La polizia segreta russa ha ascendenze mongole, ma è Stalin che ne fa uno strumento di potere. Dopo la cosmesi post-1989, con Putin gli ‘uomini della forza’ sono tornati in auge. Le lotte intestine, i processi politici e le operazioni coperte all’estero.[1]


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Introduzione: cosa vuol dire Siloviki?

Siloviki, un termine spesso associato a determinate figure di spicco dell’amministrazione della Federazione Russa e che letteralmente significa “uomini della forza” o “uomini in divisa”. Un termine appropriato visto che viene utilizzato, appunto, per quella élite politica che vanta un passato nelle forze armate o nei servizi segreti, formatasi all’interno di quelle organizzazioni e chiamata a supportare le politiche prima del presidente Yel’tsin e poi di Putin, sotto il quale il loro numero e la loro rilevanza è notevolmente aumentata, anche a causa di una serie di fattori che verranno in seguito analizzati e in accordo con le parole di Bettina Renz: “SINCE THE ELECTION OF VLADIMIR PUTIN AS PRESIDENT of the Russian Federation in March 2000, the appointment of figures with a force-structure background—the so-called siloviki—to political and administrative posts has attracted the attention of academic analysts and journalists both in Russia and in the West. One dominant interpretation of this phenomenon has been to evaluate such appointments as a conscious policy choice and as an expression of a more authoritarian policy direction pursued by Putin.”[2]
La questione sollevata da Renz, professoressa di scienze politiche e relazioni internazionali all’università di Nottingham e specializzata nel campo dei Russian studies, nell’articolo sopracitato apre le porte di un discorso complesso, che mira ad analizzare senza veli la natura della struttura politica ed amministrativa russa.
In particolare sotto la presidenza (oramai quasi ad interim) del presidente Vladimir Putin, numerose cariche statali nevralgiche sono state affidate alle mani di “uomini in divisa” o conosciuti come Siloviki, che hanno fatto sì che lo stato rassomigli ad una vera e propria militocrazia. Questa visione però è quantomeno generalista e non riflette appieno un quadro che è molto più complesso e articolato nelle sue sfaccettature.
Una della cause principali di questa decisione, che agli occhi di molti può sembrare una strategia politica, è da ricercarsi nel periodo immediatamente post-Sovietico. Quando Yel’tsin venne eletto presidente ereditò quello che era stato un problema proprio del periodo Sovietico, ovvero la mancanza di una élite politica qualificata a cui attingere dovuta all’inefficacia del sistema di reclutamento di quest’ultima.

L’elezione dei membri governativi era sempre stata legata al fatto che questi dovessero appoggiare la figura del segretario generale e i risultati delle elezioni o la rappresentanza passavano in secondo piano. In seguito questo stesso sistema venne incentrato sulla figura presidenziale: “Within this context, personal links and loyalty were the predominant determinant for political appointments under Yel’tsin, whose regime was centred on the so-called ‘Family’”[3].

Putin una volta presa la presidenza della Federazione Russa e mancando delle conoscenze necessarie per riabilitare un sistema di elezione delle élite governative efficiente decise di circondarsi di persone con le quali aveva già lavorato e che conosceva direttamente, molti erano come lui ex membri del KGB. I legami personali e la lealtà erano ancora una volta lo strumento di misura utilizzato per assegnare cariche politiche a scapito della preparazione o del “background” istituzionale.

I Siloviki durante il Governo Yel’tsin

Come già accennato, la figura dei siloviki non è propria del solo governo Putin, dopo la caduta dell’impero sovietico prese la presidenza della Federazione Russa Yel’tsin, questo sì circondò di uomini fidati e che conosceva personalmente per poter consolidare il suo potere in una situazione politica ed economica di grande instabilità come quella della neonata Federazione Russa nel periodo post-sovietico

