Questo genere non è particolarmente popolare tra il grande pubblico. Eppure, ricevono molta attenzione da critici, politici e appassionati del cinema d’autore. Infatti, un buon film politico è in grado di far riflettere i propri spettatori sulle dinamiche e sui processi politici nella nostra società, sul passato e sul presente. Possono avvicinarsi a idee e scenari geopolitici, rappresentando spesso vicende tratte o ispirate da storie vere di tutto il mondo, attraverso il punto di vista peculiare; quello artistico-cinematografico e del regista. Ecco qui la seconda parte dell’elenco di film italiani e internazionali; 5 film che rappresentano specifiche tematiche socio-politiche e riflettono differenti realtà geografiche.
Milk (2008)
Biopic del 2008 basato sulla vita dell’attivista e politico Harvey Milk, prima persona apertamente gay negli USA ad essere eletta a una carica pubblica in California. Diretto da Gus Van Sant, il protagonista è interpretato da Sean Penn.
Milk rappresenta un’icona dei diritti dei gay, che ha combattuto l’odio e la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
La trama del film si focalizza sugli ultimi otto anni di vita di Harvey Milk, dal 1970 al 1978, anno in cui, insieme al sindaco George Moscone, venne assassinato dall’ex consigliere comunale Dan White.
Gran parte di Milk è stato girato principalmente a San Francisco, nel quartiere di Castro, dove il protagonista si stabilì, e dove esisteva una importante comunità di omosessuali. Alcune scene del film sono state girate nel vero negozio di Castro Camera, che diventò il quartier generale delle sue campagne politiche e un punto di incontro per i suoi collaboratori.
Nel 2009 il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha conferito a Milk (in sua memoria) la Presidential Medal of Freedom, massima onoreficenza degli Stati Uniti, per il suo contributo al movimento per i diritti dei gay.
La battaglia di Algeri (1966)
Frutto della cooperazione artistica italo-algerina, è ritenuto dai critici come uno dei capolavori del XX secolo. Spesso inserito nel filone del “neorealismo italiano”, sia per l’utilizzo del bianco e nero e dell’uso di tecniche cinematografiche (che danno al film l’aspetto di un “cinegiornale” o di un film documentario), sia per la tematica affrontata. Ambientato durante la Guerra d’Indipendenza (1954-1962), la battaglia di Algeri ricostruisce gli eventi accaduti tra il novembre 1954 e il dicembre 1957, e mette in scena le guerriglie e insurrezioni organizzate dal Fronte di Liberazione Nazionale algerino contro i coloni francesi. Si concentra principalmente sulla figura del combattente rivoluzionario Ali La Pointe e di alcuni dei guerriglieri del FLN. Il film è particolarmente drammatico, che non risparmia agli spettatori scene di violenza e brutalità, rappresentando sullo schermo la realtà del movimento di guerriglia e di alcuni metodi illegali, come la tortura, usata dai francesi per contrastare il FLN.
La storia è stata ispirata dal libro del 1962 “Souvenirs de la Bataille d’Alger”, le memorie della campagna del comandante militare del FLN, Saadi Yacef (presente nel film). Yacef scrisse il libro mentre era detenuto come prigioniero dei francesi. Dopo l’indipendenza divenne uno dei leader del neo-governo algerino, che ha sostenuto la creazione e la produzione di un film sull’adattamento delle memorie di Yacef. Salash Baazi, attivista del FLN esiliato dai francesi, si rivolse al regista italiano Gillo Pontecorvo e allo sceneggiatore Franco Solinas per il progetto.
Pontecorvo scelse attori non professionisti ad eccezione del francese Jean Martin che interpretò il colonnello Philippe Mathieu. Martin era stato licenziato anni prima dal Théâtre National Populaire per aver firmato un manifesto contro la guerra d’Algeria.
Il film ha generato notevoli controversie politiche in Francia; inizialmente bandito per alcuni anni, fu infine distribuito ma con alcune modifiche nel doppiaggio.
Sin dall’uscita, “La battaglia di Algeri” e le tattiche di guerriglia urbana rappresentate, vennero spesso accusate di aver ispirato le attività delle Pantere Nere, dell’Esercito repubblicano irlandese e dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina.
Munich (2005)
In “Munich”, Steven Spielberg vuole rievocare la vicenda del rapimento e della morte degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972. È basato sul libro di George Jonas del 1984, un resoconto dell’operazione segreta del governo israeliano “Wrath of God” contro il gruppo terroristico palestinese Settembre Nero, reo di aver organizzato e attuato l’assassinio di 11 membri della squadra olimpica israeliana. Il protagonista, Avner Kaufman, un agente del Mossad di origine ebraico-tedesca, viene scelto dal governo per guidare una missione internazionale col fine di assassinare i palestinesi presumibilmente coinvolti nel massacro.
