Una lettura del DDL 2187/2021
La crisi pandemica causata dal COVID-19 ha evidenziato non solo le lacune del nostro sistema sanitario, ma anche l’annosa questione della povertà nel lavoro e dei bassi salari. Il problema dei lavoratori poveri viene spesso collegato alla bassa produttività, ma come vedremo successivamente i fattori impattanti sono diversi. Ad ogni modo in questo lavoro analizzeremo l’ultima proposta in discussione per l’introduzione di un salario minimo per legge.
Nel nostro Paese, causa l’assenza dell’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, e di conseguenza la mancata obbligatorietà dei CCNL per tutti i lavoratori italiani, si è discusso per diversi anni sulla legittimità di un salario minimo legale. In realtà, la discussione giuridica ha posto l’accento non sulle modalità di computo della paga oraria minima, ma sulle modalità per renderla obbligatoria ed efficace per tutti.
Essendo rimasta pura teoria l’applicazione dell’articolo 39 ed essendo ormai i decreti emanati ex lege n.741 del 1959 un fenomeno circoscritto e superato, oggi l’unica forma di contratto collettivo “in servizio” è il contratto collettivo di diritto comune.
E’ bene sottolineare che il problema dei bassi salari non è del tutto risolvibile rendendo obbligatori i CCNL, poiché seppur essi fossero validi “erga omens”, le confederazioni dovrebbero riuscire a contrattare dei minimi salariali dignitosi. Allo stesso modo, il criterio di valutazione delle tariffe e dei salari adottati dalla contrattazione collettiva è il più idoneo[1] a costituire un equilibrio fra contrapposti interessi, limitando il rischio di retribuzioni minime oggettivamente sottopagate. E’ altrettanto vero, inoltre, che in periodi di crisi il numero di lavoratori operanti al di fuori del “recinto” contrattuale aumenta.
Durante gli anni, ci sono stati diversi tentativi di estendere direttamente od indirettamente l’ambito di applicabilità dei CCNL, in modo particolare per la problematica salariale[2].
Interventi legislativi in merito all’estensione dei CCNL sono stati diversi, tra i più importanti ci sono la legge 14 luglio 1959, n. 741 menzionata precedente, l’articolo 45, comma 1 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 in materia di pubblico impiego o l’articolo 3 della legge 23 aprile 2001, n. 142 che prevede l’obbligo per le società cooperative di erogare ai propri soci lavoratori un trattamento economico proporzionato al lavoro svolto, e comunque non inferiore ai minimi tabellari previsti dai CCNL.
Esiste inoltre una legislazione che mira ad un’estensione soggettiva indiretta, mediante il riconoscimento di incentivi, prevalentemente previdenziali, alle aziende che adottano la contrattazione di riferimento, come l’art. 36 dello Statuto dei Lavoratori o l’articolo 1 della legge 7 dicembre 1989, n. 389 o l’articolo 6, comma 9 della medesima norma, o anche l’obbligo di adottare il CCNL di riferimento per le aziende che partecipano a gare d’appalto pubbliche[3].
Gli interventi elencati hanno come scopo principale l’adozione in toto dei contratti collettivi da parte dell’aziende, ma non sono norme che mirano ad introdurre esclusivamente un minimo salariale. E’ necessario in questa sede partire da quella che è stata definita la “stella polare”[4] del nostro ordinamento interno per quanto concerne i minimi salariali: trattasi dell’articolo 36 della Costituzione, che garantisce il diritto del lavoratore ad “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
L’articolo 36 Cost. in materia di giusta retribuzione, evidenzia il superamento della concezione puramente scambista della retribuzione[5], poiché all’elemento della proporzionalità affianca quello della sufficienza.