“[…] such figures were included, for instance, in the structures of Russia’s first ‘party of power’, Nash Dom-Rossiya. The long-serving chief of staff of former Prime Minister, Viktor Chernomyrdin, was former KGB officer Gennadii Petelin. Ex-KGB official, Nikolai Svanidze, was appointed head of the state television channel, RTR, whilst KGB lieutenant, Eduard Gendeliev, was put in charge of the news programme, Vesti.”[4]
La nomina dei siloviki nelle più alte cariche dello stato era comune come detto, e molti di loro erano ufficiali del KGB o dell’FSB. Durante la seconda parte della presidenza Yel’tsin questo processo si intensificò ulteriormente, tre primi ministri nominati dal presidente nel tempo avevano un cosiddetto “force-structure background”, tra cui anche il futuro presidente Putin. “it should not be forgotten that Vladimir Putin himself started his career in federal politics in Boris Yel’tsin’s presidential administration: he was appointed to the administration in June 1996 and rose to the position of first deputy head before his appointment as FSB director in July 1998”.[5] 

L’ex colonnello del KGB, che passò gli anni del suo servizio attivo di stanza a Dresda (ex DDR) fu infine “selezionato” per la carica di Primo Ministro nell’agosto del 1999. Detto questo, va comunque tenuto a mente che il numero di siloviki che vennero nominati per le alte cariche politiche ed amministrative durante il governo Yel’tsin è molto inferiore rispetto a quello che sarà durante la presidenza di Vladimir Putin. Boris Yel’tsin aveva in mente di limitare la figura dei siloviki per riuscire a creare un nuovo sistema basato unicamente sul potere presidenziale e atto a preservarlo mettendo in competizione tra loro gruppi e istituzioni in modo da mantenere un “balance of power” sempre in suo favore e circondandosi della sua “famiglia”.
Il termine “famiglia” viene utilizzato come riferimento a delle figure di potere presenti all’interno del Cremlino, generalmente oligarchi come Boris Berezovskii (ricco imprenditore che aveva visto la sua fortuna con la privatizzazione delle imprese che seppe sfruttare al meglio acquistando anche un canale televisivo) o “uomini dello stato”, una sorta di rivalsa dei politici di professione formatisi nel periodo post sovietico, sul finire degli anni 90′.

In conclusione è possibile affermare che la figura dei siloviki fosse tutt’altro che preminente durante gli anni della presidenza di Yel’tsin, ma abbastanza diffusa da farne dei partecipanti regolari nella politica russa. Queste figure di potere, ex ufficiali del KGB e figure di spicco dell’esercito erano parte del già citato “progetto” di governo del presidente, dove furono funzionali, insieme ai grandi oligarchi e agli “uomini dello stato” al bilanciamento dei poteri in favore di quest’ultimo e selezionati in base alla lealtà. I rapporti personali con il presidente erano infatti la chiave per raggiungere posizioni di spicco in questo “highly personalized system”. Infine la figura di Vladimir Putin emerse come successore di Yel’tsin nel 1999 e un diverso bilanciamento tra i ranghi dell’amministrazione in favore dei siloviki fu una precisa scelta politica del nuovo presidente, dettata in gran parte, dal suo passato nel KGB e dalla sua inesperienza in politica Federale.

L’ascesa dei Siloviki con la presidenza Putin

Il sistema politico che Putin ereditò era ancora quello creato da Yel’tsin, il concetto di “famiglia” era stato applicato ad ogni ramo della politica e dell’amministrazione, un governo “personale” che aveva fatto sì da lasciare sottosviluppate tutte quelle istituzioni necessarie per il sistema politico e che adesso aveva perso il suo “capostipite”. È da questa situazione che il neo-eletto Putin dovrà districarsi. Egli, come detto, era già parte di questo sistema quando nel 1999 vinse le presidenziali, “In order to attain a degree of autonomy that would permit him to pursue his own policies, Putin had to establish his own power base utilising the possibilities at his disposal within the framework of the political system he inherited”[6]. Detto questo, per l’ex tenente colonnello del KGB la “scelta” non poteva che ricadere sui suoi ex colleghi e sulle persone con la quali aveva già lavorato e che divennero figure chiave del suo staff politico come Sergei Ivanov (ministro della difesa della Federazione Russa dal 28 marzo 2001 al 15 febbraio 2007 e Vice Primo ministro dal novembre 2005 al febbraio 2007). Questo incremento di siloviki nello staff presidenziale era dunque “giustificato” dal passato di Vladimir Putin che puntava molto sulla fiducia reciproca nei suoi ex colleghi e questa era in un certo senso la sua versione della politica personalistica perpetuata da Yel’tsin e che con Putin non poteva che prendere un aspetto “militocratico” più marcato.

