Peppino Impastato: la storia, il ricordo e il lascito di un giovane simbolo siciliano per troppo tempo dimenticato dalla narrazione storica nazionale.


Era la notte buia dello Stato Italiano,
quella del nove maggio settantotto.
La notte in via Caetani, del corpo di Aldo Moro,
l’alba dei funerali di uno Stato.

Così recitano le strofe della canzone dei Modena City Ramblers “I Cento Passi”, divenuta colonna sonora dell’omonimo film sulla vita e memoria del giovane Giuseppe Impastato, morto ammazzato dai mafiosi di Cinisi nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978.
Un omicidio che, per coincidenze dell’infausto destino, fu oscurato dal ritrovamento del corpo, all’interno della tragicamente famosa Renault rossa in via Caetani a Roma, dell’allora Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Ma la storia di Giuseppe Impastato rappresenta la storia di una nuova società che, con rigorosa prepotenza, voleva già dagli albori degli anni ’70 riscrivere la vita sociale siciliana. Una storia per troppo tempo oscurata, volutamente tenuta nascosta dal grande racconto siciliano e nazionale. Una storia che invece deve essere tramandata per ricordare, conoscere e prendere esempio da quella Sicilia per bene promotrice di una visione legale, democratica, migliore della realtà socio-culturale siciliana ed italiana tutta.
Giuseppe Impastato, detto Peppino, figlio e nipote di mafiosi, fin dalla tenera età si distaccò da quell’ambiente familiare tossico ed opprimente, sognando una libertà che gli costò la rottura dei rapporti con il padre. Nel 1965 infatti venne cacciato via di casa e nello stesso anno, dopo l’adesione al nascente PSIUP (Partito Socialista Italiano di Utilità Proletaria), fondò il giornalino “L’idea socialista”, con il quale apprese la raffinata arte del giornalismo di inchiesta locale. Aprendosi ancor di più al mondo politico della rivoluzione socialista, seguendo la linea rivoluzionaria dei giovani sessantottini, aderì al movimento extra-parlamentare Lotta Continua.

Fin qui si comprende quindi la piena propensione di Peppino verso la politica. Ma nel territorio palermitano degli anni ’70, soprattutto in realtà piccole come quella del paese di Cinisi, politica locale e mafia erano realtà inscindibili tra di loro. Fu così che anni dopo Peppino, presa piena consapevolezza della situazione sociale in cui versava il proprio paese, fu principale fondatore della radio autonoma “Radio Aut”, ritenuta da molti la principale nonché più affilata arma anti-mafiosa del proprio arsenale. Tramite Radio Aut (radio locale, libera ed autofinanziata) e grazie al supporto del suo inseparabile team di amici e sostenitori, Peppino denunciava nei localmente famosi programmi radiofonici “Onda Pazza” e “Mafiopoli” gli innumerevoli affari criminali degli uomini d’onore di Cinisi, dedicando ampio spazio al boss Gaetano Badalamenti detto don Tano (principale boss di Cosa Nostra, allora capo della Commissione provinciale di Palermo e soggetto criminale in grado di controllare un immenso traffico di stupefacenti di portata intercontinentale – Asia, Europa e America). Sperpero e sciacallaggio di denaro pubblico, manipolazione di appalti e pieno controllo del vicino aeroporto di Cinisi divenuto ormai base operativa dei traffici internazionali gestiti da Badalamenti: queste le principali tematiche denunciate dal giovane siciliano.

In una società controllata dalla tirannica dittatura mafiosa, una cultura diversa da quella imposta, basata non sull’omertà o sul consenso sociale forzato, ma sulla libera espressione ed opinione, viene naturalmente percepita come una gravissima minaccia all’ecosistema mafioso e al suo dominio sul territorio. Peppino, incarnando e anticipando la nuova generazione di giovani impregnata del sentimento anti-mafioso, tradotto in voglia di legalità, rappresentava dunque una potenziale minaccia per gli uomini d’onore di Cinisi. Fu così che dopo anni di minacce e danneggiamenti alle piccole strutture gestite dal giovane, un manipolo di mafiosi, sotto l’esplicito ordine del boss don Tano, si mise in azione. Peppino non poteva saperlo, ma la trasmissione serale dell’8 maggio 1978 fu l’ultima della sua vita.

Spenta la radio, sistemato il lavoro per l’indomani mattina, lo speaker radiofonico chiuse dietro di sé il portone e si incamminò verso casa sua, ma nel buio della notte siciliana lo raggiunsero gli uomini di Badalamenti, i quali lo sequestrarono per portarlo in un rudere nelle vicinanze del tratto ferroviario Trapani-Palermo. Presumibilmente in quel rudere, da quanto si evince dalle ricostruzioni ex-post realizzate nel corso del lungo e travagliato iter processuale, Peppino venne ammazzato di botte per poi esser fatto saltare in aria lungo i vicini binari, inscenando una tentata strage finita male. A complicare l’accertamento dei fatti fu la straordinaria tempestività degli addetti alla manutenzione delle rotaie nel riparare non solo il tratto danneggiato dall’esplosione, ma anche nel ripulire l’area circostante dai resti del corpo dilaniato del presunto terrorista. Al loro arrivo le forze dell’ordine e i medici legali si trovarono quindi impossibilitati nel svolgere il sopralluogo della scena del crimine, poiché questa non esisteva più.

