L’Asia Centrale torna ancora una volta sotto i riflettori internazionali a causa di proteste dal sapore di rivolte, è il turno dell’Uzbekistan.
In data 2 luglio 2022 una grande protesta ha avuto luogo in Uzbekistan, nella regione più occidentale del paese. Innesco della protesta sarebbe stata una nuova svolta, considerabile autoritaria, nel governo del paese, il quale avrebbe arbitrariamente modificato la propria costituzione a seguito dell’annuncio di Mirziyoyev, Presidente uzbeko in carica. Queste modifiche, di fatto, bloccherebbero la strada al referendum sulla secessione fortemente voluto dal Karakalpakstan. Di seguito verrà riportata parte del parere di Aldo Ferrari, analista dell’Ispi di Milano e dell’Università Cà Foscari di Venezia, il quale ha rilasciato un’intervista per la testata Adnkronos[1]: “E’ la regione più depressa del Paese. Anziché contribuire allo sviluppo, il Karakalpakstan è stato particolarmente toccato dal disastro ecologico del mare d’Aral. Avrebbe bisogno di una attenzione prioritaria da parte dello Stato, ma ne è esclusa. Questa proposta di riforma è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.[2]
Negli ultimi due anni non è la prima volta che l’Asia Centrale torna a “rumoreggiare” sotto i riflettori del teatro internazionale. La regione però ha a più rirese dimostrato di essere uno dei nuovi terreni di scontro politico-strategico del panorama internazionale. Non è una novità che la “tradizionale” influenza della Federazione Russa su molte delle desertiche e polverose ex repubbliche sovietiche sia stata incrinata dalla lenta erosione del fiume economico cinese. Una convivenza oramai forzata che per ora si regge su dubbie organizzazioni regionali come la SCO (Shangai Cooperation Organization[3]) dall’accezione più securitaria che economica e sul mantenimento, spesso forzato, da parte della Federazione Russa del suo Monopsonio sugli idrocarburi. Argomento già trattato in un precedente articolo[4]. Al momento, però, sulla questione uzbeka non sembrerebbe esserci un collegamento diretto con le due potenze previamente citate né con attori esterni. Al momento il bilancio ufficiale delle proteste è di 18 morti e 243 feriti ma a destare preoccupazione è la tendenza repressiva del governo uzbeko che potrebbe portare questo bilancio a salire drammaticamente se le proteste continueranno. Un evento simile verificatosi già nel 2005 portò ad una rapida degenerazione della situazione e vide le truppe governative impegnate in violente repressioni delle proteste. L’evento in questione fu la rivolta della città di Andijan, nata per protestare contro la povertà dilagante e la corruzione della classe politica. Il governo, senza preavviso diede ordine di aprire il fuoco sui manifestanti, indiscriminatamente.
Prima che il sangue si seccasse sulle strade, un velo di ufficiale segretezza era già stato calato su piazza Babur. A un decennio di distanza, non si conosce ancora il numero esatto delle vittime. L’ubicazione delle fosse comuni che, a detta dei difensori dei diritti umani, sono dislocate intorno ad Andijan, non è mai stata confermata. Non è stata aperta un’indagine internazionale indipendente e nessuno è stato giudicato responsabile delle uccisioni.[5]
Eventi del genere giustificano ampiamente la preoccupazione che possano ripetersi dato che le dinamiche e le tendenze del governo uzbeko sono rimaste sostanzialmente invariate nel corso di questi dieci anni. Spendendo qualche ultima parola sulle decisioni politiche che hanno portato alle proteste odierne e al cambio di rotta del governo uzbeko sull’indipendenza della regione, ebbene queste fondano nel lontano (ma non troppo) 1993. Il neo indipendente stato dell’Uzbekistan, emerso come gli altri dalla dissoluzione dell’Urss siglò con il Karakalpakstan un accordo, sulla base del quale sarebbe rimasto parte del Paese per almeno 20 anni, ma godendo di una certa autonomia e riservandosi il diritto di tenere poi un referendum sulla secessione.
According to the Constitution of Karakalpakstan, adopted on 9 April 1993, the highest representative state body with legislative authority is the Zhokargy Kenes. Its exclusive powers include the adoption and amendment of the Constitution and laws of Karakalpakstan. The Uzbek Constitution also states that the Karakalpak Constitution may not contradict the Uzbek Constitution and that the laws of Uzbekistan are also mandatory and binding on the territory of Karakalpakstan. Article 75 of the Uzbek Constitution stipulates that relations between Uzbekistan and Karakalpakstan are regulated by their bilateral agreements.[6]
La questione odierna della proteste in Uzbekistan è estremamente complessa, dunque, e fonda su radici ed errori politici che il governo centrale vorrebbe seppellire sotto la sabbia. La preoccupazione per le ritorsioni violente è, come detto, altissima ma grande attenzione andrà posta sulle prossime mosse di attori quali la Federazione Russa, impegnata nella guerra in Ucraina e della Repubblica Popolare Cinese. Aggiornamenti seguiranno nei prossimi giorni.
Note
[1] Si veda: https://www.adnkronos.com/
[2] Per l’intervista completa si veda: https://www.adnkronos.com/karakalpakstan-ferrari-ispi-errore-politico-del-presidente_4qS65PnnyBqy1tevZD5mq1
[3] http://eng.sectsco.org/
[4] Si veda anche: https://www.opiniojuris.it/cingoli-e-portafogli-in-asia-centrale/
[5] Si veda anche: https://www.amnesty.it/uzbekistan-10-anni-fa-il-massacro-di-andijan/ [6]K. Bektemirov, E Rahimov, World Bank Archive, Local Government in Uzbekistan cit. p. 479. Per il documento completo si veda: https://web.worldbank.org/archive/website00504/WEB/PDF/CH9_UZBE.PDF
Foto copertina: Mappa dell’ Uzbekistan dove si sono verificate le proteste