Vladimir Putin in politica e in particolare in politica federale mancava sicuramente di esperienza, del resto quest’ultimo dopo soli cinque mesi dalla sua “nomina” come primo ministro venne designato da Yel’tsin come suo successore. È importante comprendere e approfondire questo punto, Putin come anche Yel’tsin e moltissimi altri politici del periodo post-sovietico non facevano parte nell’effettivo di nessun partito politico e questo fu un altro fattore fondamentale che spinse verso le politiche personalistiche che abbiamo sin qui citato. Il non poter fare affidamento su membri di uno stesso partito fece sì da impossibilitare la scelta di “reclutamento” tra le file del parlamento o direttamente dai partiti politici esistenti poiché mancava la conoscenza diretta di questi ultimi e dunque la cosiddetta “fiducia” non poteva che essere riposta su persone anche esterne alla politica e nel caso di Putin ora preso in analisi, con militari ed ex colleghi del servizio segreto sovietico e in particolare uomini conosciuti durante i suoi ultimi anni di carriera  a Leningrado dove fu inserito nella sezione Affari internazionali dell’Università Statale e sottoposto al vicedirettore Juri Molčanov. Nei primi mesi della sua presidenza Putin creò sette nuovi distretti federali, e vennero messi dei siloviki a capo di cinque di questi.

La nomina dei siloviki a capo dei distretti però, sul lungo periodo, non sembrò essere una carica ad interim e nel periodo tra il 2004 e il 2005 due siloviki (Cherkesov, un ex collega del KGB e il generale Kazantsev) vennero sostituiti da politici e amministratori “civili”. Con il passare degli anni sempre più siloviki vennero allontanati, lasciando pensare che la nomina di figure con una “force-structure background” in ruoli chiave della politica federale russa non fosse indispensabile per il piano di governo di Putin, in accordo anche con le parole di Renz: “with regard to federal ministries, too, the numbers of siloviki in leading positions do not clearly support the idea that the appointment of force-structure representatives to key posts is a conscious policy choice pursued by Putin. In 2005, five years into his presidency, only four of 18 federal ministers were of a force-structure background.”[7]

Questo cambio di direzione, relativamente rapido, è dovuto alla nascita stessa del sistema che Putin ereditò prendendo la presidenza del paese. Come detto, Putin “ereditò” il sistema creato da Yel’tsin, di cui in ogni caso era già parte, e trovandosi nella particolare situazione in cui una “fucina” di figure istituzionali preparate era totalmente assente e non potendo contare su alleanze politiche, dovette ricorrere al supporto di coloro di cui si fidava (quasi tutti ex agenti del KGB e militari).
Sul lungo periodo però, con l’aumentare delle sue capacità come politico e potendo contare su una nuova élite politica e amministrativa “civile”, era inevitabile che si andassero a sostituire alcuni dei siloviki che però, come vedremo, rimarranno figure permanenti nelle amministrazioni delle nevralgiche agenzie di intelligence della Federazione Russa, mantenendo così un ruolo di spicco e un certo peso nella politica del paese.
Di seguito verrà riportato uno schema, tratto da un articolo di Galeotti scritto per l’ECFR e atto a rappresentare visivamente la complessa struttura gerarchica dell’intelligence della Federazione Russa di Putin e i canali primari e secondari di comunicazione che i siloviki a capo delle agenzie dispongono per comunicare con il presidente.

Il passato politico e militare dei Siloviki e le differenti “tipologie”

Nella Russia contemporanea, e in particolare nelle sue strutture governative e amministrative abbiamo visto come la presenza dei siloviki sia molto forte e radicata (anche se non esclusiva e affiancata da molte figure elitarie “civili”). Oltre alle possibili cause analizzate nei percorsi politici del presidente Yel’tsin e del presidente Putin, è possibile riscontrare anche una certa continuità con il periodo Sovietico e la sua “force-based structure”.
L’autoritarismo dei siloviki, proprio delle forze armate e di sicurezza, si è traslato tramite questi ultimi nel sistema governativo post-sovietico ed è stato “notato” soprattutto dalle elité civili con cui i siloviki dividono le cariche. “[…] if the logic of institutional background as a permanent basis for the formation of an individual’s ideological orientation is perceived as applicable to force-structure representatives, the same logic could be applied to the not inconsiderable part of the civilian political leadership in post-Soviet Russia, who started their careers in the Soviet communist party (KPSS)”.[8]