Ad ogni modo, l’intervento giurisprudenziale, consolidatosi a partire dagli anni cinquanta[6], si basa sul combinato disposto dell’articolo 36 della Costituzione e l’articolo 2099, comma 2, del Codice Civile. Il comma 2 dell’articolo 2099 c.c. recita “In mancanza di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice”, tale assunto concede al giudice l’autorità di decidere la giusta retribuzione del lavoratore nel rispetto dell’articolo 36 della Costituzione. In questo caso i giudici nell’effettuare tale operazione valutativa, di solito fanno riferimento ai minimi retributivi fissati dai contratti collettivi. Da ciò consegue un’efficacia indiretta delle clausole dei contratti collettivi contenenti i minimi tabellari.
L’introduzione del salario minimo legale ha senza dubbio lo scopo, onorevole, di combattere i salari bassi ed il rischio di avere lavoratori poveri, cittadini che nonostante siano occupati non abbiano una retribuzione dignitosa per affrontare il costo della vita. La questione è tornata d’attualità in Italia e non solo. Il premio Nobel all’economia 2021 è stato assegnato a David Card[7] docente alla Berkeley University, il quale attraverso l’analisi dei dati dei dipendenti del settore “food” dello Stato del New Jersey, ha dimostrato empiricamente che l’introduzione di un salario minimo legale non comporta necessariamente una diminuzione dei posti di lavoro.
Il problema principale, però, non è soltanto l’eventuale impatto economico, che è senza dubbio essenziale, ma l’impianto giuridico su quale va costruito questo strumento. Bisogna comprendere giuridicamente come evitare che una legge in termini di salario minimo rischi di apportare problematiche alla tutela dei lavoratori e non dei vantaggi. Dimostrato, come ha fatto il Professor Card, che un salario minimo non impatta negativamente sull’occupazione, non bisogna dimenticare, allo stesso tempo, che il sistema di relazioni sindacali negli Stati Uniti[8], dove l’esperimento ha avuto luogo, è diverso per storia ed approcci a quello italiano.
Alcuni organismi internazionali, come la Commissione Europea e l’OCSE[9] hanno individuato la soglia del basso salario in una retribuzione inferiore ai “due terzi della mediana della distribuzione dei salari[10]”, evidenziando tra l’altro che i soggetti percipienti un salario basso appartengono alle categorie meno produttive[11].
Ma la questione salariale, almeno in Italia, non è legata esclusivamente alla bassa produttività, argomento dibattuto da diversi economisti[12], ma secondo il Rapporto CNEL del 2014 una delle concause dell’insorgere del fenomeno dei “lavoratori in povertà” è da riscontrarsi anche nei mutamenti nel mercato del lavoro: l’eccessiva flessibilizzazione e precarietà che hanno “spesso determinato una riduzione delle tutele dei lavoratori, soprattutto per alcune tipologie contrattuali (rapporti di lavoro a tempo determinato, collaborazioni e forme di parasubordinazione), e in alcuni casi anche un peggioramento della qualità delle posizioni lavorative[13]”.
In tema di salario minimo, l’ultima proposta di legge in discussione in Commissione Senato è il DDL 2187/2021 presentato dal M5S con primo firmatario la senatrice, ed ex Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo.
Il DDL 2187/2021 presentato dal M5S ha come impianto il precedente DDL 658/2018, proposto dal medesimo movimento politico. Prima di entrare nel merito del DDL 2187/2021 è opportuno evidenziare che quest’ultimo, come anche il 658/2018, continua a basarsi sul principio secondo il quale una norma introducente il salario minimo legale si configura come sostegno alla contrattazione e non in sostituzione della medesima. Questo punto apre senza dubbio un nuovo dibattito sul salario minimo, poiché la maggior parte delle proposte riguardanti l’introduzione di un salario minimo legale, prevedevano l’introduzione di un salario stabilito dalla legge la cui efficacia impattava esclusivamente i rapporti non coperti da contrattazione collettiva[14]. Questo con il rischio evidente di non combattere i salari bassi, ma di avere un effetto controproducente poiché allontanava soprattutto le PMI[15] dall’adozione delle tabelle retributive dei CCNL, in media più alti[16], ed inoltre svuotavano di funzioni la contrattazione collettiva[17].
Il DDL 2187/2021 all’articolo 1, comma 1, recita testualmente “In attuazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione… i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, sono tenuti a corrispondere ai lavoratori di cui all’articolo 2094 del codice civile una retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato[18].”
