Complici probabilmente il parere del Consiglio dell’Unione del 6 dicembre 2021 e le rilevazioni dell’ultimo rapporto Censis, si è tornati a parlare, negli ultimi mesi, dell’introduzione anche in Italia di un salario minimo legale.
Il Centro Studi Investimenti Sociali evidenzia infatti come in Italia ci siano ad oggi 3 milioni di “Working Poors ” e l’Italia sia l’unico paese europeo a registrare nel Trentennio 1990 -2020 una decrescita delle retribuzioni medie lorde annue (dati Ocse 1990-2020).
Ecco dunque che il dibattito riguardo il salario minimo é tornato a farsi sentire nelle aule parlamentari e, più in generale, nel dibattito pubblico degli ultimi mesi. Questo almeno, fino alle elezioni del PdR.
Ma cos’è e come funziona il salario minimo[1]?
Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Come evidenziato nella nota INAPP per la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati possono distinguersi nell’Unione due diversi regimi per la definizione del minimo salariale.
Il primo è il cosiddetto “Regime Universale” e cioè quello in cui il minimo salariale è determinato direttamente dalla legge. Nettamente prevalente nell’Unione (poiché adottato da ben 22 paesi su 28) ci troviamo in questa fattispecie a parlare di “salario minimo legale” poiché appunto è la fonte legislativa a fissare la retribuzione oraria minima corrispondibile al lavoratore dal datore di lavoro, con valore “Erga Omnes” e dunque indipendente dalla tipologia di contratto o dalla mansione svolta dal lavoratore.
Il secondo tipo di regime vigente in Europa è invece quello cosiddetto “Settoriale”.
In questo caso non sarà la legge a determinare il minimo salariale corrispondibile, (e dunque non si potrà parlare di Salario Minimo Legale) essendo lasciata alla Contrattazione Collettiva Nazionale la determinazione di quest’ultimo.
È questo il caso dell’Italia, avendo per lungo tempo il nostro paese deciso di non determinare con legge il minimo salariale, spesso su spinta delle organizzazioni sindacali, che hanno a lungo temuto di poter essere private di un pezzo importante delle proprie funzioni.
Qualche timido tentativo negli anni era stato fatto. Era prevista ad esempio la sua introduzione in via sperimentale, ad integrazione dei CCNL, per i rapporti di lavoro non normati da questi ultimi, dalla legge delega del “Jobs act”, ma scaduti i termini e mancando i decreti attuativi in materia, non se ne fece nulla.
La questione poi non si è per anni presentata come urgente, anche grazie all’alto tasso di copertura degli occupati da parte dei CCNL, che in Italia si attesta intorno all’ 80%, il che ha reso l’assenza di un SML (Salario Minimo Legale) socialmente più tollerabile che in altri paesi. Questo almeno fino a qualche anno fa.
Cosa succederebbe quindi se anche in Italia si decidesse di adottare un S.M.L.?
Sempre secondo la nota INAPP, che prende in considerazione anche quanto avvenuto in altri paesi europei prima e dopo l’introduzione del S.M.L., gli effetti positivi sembrerebbero molteplici.
Ad esempio gli studi condotti in Germania tra il 2014 ed il 2016 (fase espansiva per l’economia tedesca) hanno evidenziato come all’introduzione del SML sia seguita una maggiore convergenza dei salari nei vari Lander, riducendo il divario tra le regioni.
Non solo, ma non si è riscontrato (come invece inizialmente temuto), un calo dell’occupazione, né ristrutturazioni da parte delle imprese per far fronte ai nuovi costi.
Si è notato invece come i lavoratori interessati dal provvedimento abbiano lavorato il 21% di ore in meno, mentre le aziende hanno semplicemente ridotto i benefici economici aggiuntivi al salario. Di contro è leggermente diminuito il turnover, e c’è stato un aumento dei prezzi dei beni prodotti nei settori maggiormente interessati dal provvedimento. Tornando ora all’Italia, i beneficiari dell’introduzione di un salario minimo legale di 9€lordi l’ora in Italia sarebbero, in totale, 2,6 milioni di persone.
Sempre secondo l’INAPP poi, nel nostro paese le categorie che maggiormente beneficerebbero dell’introduzione di un salario minimo legale sarebbero indubbiamente donne, stranieri, lavoratori e lavoratrici del Sud e delle Isole, nonché coloro che hanno tendenzialmente contratti dalla durata più breve. Ad essere invece maggiormente investite dal cambiamento (e dai relativi costi) sarebbero le PMI, con un picco massimo per le aziende fino a 10 dipendenti, tendenzialmente a conduzione familiare e che, molto più dei loro big competitor, tendono a risparmiare sul costo del personale.
Risultando, tra l’altro anche quelle che maggiormente propendono per una sotto-dichiarazione dell’orario lavorato ed all’evasione contributiva, a danno della previdenza sociale e dei propri lavoratori.
Proprio per evitare un potenziale aumento di questo fenomeno, già di per se presente e dannoso, il rapporto INAPP suggerisce al legislatore di introdurre, contestualmente al SML, un periodo transitorio caratterizzato da un credito d’imposta per le imprese e “calibrato sui soli dipendenti beneficiari del salario minimo” così da scoraggiare sia la sotto-dichiarazione delle ore lavorate e sia un brusco rialzo dei prezzi come invece abbiamo visto essere avvenuto in Germania.
Quali sono le posizioni e le proposte dei vari partiti di sx e csx, e le richieste che si levano dalla società civile?
La più celebre proposta di SML è indubbiamente quella avanzata dal M5S con il “DDL Catalfo” già nel 2018.
La proposta pentastellata, laddove venisse approvata, detterebbe l’obbligo per il datore di lavoro di riconoscere al lavoratore (subordinato o parasubordinato che sia) “una retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato” riconoscendo come tale un salario “non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative”.