Il passo sopracitato, solleva una delle varie questioni interne alle élite stesse; il fatto che ci sia una sorta di continuità, per quanto riguarda il ruolo dei siloviki nella Russia contemporanea, con il periodo Sovietico, non sembra essere stato applicato egualmente anche a coloro che avevano un ruolo di spicco nel KPSS. In accordo con le parole di Sharon Werning Rivera, però, coloro che avevano un ruolo attivo nel Partito Comunista Sovietico, nella Russia contemporanea sono tutt’altro che un corpo compatto e distinto (se non opposto) dai siloviki. Tra l’altro all’interno degli stessi siloviki vi è una differenziazione, “Werning Rivera’s consideration of analytical differentiations in terms of rank and roles is informative for a more detailed definition of politicians in contemporary Russia with a former affiliation to the force structures”[9]. Si potrebbe pensare che il ruolo dei siloviki sia direttamente proporzionale al grado raggiunto durante le loro carriere nell’esercito o nei servizi segreti ma nella realtà dei fatti non è sempre così.
L’esempio più lampante lo troviamo proprio in cima a questa piramide gerarchica che è il governo russo ed è proprio la figura del presidente Vladimir Putin. Per quanto sia sempre (direttamente o indirettamente) affiancato dalla stampa al suo passato da ufficiale del KGB con accezione negativa o positiva, ebbene questa sua esperienza non è stata di certo determinante per la sua ascesa alla presidenza, come non lo è stato nemmeno il grado raggiunto nei ranghi dei servizi segreti sovietici ovvero quello di “tenente colonnello”, di certo non l’ultima ruota dal carro ma nemmeno una grande carica di rilievo.
Nel sistema, naturalmente, non mancano però figure di spicco dell’esercito, generali che hanno anche combattuto sul campo e che hanno rggiunto i massimi gradi della scala gerarchica dell’esercito, ma non sono altro che una parte di tutti i siloviki presenti nella politica russa.

Naturalmente le “tipologie” sopra citate sono propriamente dette siloviki poiché anche se figure “civili” dell’esercito, vantano comunque un “force-structure background” rilevante. Non sempre, però, il passato militare dei siloviki è rimasto una costante nelle loro carriere politiche nelle Russia contemporanea e ancora una volta tra i comunque tanti esempi a favore di questa tesi (come quello del Colonnello-Generale Manilov, che ottenne numerose onorificenze per i suoi studi civili nelle scienze umane e sociali) spicca il nome ancora una volta del presidente Vladimir Putin. Come accennato, la figura di ufficiale del KGB accompagna sempre quella del presidente della Federazione Russa e sembra essere diventata una superficiale chiave di lettura delle sue politiche e della sua stessa persona per la stampa (in accezione sia positiva che negativa) ma la verità è che Putin negli anni immediatamente successivi al suo servizio attivo come agente nella ex Germania Est (DDR) già non si sentiva più parte di quel meccanismo, non più un “uomo del KGB”.

Dopo aver rassegnato le sue dimissioni, Putin si recò a Leningrado dove iniziò la sua carriera nell’amministrazione pubblica sotto Sobchak (politico russo, e co-autore della Costituzione della Federazione Russa, primo sindaco democraticamente eletto di St. Pietroburgo, e mentore di Vladimir Putin e Dmitry Medvedev). In seguito, Putin venne chiamato a far parte dell’entourage del nuovo presidente Yel’tsin dopo la sconfitta elettorale del suo mentore, e venne eletto direttore del nuovo servizio di sicurezza della Federazione Russa (FSB). Putin vedeva sé stesso oramai come un civile e non si identificava mai come silovik.