Pertanto, la legge è l’attuazione di principi costituzionali individuati nella proporzionalità e nella sufficienza della retribuzione. In sostanza è come se il minimo salariale previsto da questo DDL coincida con la “retribuzione di rango costituzionale[19]”.
L’articolo 2 (Definizione), introduce il nocciolo della proposta di legge, poiché apre alla definizione di <<retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente>> dando principio a due concetti importanti. In primis, si afferma che la retribuzione ex lege art. 36 Cost. è il trattamento economico complessivo, ma soprattutto “non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore in cui opera l’impresa”. Nel primo caso il Trattamento Economico Complessivo (TEC) inserito nel DDL fa riferimento al Patto della Fabbrica, firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil nel 2018 con il quale si sottolineava la differenza tra il Trattamento minimo (TEM) e il complessivo, dove rientrano tutti gli elementi retributivi previsti dal contratto[20]. Il secondo punto, invece, dichiara che il salario ex 36 Cost. è quello previsto dai CCNL, il che non lo rende una novità assoluta, poiché esiste già nel nostro ordinamento giuridico il combinato disposto tra l’art. 36 Cost. ed il 2099 del c.c.. Tuttavia, in questo caso quel diritto giurisprudenziale troverebbe “sanzione specifica nella legge[21]”. Il primo comma dell’articolo si conclude introducendo il valore economico, definibile “paracadute”, sotto il quale il trattamento economico minimo non può scendere: 9 euro lordi.
Il valore su menzionato dovrebbe essere adottato solo nel caso in cui il CCNL di riferimento adottasse una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi, caso limite se non improbabile[22].
L’articolo 3 affronta la problematica della pluralità dei contratti collettivi, annosa questione nel nostro ordinamento sindacale. Nel DDL in questione il comma 1 dell’articolo 3 recita “In presenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili ai sensi dell’articolo 2, il trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente non può essere inferiore a quello previsto…in obbligazione dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria merceologico-produttiva stessa” e non può in ogni caso essere inferiore al minimo stabilito di 9 euro lordi. Al comma successivo del medesimo articolo, si specificano le modalità di selezione degli “agenti negoziali”, con la finalità di scelta del CCNL di riferimento. Il riferimento per il computo della rappresentatività è tarata sui “criteri associativi ed elettorali di cui agli accordi interconfederali sulla misurazione della rappresentatività sindacale stipulati dalle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, e per le associazioni dei datori di lavoro i criteri ponderati del numero di imprese associate in relazione al numero delle stesse, del numero di dipendenti delle imprese medesime in relazione al numero complessivo di lavoratori impiegati nelle stesse.” Questo pone alcuni dubbi, soprattutto in riferimento agli accordi interconfederali, senza precisarne alcuni aspetti utili al computo della rappresentatività. In un contesto in cui le elezioni per le RSU non siano svolte, il dato elettorale non è individuabile, poiché ricordiamo che tali elezioni non sono obbligatorie per legge. Inoltre, le modalità di controllo e gestione[23] di questi dati da parte dell’Inps o del CNEL necessitano di un intervento dettagliato direttamente dalla legge e non solo, o esclusivamente agli accordi interconfederali.
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Autorevole dottrina[24] ha sottolineato il rischio di affiancare un salario minimo legale previsto dalla legge ai livelli minimi contrattuali previsti dai CCNL, con l’evidenza che il giudice possa optare per il valore più basso in sede giudiziale, cioè quello previsto dalla legge. Molti datori “potrebbero abbandonare il CCNL, riservandosi di elargire incrementi su base aziendale o individuale”.
Il DDL in parola, inoltre, introduce l’obbligo di istituire presso il Ministero del lavoro una commissione per l’aggiornamento del trattamento economico minimo previsto dalla legge. La Commissione, presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, è composta da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; un rappresentante dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS); un rappresentante dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT); un rappresentante dell’Ispettorato nazionale del lavoro; un numero pari di rappresentanti dalle associazioni dei prestatori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.
