani delle persone dell’Artsakh. Facendo una comparazione, quando chiediamo come mai è stata possibile l’indipendenza del Kosovo e non è possibile la nostra, nessuno risponde.”.

Come si sente la popolazione dell’Artsakh dopo aver visto che l’Occidente sta supportando l’Ucraina e non è intervenuto a sostegno del vostro Paese durante la guerra del 2020? E qual è il sentimento della popolazione verso il governo Armeno, dato che sui social circolano video di forti critiche alle dichiarazioni dell’attuale governo?
“Riguardo alla prima domanda, anche qui troviamo un esempio di un doppio standard. Non abbiamo visto da parte russa e ucraina lo stesso livello e crudeltà e le stesse atrocità che, al contrario, sono state compiute in Nagorno Karabakh – e mi riferisco in particolare alle decapitazioni. Nei video che vediamo sulla guerra in Ucraina, nelle aree controllate dalla Russia le persone continuano a vivere in una situazione incomparabile con quella dell’Artsakh. Per quanto concerne la seconda domanda, anche le autorità armene sono in difficoltà. È stato attaccato anche il territorio sovrano dell’Armenia, che a differenza dell’Artsakh è riconosciuta internazionalmente come Stato sovrano. Anche la Turchia sta facendo pressione sull’Armenia affinché ceda alle pretese dell’Azerbaijan. Baku sta alimentando le tensioni in Armenia, potete dunque immaginare dunque la situazione difficile che sta affrontando. Certo, l’Azerbaijan sta traendo vantaggio dal fatto che tutte le sue azioni non sono state adeguatamente punite. Ecco perché continua su questa linea.”.
Ad oggi, la vostra Repubblica è stata riconosciuta da pochissimi Stati, che non appartengono alle Nazioni Unite. State lavorando per aumentare il numero di riconoscimenti? Ci può inoltre spiegare per quale ragione nemmeno l’Armenia vi ha riconosciuti come Stato indipendente?
“La prima domanda ha a che fare con la nostra sicurezza. Viviamo purtroppo in un mondo in cui il riconoscimento internazionale non è garanzia dell’assenza di scontri militari. Lavoreremo sicuramente sul riconoscimento internazionale da parte di altri Paesi, ma la nostra priorità adesso è l’esistenza fisica. Con riferimento all’Armenia, il governo ha dichiarato che non riconosce l’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh perché ciò avrebbe un impatto negativo sul processo negoziale. Sarebbe un approccio irrispettoso verso la comunità internazionale.”.
In che modo il governo sta supportando gli sfollati interni in Artsakh e l’economia della regione?
“Sono attivi diversi progetti, ma l’Armenia è l’unico Paese che supporta attivamente gli sfollati in Artsakh. Come vi ho anticipato, non c’è alcuna organizzazione internazionale (ad eccezione della Croce Rossa) che porta avanti iniziative di questo tipo in Artsakh, e sono circa 20,000 gli sfollati che vivono in Armenia. Il governo sta facendo tutto il necessario, anche se le questioni da risolvere sono così tante che sarebbe impossibile risolverle tutte nel breve periodo.”.
Il miliardario russo-armeno Ruben Vardanyan è stato nominato Ministro in Artsakh. Secondo lei, c’è la possibilità che altri miliardari vengano in Artsakh e supportino la regione dal punto di vista economico?
“In verità, l’Artsakh ha ricevuto il supporto solo dell’Armenia e della diaspora armena. Rispetto a Vardanyan in Artsakh, secondo ciò che ha affermato “l’esistenza dell’Artsakh è in pericolo, e senza l’Artsakh armeno anche il futuro dell’Armenia è irrealistico”. Vardanyan è attivo in numerosi progetti a livello globale, ha esperienza in diversi ambiti, così come forti legami con le comunità armene all’estero. Come ha sottolineato, farà tutto il possibile per l’Artsakh.”.
Secondo lei, la via diplomatica è l’unica strada perseguibile per raggiungere la pace? E quali concessioni sareste pronti a fare per questo obiettivo?
“Sarebbe nelle nostre speranze che molti problemi potessero essere risolti attraverso la diplomazia. Sfortunatamente, l’esperienza insegna che queste speranze ci fanno solo del male. Avevamo queste speranze dopo la prima guerra, e con esse abbiamo negoziato. Ma l’altra parte si è solo nascosta dietro il processo negoziale, preparandosi in realtà per una nuova guerra. L’esperienza mostra inoltre che se si fanno concessioni solo da un lato, l’altra parte lo accetterà ed interpreterà come una debolezza, facendo ancora più pressione. In realtà, non abbiamo più nulla da concedere. L’altra parte?”.
Quindi è probabile una nuova escalation militare, anche alla luce del fatto che la Russia è ferma in Ucraina e ha lasciato una sorta di vuoto nel Caucaso? In questo caso, come vi state preparando per un’eventuale conflitto?
“Per quanto vediamo nel nostro territorio e nel mondo, c’è molta pressione. Certo, in questa situazione è molto difficile garantire la nostra sicurezza unicamente con le nostre forze. Anche la Turchia è coinvolta nel conflitto, e ha un potenziale militare enorme. Ciò non significa tuttavia che rifiutiamo di combattere: durante la Seconda Guerra Mondiale, il Terzo Reich ha occupato la Francia, ma poi la Francia ha vinto. Ora, vediamo lo stesso nell’area di influenza di Erdoğan: quando la comunità internazionale fa delle concessioni, Ankara vuole di più. Le aspirazioni di Erdoğan sono sempre più grandi, e stanno impiegando diversi strumenti per raggiungere tali obiettivi – ad iniziare dalla corruzione dei terroristi. Sappiamo tutti che ci sono numerosi casi di corruzione in Europa in cui è coinvolto l’Azerbaijan, specialmente per quanto riguarda politici. Può fare lo stesso con i terroristi, qualunque sia il rischio per il mondo intero. Quando si concepisce l’uso di tali strumenti come accettabile per la comunità e le organizzazioni internazionali, essi ne trarranno vantaggio.”.
Non ha paura che l’Armenia – secondo voci di corridoio – potrebbe abbandonarvi in cambio della propria integrità territoriale e stabilità?
“Anche l’Armenia ha le sue difficoltà, come ho ribadito poco fa. Ho parlato della Seconda Guerra Mondiale, e nuovamente affermo che quando si fanno concessioni non si può trovare una soluzione. Se l’Artsakh perde, l’intero mondo civile sarà sconfitto – o almeno la parte del mondo che si fa chiamare “civile”. Siamo in prima linea, e la nostra battaglia può essere definita in vari modi: una lotta per la democrazia, per l’indipendenza. Ma alla base vi è il diritto umanitario ed internazionale. Speriamo che la situazione possa cambiare, altrimenti nel mondo queste situazioni potranno replicarsi molto velocemente.”.
Crede che questo conflitto sia anche uno scontro tra la cristianità e l’Islam?
“In Shushi abbiamo ricostruito la moschea. Non abbiamo alcun tipo di problema con l’Iran, che è un paese musulmano. Non ricordo alcun caso di conflitto tra i nostri Paesi. Ma c’è un tentativo da parte dell’Azerbaijan di presentare la situazione come uno scontro tra culture.”.
Foto copertina: Sede della Rappresentanza Permanente della Repubblica del Nagorno-Karabakh in Armenia a Yerevan