As Yel’tsin recalled Putin’s appointment as FSB director in his autobiography, I sat down for a serious conversation with Putin. I proposed that he return to military service and obtain the rank of general. ‘What for?’ Putin asked. ‘I resigned from the agencies on August 20, 1991. I don’t want to return to full-time service. I am a civilian. It’s important that such a power ministry be headed by a civilian’. Yel’tsin’s account coincides with Putin’s own recollection of his appointment as FSB director: I had completed my service as a lieutenant colonel ten years earlier. During those ten years, I had a different life. And when I came to work at the FSB, it was not as a colonel but as a civilian, who held the position of first deputy to the chief of the presidential administration.[10]

Grazie a questo esempio (e a molti altri), che caratterizza il presidente stesso della Federazione Russa, possiamo meglio comprendere questa tanto generalizzata figura che sono i siloviki nell’amministrazione e nella politica della Russia contemporanea. Abbiamo visto come questi non siano un “corpo” unico ma come siano anche differenziati tra loro e affiancati in ogni caso da altre élite politiche prettamente di origine civile. Di certo non è possibile negare che le influenze del loro “force- structure background” non sono totalmente trascurabili, come anche non trascurabile è la loro influenza sulle decisioni del governo, in particolare da parte di coloro che hanno avuto ruoli attivi nell’ex KGB sovietico e che ricoprono un ruolo di spicco nelle direzioni delle nuove agenzie di sicurezza della Federazione Russa.

Il rilancio delle agenzie di intelligence

Il progetto putiniano di ricostruzione dello Stato russo è basato sulla modernizzazione interna e sul consolidamento del potere centrale dopo l’anarchia degli anni Novanta, ma anche sul rilancio del ruolo globale e regionale di Mosca. Avendo fronteggiato una crescente opposizione interna dopo il ritorno alla presidenza nel 2012, Putin ha posto speciale enfasi sulla politica estera per legittimare il suo regime. Ciò ha comportato non solo un massiccio programma di riarmo – il Cremlino conta di spendere 773 miliardi di dollari in questo capitolo entro il 2020 – ma anche un costante incremento delle operazioni d’intelligence.
Nel 2010, l’agenzia britannica di controspionaggio Mi7 ha ammonito che «la minaccia posta dallo spionaggio russo resta significativa e non minore rispetto al periodo della guerra fredda» e che «il numero degli agenti russi a Londra [è] analogo a quello registrato in epoca sovietica»[11]

Ad oggi sappiamo che le cifre sopracitate non rispecchiano la realtà dei fatti, le spese per il rilancio dello stato sono state notevolmente ridotte negli anni a causa della crisi economica che affligge il paese ma la questione sollevata sul rilancio delle agenzie di intelligence apre le porte di un punto fondamentale per comprendere la struttura gerarchica della Russia di Putin e anche le sue strategie. Dopo lo scioglimento dell’impero sovietico, in nome di una maggiore trasparenza e chiarezza di ruolo, il servizio segreto sovietico KGB venne sciolto e diviso in numerose agenzie con compiti specifici ma in sostanza quelle che erano le mansioni del KGB e delle sue diramazioni non erano sostanzialmente cambiate. Un ruolo di spicco tra questo sciame di nuove agenzie fu ricoperto dall’agenzia di sicurezza interna che divenne prima il ministero della Sicurezza, poi nel 1994 il Servizio federale di controspionaggio, l’FSB (Federal’naja služba bezopasnosti, Servizio federale di sicurezza) che vide come direttore generale lo stesso Vladimir Putin alla fine degli anni 90′ e che ad oggi ricopre ancora un ruolo preminente tra le varie agenzie di intelligence svolgendo mansioni interne ed esterne al territorio russo. L’intelligence militare faceva capo alla Direzione principale dell’intelligence (Gru, Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie) dello Stato maggiore, “sopravvissuta alle riforme e a un decennio di ristrettezze economiche, tornando agli antichi splendori verso la fine degli anni Duemila”.[12]

The GRU’s aggressive and risk-taking culture reflects its military background and its broad portfolio of assets, which include substantial electronic, satellite, and battlefield reconnaissance capabilities, and Spetsnaz (special forces). Though part of the General Staff apparatus, it enjoys a degree of operational autonomy and its chief can brief the president directly.[13] 

Mentre la protezione del presidente, delle figure e degli edifici chiave del governo fu affidata alla Direzione centrale di protezione, successivamente rinominata FSO (Federal’naja služba okrany, Servizio federale di protezione). Un ruolo importante è quello recentemente ottenuto dalla neo-formata Guardia Nazionale, voluta da Putin nel 2016 con lo scopo di combattere il terrorismo e il crimine organizzato.