Il messaggio che il regista ha voluto comunicarci è estremamente lucido e potente, un atto di coscienza. Il regista di “Schindler’s List”, fondatore della Shoah Foundation, uno degli ebrei più conosciuti e di maggior successo nel mondo del cinema, assume apparentemente un posizione soggettiva nella vicenda.
Da una parte è evidente il suo sostegno e “simpatia” verso Israele, che mostra attraverso i dialoghi dei personaggi, dall’altra metterebbe in discussione la politica stessa di Israele, che si basa sulla violenza e la vendetta.
Uno degli ultimi dialoghi pronunciati dal protagonista “Non c’è pace alla fine di questo” vuole comunicare agli spettatori come la situazione tra israeliani e palestinesi in continuerà all’infinito, a meno che uomini coraggiosi di entrambe le parti non decidano di rompere con gli schemi del passato e di aprirsi realmente al dialogo e alla pace. Con questo film ha aperto drammaticamente un dialogo più ampio, che non coinvolge solo Israele, ma qualsiasi nazione che crede di poter compromettere i suoi valori per difenderli.
L’ultimo imperatore (1987)
Film biografico diretto da Bernardo Bertolucci che racconta la vita di Pu Yi, l’ultimo imperatore della Cina. Tutto è raccontato attraverso il flashback del protagonista, iniziando dalla sua ascesa al trono da bambino fino alla sua riabilitazione politica da parte del Partito Comunista Cinese.
Alla 60esima edizione degli Academy Awards, vinse nove Oscar, tra cui Miglior film, Miglior regista e Miglior sceneggiatura non originale.
La pellicola è ambientata nella Cina del 1950, e Pu Yi è un prigioniero del carcere di Fushun. Tenta il suicidio durante la prigionia, ma viene salvato prima che morisse dissanguato. In quanto prigioniero politico, viene costretto a scrivere una “confessione” per sue azioni passate e cerca di tornare indietro nel tempo, agli eventi chiave della sua vita, ripercorrendo anche il passaggio storico della Cina da impero feudale a Repubblica.
Così vediamo la sua ascesa al trono all’età di tre anni nel 1908 alla sua morte come umile giardiniere a Pechino nel 1967. La sua nomina ad imperatore dall’imperatrice vedova morente e la sua infanzia e adolescenza passata all’interno della Città Proibita, circondato da eunuchi e istruito da un professore inglese (Peter O’Toole, grandissimo attore britannico, che interpretò il protagonista di un colossal che va assolutamente menzionato: Lawrence d’Arabia). L’esilio nel 1924 di Pu Yi e la cacciata da parte dei nazionalisti. La nuova opportunità di tornare sovrano offertagli dai giapponesi, e la nuova nomina a sovrano dello stato fantoccio della Manciuria durante la seconda guerra mondiale.
È stato il primo lungometraggio occidentale autorizzato dalla Repubblica Popolare cinese a girare nella Città Proibita a Pechino.
Quarto Potere (1941)
Quarto Potere è considerato da molti critici ed esperti il miglior film mai realizzato e uno dei più grandi capolavori della storia del cinema, particolarmente elogiato per le sue innovazioni cinematografiche e musicali, per la fotografia e la struttura narrativa.
È un film che cerca di rappresentare il potere e l’influenza dei media sulla società. Prodotto, diretto e interpretato da Orson Welles, esamina la vita di Charles Foster Kane, un personaggio fittizio ispirato in parte dal magnate dei giornali americani William Randolph Hearst, dagli uomini d’affari Samuel Insull e Harold McCormick, nonché da alcuni aspetti della vita dello stesso Welles.
Quasi tutta la narrazione è composta da flashback che vengono raccontati a un giornalista che cerca di risolvere il mistero della parola pronunciata da Kane poco prima di morire: “Rosabella” (o “Rosebud” in lingua originale). Lo spettatore è incuriosito dal significato di questa parola e un gruppo di giornalisti desiderosi di scoprirlo indagano sulla vita del personaggio.
La pellicola quindi inizia a narrare la vita di Kane, questo importante e famoso uomo d’affari americano, del suo impero economico composto da una grande rete di giornali, una rete di stazioni radio, due sindacati e una collezione inimmaginabile di opere d’arte. La carriera di Kane nel settore dell’editoria nasce inizialmente dall’idealismo e dal senso sociale, ma si evolve gradualmente in una ricerca incessante di potere e di accumulo illimitato di ricchezza.
Al momento dell’uscita del film, Hearst ha proibito di menzionare il film in tutti i suoi giornali.
Parentesi Cinema: 5 pellicole da guardare sui più grandi temi socio-politici (parte 1)