Della morte di Peppino la stampa siciliana, la magistratura e le forze dell’ordine, collegando maldestramente le conoscenze degli ambienti politici del giovane siciliano alle azioni terroristiche dell’estrema sinistra degli anni di piombo, iniziarono fin da subito a parlarne nei termini di una tentata strage di sfondo politico filo-comunista “finita male”. Fu un depistaggio da manuale che vide – da come si può leggere dai fascicoli giudiziari sul caso – forze di polizia coprire lo sporco malaffare mafioso. Ovviamente, su scala nazionale, del delitto non si fece cenno per via del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Così si spensero i riflettori siciliani sulla tragica fine di Giuseppe Impastato detto Peppino, ma non quelli della scena locale.

Nell’immediato post-mortem la società civile di Cinisi mostrò il proprio cordoglio, unione e supporto alla causa di Peppino e dei suoi amici. Centinaia di cittadini, dopo aver partecipato al funerale del giovane, marciarono lungo le strade del paese manifestando con gli occhi ancora pieni di dolore la propria voglia di cambiamento, la necessità di legalità, gridando ad alta voce il nome di Peppino e le sue frasi sulla bellezza e liberà della cultura. Messaggi di sfida, ma anche di dimostrazione di non aver paura della mafia, furono le numerose fermate del corteo dinnanzi alle abitazioni dei mafiosi del paese, finendo con una lunga sosta dinnanzi alla casa del boss don Tano. Ma la risposta dei cittadini di Cinisi alla morte del giovane compaesano non finì qui. Alle elezioni comunali, tenutesi la settimana successiva ai funerali, la lista di Democrazia Proletaria vide destinate 199 delle 260 preferenze al nome dell’ancora candidato Giuseppe Impastato. Il morto ammazzato Peppino anche dopo la sua morte viveva e il 16 maggio 1978 venne eletto al consiglio comunale (il seggio venne successivamente affidato ad un compagno di partito). Un anno dopo, nella storica data del 9 maggio 1979, il Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato – nato due anni prima – organizzò a Cinisi la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia. Le strade del paesino siciliano vennero nuovamente travolte dalla marea di giovani, stavolta provenienti da tutta Italia, i quali si unirono in un unico grido per manifestare la necessità di una cultura anti-mafiosa. Una cultura che come un filo univa tutti i cuori e le menti della fiorente nuova generazione.

Proprio il Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato rappresenta una delle più impressionanti strutture nate dal lascito e dalla memoria del giovane siciliano che dedicò la propria breve vita alla lotta al principale cancro – parafrasando le parole di un altro grandissimo nome simbolo dell’anti-mafia siciliana, il magistrato Paolo Borsellino – che affligge quella terra bellissima ma allo stesso tempo disgraziata che è la Sicilia. Il Centro, dal 1998 Onlus e dal 2019 persona giuridica, si è prefissato il compito di sviluppare la conoscenza del fenomeno mafioso e simili su scala nazionale ed internazionale, promuovendo iniziative sociali volte a combattere tali fenomeni, elaborando e diffondendo la cultura della legalità, dello sviluppo e della partecipazione democratica. Grazie al Centro e alla famiglia Impastato, in particolare il fratello Giovanni e la madre Felicia i quali non hanno mai mollato, si è riuscito a far riconoscere prima nel 1984 dal Giudice consigliere istruttore Antonino Caponnetto la matrice mafiosa del delitto (fino ad allora paventata solo la tesi terroristica finita male) e poi a ottenere la successiva riapertura del caso e la conclusione del lunghissimo e travagliato iter processuale, con il riconoscimento nel 2002 della colpevolezza di Gaetano Badalamenti.  Grazie al Centro, alla famiglia e a tutto il mondo di autori di libri, giornalisti e ad una enorme società civile, siciliana e non, ancora oggi Peppino cammina. Tentando quindi di far compiere un altro passo alla memoria di uno dei grandi simboli siciliani della lotta alla mafia, la conclusione viene affidata a due dei pensieri più belli, importanti e ricchi di significato che le generazioni successive hanno potuto raccogliere dalla sua memoria:

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!

Grazie Peppino.


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                                           Fonti
Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato  www.centroimpastato.com


Foto copertina: Peppino Impastato ucciso dalla mafia la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978

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Carmelo Rosa
Dopo aver conseguito una Laurea Triennale in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Catania, ed aver frequentato e superato il Corso di Alta Formazione in Criminal Profiling della CSI Accademy, Carmelo Rosa ha acquisito una Laurea Magistrale in Sicurezza Internazionale presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma con voto 110/110 con lode, presentando una tesi intitolata: “Le Trattative Stato-Mafia. Dalla Prima alla Seconda Repubblica”. Attualmente è studente del Master di II livello in Analisi, Prevenzione e Contrasto della Criminalità Organizzata e della Corruzione tenuto dall’università di Pisa in collaborazione con le Università di Napoli Federico II, Palermo, Torino e con l’associazione Libera contro le mafie. I suoi interessi sono principalmente l’analisi storico-politica e la relativa minaccia contemporanea delle organizzazioni mafiose italiane e non.