L’istituzione della guardia nazionale è stata in un certo senso una sorpresa, soprattutto per l’esercito e i siloviki. Questa sorta di “guardia pretoriana”, forte di un numero considerevole di uomini e mezzi ha fatto sì da porre un freno al potere sempre crescente delle agenzie di intelligence e dell’esercito che adesso ben sanno che il presidente stesso è in grado di difendersi e agire indipendentemente da loro. Putin con questa mossa è riuscito a consolidare il suo potere e a creare le basi per una maggiore stabilità interna al paese rendendo l’idea di un’escalation di lotte interne molto più inverosimile in caso di emergenza.

Ponendo nuovamente l’attenzione alle agenzie di intelligence sopracitate e alle molte altre di importanza “meno rilevante”, derivate tutte dallo scioglimento del KGB sovietico, è possibile intuire la vastità di compiti che quest’ultimo svolgeva. Da notare, però, che durante il periodo sovietico e vista l’importanza che il KGB ricopriva all’interno e all’esterno del sistema, il partito e i suoi dirigenti si erano sempre ben guardati dal far sì che questa agenzia divenisse troppo influente e determinante per le decisioni politiche prese dal Partito Comunista Sovietico stesso. Andropov riuscì con successo a sfruttare la sua carica di presidente del KGB durante la campagna elettorale per divenire segretario generale del partito comunista, ma il KGB era sempre tenuto sotto strettissima osservazione. Lo stesso non sembra potersi dire per il periodo post-sovietico dove, anzi, i siloviki sono parte, come detto, della élite di governo. “Ciò si attaglia perfettamente all’agenda di Putin, sicché è spesso difficile distinguere l’influenza dei siloviki sulla politica governativa dalla mera coincidenza della loro visione con la volontà del Cremlino”[14]. Sicuramente l’influenza dei siloviki sul governo e sul presidente Vladimir Putin è innegabile e spesso è difficile credere che azioni prese dal governo in ambito interno o esterno e le volontà analoghe espresse da alcune agenzie di sicurezza siano una mera coincidenza, ma è anche importante notare come i siloviki non siano affatto un fronte comune e che questo ha comportato e comporta numerose “lotte intestine” per guadagnare una maggiore influenza sulle decisioni del Cremlino.

I siloviki non costituiscono un blocco unico e coeso. Anzi, sono divisi da numerose rivalità istituzionali, burocratiche e personali. Eppure, nel complesso sono accomunati da una lealtà personale a Putin e dalla convinzione nazional-conservatrice che sia necessario rafforzare il potere centrale, anche a spese del processo democratico, mediante una combinazione di politica estera aggressiva, sviluppo economico interno e riarmo, per riaffermare lo status di potenza globale della Russia e la sua egemonia nell’Eurasia post-sovietica.[15]

La corruzione all’interno delle agenzie di sicurezza è dilagante, anche se spesso nascosta e mascherata dal governo centrale, ma non mancano i casi in cui le accuse di corruzione stesse siano state utilizzate come “arma” durante queste lotte. Un caso in particolare è quello che colpì le amministrazioni dell’FSB e del FSKN nel 2007. Furono entrambe accusate di corruzione e alcune figure di spicco furono anche incarcerate. Fu necessario l’intervento del presidente Putin per calmare le acque e bloccare i procedimenti di arresto per tentare di insabbiare la faccenda ma infine gran parte delle amministrazioni dei due organi furono sostituite.
Questo tipo di vicende avviene di solito all’interno del paese, poiché vi è più margine per guadagnare influenza politica e agire “sottobanco”. Del resto non va dimenticato che alcune agenzie, in particolare la GRU, ma anche la stessa FSB sono autorizzate ad operare anche al di fuori del territorio nazionale della Federazione Russa, arrivando allo spazio ex sovietico e oltre. Infatti la GRU operò durante la guerra in Georgia nel 2008, dove il suo operato fu, però, giudicato deludente (e vani furono i tentativi dei suoi dirigenti di far ricadere la colpa sull’FSB). “La Gru svolge anche un ruolo particolarmente importante in Ucraina, nel Caucaso e in Asia centrale. Il recente conflitto in Crimea ha portato un beneficio inatteso all’agenzia, attestando la sua rilevanza e mettendo apparentemente a tacere le voci insistenti circa una sua imminente retrocessione a semplice direzione dello Stato maggiore”[16].
Negli ultimi anni infatti, le operazioni svolte dalle agenzie di sicurezza all’esterno del territorio nazionale hanno visto un notevole incremento come atto preventivo contro le possibili minacce al paese e mostrano anche come le agenzie stesse abbiano “guadagnato” spazi di manovra sempre maggiori. Questo però ha fatto sì da “portare alla luce” quelle lotte intestine che almeno fino ai primissimi anni duemila erano state circoscritte al solo territorio nazionale e a modus operandi non dissimili da quelli del KGB sovietico.