Il DDL è in discussione al Senato presso la Commissione Lavoro, ma nonostante alcuni punti interessanti inseriti, è evidente la complessità della proposta ed i rischi di irregolarità che non renderanno semplice la sua attuazione. Converrebbe, oramai, lavorare per un intervento legislativo che renda attuabile l’articolo 39 della Costituzione, poiché sin dal 1948 era quella la via maestra de seguire per “imporre” un salario minimo e rendere obbligatori i contratti collettivi su tutto il territorio nazionale. Solo così potremmo realmente lottare la povertà del lavoro e nel lavoro, ampliando realmente le tutele, che non sono solo legate alla “giusta retribuzione”, ma alle tipologie contrattuali adottate, alle qualifiche previste, alla lotta alla precarietà, il sotto-inquadramento, l’abuso dei tempi parziali, la scarsa formazione e ultimi ma non meno importanti la capacità di controllare da parte delle autorità gli abusi costanti che vengono perpetrano in diversi contesti come, ad esempio, il mondo del lavoro agricolo.
Note
[1] G. GIUGNI, Diritto Sindacale, Cacucci Editore, Bari, 1988, pag. 152
[2] L. GALANTINO, Diritto del Lavoro, Editio Minor, Giappichelli Editore, Torino, 2014, pag. 85
[3] Articolo 118, comma 6 del d.lgs. n. 163 del 2006
[4] M. BIASI, Il salario minimo legale nel “Jobs Act”: promozione o svuotamento dell’azione contrattuale collettiva? in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n. 241/2015, pag. 8
[5] S. PETRELLA, Il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente nel sistema italiano di contrattazione collettiva, Scuola di Dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Milano-Bicocca, pag. 46
[6] L. GALANTINO, Diritto del Lavoro, Editio Minor, Giappichelli Editore, Torino, 2014, pag. 87
[7] https://www.ilsole24ore.com/art/il-nobel-all-economia-2021-david-card-joshua-d-angrist-e-guido-w-imbens-AE4lg3o
[8] M. BIASI, Il salario minimo legale nel “Jobs Act”: promozione o svuotamento dell’azione contrattuale collettiva? in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n. 241/2015, pag. 2
[9] D. PORCHEDDU, Il dibattito sul salario minimo legale in prospettiva italiana ed europea, 2020, ADAPT University Press, pag. 17
[10] Ibidem
[11] Rapporto CNEL, Working poor: un’analisi sui lavoratori a bassa remunerazione dopo la crisi, 2014, pag. 44
[12] A. STIRATI, Lavoro e salari, un punto di vista alternativo sulla crisi, l’Asino d’oro edizioni, Roma, 2020, pag.146
[13] Rapporto CNEL, Op. cit., pag. 35
[14] V. BAVARO, Note sul salario minimo legale nel disegno di legge N.658 del 2018, in ildiariodellavoro.it, 2019, pag. 2
[15] E. RIVABELLA, Salario minimo…garanzia o rischio? , in istitutostatoepartecipazione.it, 2021.
[16] S. LEONARDI, La proposta del M5S sul salario minimo legale: qualche progresso e varie insidie, in eticaeconomia.it, 2019, pag. 2
[17] V. BAVARO, Op. cit., pag. 2. Ctr. V. BAVARO, Il salario minimo legale nel diritto sindacale italiano fra Jobs Act e dottrina dell’austerità, in Quad. Rass. Sind., 2015, n. 4
[18] Articolo 1, comma1, DDL 2187/2021
[19] V.BAVARO, Op.cit., pag. 2
[20] Ivi, pag. 7
[21] V.BAVARO, Op.cit., pag. 3
[22] D. PORCHEDDU, Op. cit., 42
[23] V.BAVARO, Op.cit., pag. 5
[24] S. LEONARDI, La proposta del M5S sul salario minimo legale: qualche progresso e varie insidie, in eticaeconomia.it, 2019, pag. 2
Foto copertina: Monete immagine web