Per il 20% di lavoratori che non sarebbero coperti da CCNL il DDL Catalfo prevede poi l’applicazione del Contratto Collettivo Nazionale “Il cui ambito di applicazione sia maggiormente connesso e obiettivamente vicino in senso qualitativo all’attività svolta dai lavoratori anche in maniera prevalente”.
Il DDL Catalfo, infine, prevede che in nessun caso la retribuzione corrisposta possa essere inferiore ai 9€/l’ora lordi introducendo dunque un Salario Minimo Legale a tutti gli effetti, prevedendo inoltre il ricalcolo dei minimi salariali dei CCNL ogni anno sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea (IPCA), al netto dei valori energetici, rilevato nell’anno precedente.
E il Partito Democratico?
I Dem hanno fatto loro la battaglia per il salario minimo legale nel 2018 con il ddl Lous prima, ed il ddl Nannicini poi.
Il ddl Nannicini prevede un meccanismo più complesso, invero, che non istituisce un S.M.L. come canonicamente lo intendiamo, e cioè con la determinazione di una paga minima oraria la cui cifra è determinata dalla legge stessa.
Prevede invece l’istituzione di un “salario minimo di garanzia” da applicarsi ai soli lavoratori subordinati il cui rapporto di lavoro non fosse già opportunamente normato dalla Contrattazione Collettiva Nazionale. L’importo di quest’ultimo verrebbe poi successivamente determinato da una nuova commissione istituita presso il CNEL, composta pariteticamente dai rappresentanti delle maggiori organizzazioni sindacali e datoriali e presieduta dal presidente del CNEL stesso.
La proposta Dem demanda inoltre a questa commissione di “definire i settori della contrattazione collettiva nazionale, con l’obiettivo di ridurne il numero; di indicare i criteri di misurazione e certificazione delle rappresentanze sindacali e delle imprese; di stabilire i rapporti tra i diversi livelli contrattuali in un’ottica di coordinamento”. Questo per porre fine ai cosiddetti “contratti pirata” e dunque quei contratti collettivi che, essendo stipulati da organizzazioni sindacali poco rappresentative, favoriscono il cosiddetto “dumping”.
Spetterebbero poi alla commissione stessa eventuali aggiornamenti periodici del salario minimo di garanzia, ma anche di individuare i settori nei quali quest’ultimo può essere applicato poiché non coperti dalla CCNL.
A favore della proposta Dem, che indubbiamente sposa maggiormente le preoccupazioni delle strutture sindacali, il ddl Nanniccini prevede poi un meccanismo di sanzioni nei confronti del datore di lavoro inadempiente dai 1’000 ai 10’000€ (oltre al ristoro del danno economico dei lavoratori). Laddove la proposta del M5S non presenta invece nessun esplicito meccanismo sanzionatorio.
Le posizioni dei partiti più piccoli.
Dopo una prima proposta avanzata nel 2018 “Possibile” il movimento fondato da Civati lancia, nel Novembre 2021 la proposta di legge di iniziativa popolare sul salario minimo a cura di Davide Serafin. La proposta di Possibile, particolarmente aderente al rapporto INAPP fissa un salario minimo legale di 8,50€ lordi orari, cifra da rivedersi ogni tre anni sulla base delle rilevazioni ISTAT e che si fisserebbe dunque dopo il primo triennio nel 60% del salario mediano rilevato dall’Istituto.
Il salario minimo di Possibile inoltre si applicherebbe anche ai parasubordinati, come per il DDL Catalfo, andando così ad interessare un più ampio settore di popolazione che ad oggi non è tutelato dalla contrattazione collettiva nazionale.
Nella proposta di Possibile, inoltre, vengono previste sanzioni per i datori di lavoro da 1500 a 9000€ per ogni lavatore e per ogni mese retribuito in misura inferiore al salario minimo, destinando gli introiti delle sanzioni al potenziamento dell’ispettorato del lavoro e prevedendo come sanzione accessoria per il datore di lavoro/committente l’esclusione dagli appalti pubblici per due anni della rilevazione dell’infrazione.
La proposta de “la sinistra felice “si conclude prevedendo infine una delega al governo per la realizzazione di un periodo transitorio di tre anni in cui operare, su base progressiva, un taglio del cuneo contributivo per le imprese e una più efficace lotta al lavoro nero.
A favore dell’introduzione del S.M.L. si dice poi Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni, a sua volta favorevole ad un riordino dei contatti collettivi nazionali e ad una nuova legge sulla rappresentanza.
Per S.I. il salario minimo dovrebbe inoltre essere fissato a 10€ l’ora e dovrebbe abbracciare anche i co.co.co (conferenza stampa del 16/07/2021).
A favore del salario minimo si dice poi” Potere al Popolo” che lo vorrebbe fissato nella misura di 10€ l’ora, e in questa direzione ha organizzato nei mesi svariati flash mob, come pure Rifondazione Comunista che concorda sulla cifra. Voci favorevoli al salario minimo arrivano anche da “Volt” che tuttavia non da indicazioni precise sulla loro posizione in mento, e dal PC di Marco Rizzo.
Arriva infine da Simone Oggioni la posizione di “Articolo 1” che, non troppo lontana da quella di Sinistra Italiana, vuole il salario minimo fissato al 60% del salario mediano, con una misura che tenga dentro anche i co.co.co. e vi affiancherebbe anche una riforma della Contrattazione Collettiva Nazionale.
Si levano infine numerose voci dal mondo del civismo che chiedono un intervento deciso ed efficace sulla materia, tra cui ultima per importanza, quella del sottoscritto.
Note
[1] https://www.opiniojuris.it/salario-minimo/
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