Le rivalità possono spingere le singole agenzie a compiere azioni aggressive o avventate, nel tentativo di compiacere il Cremlino. È questa una controversa spiegazione dell’assassinio a Londra, nel 2006, del disertore dell’Fsb Aleksandr Litvinenko, tanto per citare un esempio.[17]

O il recentissimo caso (2018), avvenuto sempre nel Regno Unito, dove l’ex talpa dell’MI6 all’interno del GRU (il servizio segreto militare russo) Sergej Skripal e la figlia Julija sono stati vittime di avvelenamento doloso da gas nervino Novičok (Новичок) di uso militare. Il fatto ha raggelato i rapporti tra Regno Unito e Federazione Russa e ha messo in risalto il modus operandi aggressivo delle agenzie di quest’ultima anche in territorio straniero, con conseguenze diplomatiche considerevoli.

The UK has found its relationship with Russia spiralling into crisis in the wake of an attack in Salisbury last week, apparently authorised by the Kremlin, on a former Russian spy Sergei Skripal and his daughter Yulia, also affecting a police officer who went to their aid. The use of a military grade nerve agent was referred to by Theresa May in the House of Commons on Wednesday as “an unlawful use of force by the Russian State on the United Kingdom”[18].

In questo clima da Guerra Fredda le operazioni delle agenzie verso l’esterno non si sono limitate però solo all’assassinio di disertori e traditori delle stesse ma anzi hanno avuto un ruolo attivo nel tentativo di espandere l’influenza economica di Mosca in Eurasia e hanno saputo sfruttare al meglio i nuovi strumenti di “guerra” quali gli attacchi informatici e le fake news per influenzare le comunità Eurasiatiche nelle loro decisioni sociali e politiche.

Il punto fondamentale è che la Russia sembra impegnata a perfezionare un modello di guerra ibrida o non lineare, il quale coniuga in modo inedito elementi militari, politici, economici e operazioni coperte, facendo leva sull’uso degli alleati, sulla manipolazione delle popolazioni locali o su attori terzi che spaziano dai pirati informatici ai mercenari, dai lobbisti ai criminali.[19]

Il ricorso alle agenzie di intelligence, del resto, è una costante nella storia Russa, i membri della polizia segreta zarista furono reclutati nella Čeka dei Bolscevichi, e il KGB e i suoi membri semplicemente e in gran parte divisi nelle agenzie di intelligence della Federazione Russa senza subire grossi ridimensionamenti di incarichi.

Tuttavia, alcuni elementi indicano che l’ascesa dei Siloviki non è né incontestata né irresistibile. In primo luogo, essi restano fortemente divisi e qualsiasi lotta di successione o anche un cambiamento sostanziale nella politica di Putin tendono a esacerbarne le divisioni. In fin dei conti, i Siloviki sono spesso i peggiori nemici di sé stessi.[20]

Il riarmo dell’esercito e il ruolo delle agenzie di intelligence contro le “nuove minacce”

Parallelamente al rilancio delle agenzie di intelligence avviato da Putin, un altro elemento cardine della sua strategia andava rivisitato, l’esercito regolare (compresa la marina e l’aviazione). Il mirato programma di riarmo dell’esercito (GPV-2020) della Federazione Russa ha avuto inizio negli ultimi mesi del 2010, sotto la presidenza di Dimitriy Medvedev. Il programma di riarmo doveva essere portato a termine, secondo le previsioni, entro 10 anni e la parola “mirato” precedentemente utilizzata sta ad indicare il fatto che l’esercito regolare avrebbe ricevuto delle migliorie specifiche e atte anche ad un importante ridimensionamento del suo ruolo e dei suoi canali di utilizzo portandolo da un esercito di massa, caratteristico dell’epoca sovietica e studiato per sorreggere una guerra tra grandi nazioni, ad un esercito moderno, creato per operazioni di precisione nei confronti delle nuove minacce costituite da attori non statali, coadiuvate dalle agenzie di intelligence (come la GRU e l’FSB) e un ruolo molto più difensivo del territorio nazionale.

The GPV-2020 is a 10-year program that envisages the large-scale procurement of a wide range of weapon systems to equip and modernize the Russian armed forces. It was hoped that at least 70 percent of the armed forces’ equipment would be modern by the time the GPV was completed.2 In 2010, the share of modern equipment was said to be just 15 percent.[21]

Nei primi anni del programma i progressi furono considerati soddisfacenti e grazie ai sostanziosi finanziamenti statali, tutti i rami dell’esercito iniziarono a ricevere nuovi equipaggiamenti o ammodernamenti di quelli già in uso. Del resto la strategia dell’ammodernamento è stata la spina dorsale di gran parte dell’intero progetto di riarmo grazie alla possibilità di ridurne i costi e velocizzarne i processi (infatti a causa dell’arretratezza tecnologica in alcuni settori e la lentezza del sistema industriale militare, lo sviluppo e la produzione dei caccia di quinta generazione e altri nuovi equipaggiamenti sono notevolmente in ritardo rispetto ai piani). La marina, ad esempio, ha visto un accelerazione nello sviluppo e nella produzione di nuove classi di sottomarini (alcuni progettati in epoca sovietica sul finire degli anni 80) ma a procedere più rapidamente è stato ancora una volta l’ammodernamento dei vascelli già esistenti mentre le forze navali di superficie sono state prettamente ammodernate e i nuovi progetti “messi in naftalina”. Il programma di riarmo, che è stato brevemente riassunto, esprime appieno la volontà di ridimensionare il ruolo dell’esercito, un ruolo maggiormente difensivo e molto più elastico nell’affrontare quelle che sono le nuove minacce alla sicurezza statale da parte di quelli che sono attori “non-statali”. È qui che entra in gioco il supporto che le agenzie di intelligence forniscono alle truppe regolari. Le esperienze maturate durante il periodo sovietico (in particolare in Afghanistan), la costante minaccia del terrorismo internazionale da parte dei fondamentalisti islamici e le guerre secessioniste e di indipendenza nello spazio ex sovietico dell’Europa dell’est (Georgia 1992-93/2008, Kosovo 2000 e le due guerre Cecene) hanno inflitto dure lezioni all’esercito e avevano messo in risalto non solo quelle che erano le inadeguatezze di armamenti oramai obsoleti ma anche l’obsolescenza della dottrina militare stessa.
I tempi dei grandi dispiegamenti di truppe e delle “gloriose” marce di cingolati erano e sono, a mio avviso, oramai finiti. Abbiamo visto come in quest’arco di tempo anche le agenzie di intelligence abbiano avuto dei problemi nel fornire supporto valido all’esercito, e l’esempio già citato della Georgia è lampante. “Durante la guerra in Georgia del 2008, la Gru – il cui operato fu giudicato deludente dai più – tentò di scaricare parte delle proprie responsabilità sull’Fsb, accusandolo di non aver condiviso alcune intercettazioni”[22]. Con la riforma dell’esercito e il nuovo slancio che il governo Putin ha fornito alle agenzie di intelligence il “gap” militare con il mondo occidentale sembra essere stato in parte colmato.

As a result, Russia’s armed forces are undoubtedly more capable than they were just five years ago, enabling Russia to conduct a much more muscular foreign policy than at any other point since the disintegration of the USSR. […] Its current productive capabilities mean that it has an independent defense industrial base that can produce weaponry that is of sufficient quality to support the Russian state in its pursuit of its strategic objectives, such as dominance of Russia’s “near abroad,” an ability to engage in expeditionary warfare beyond Russia’s immediate borders, and deterrence of other larger potential adversaries (e.g., NATO, China). In this respect, the performance of the OPK during the GPV2020 can be viewed as good enough to serve Russia’s wider strategic purposes and, as a result, to have been successful.[23] 

La domanda di ricerca da porsi a questo punto è: “in che modo le agenzie di intelligence sono diventate la spina dorsale non solo dell’esercito ma anche della politica estera stessa che la Federazione Russa sta perpetuando negli ultimi anni?”. Abbiamo visto come non tutte le agenzie abbiano il permesso di operare all’esterno del territorio nazionale, ma alcune come la GRU (indispensabile per fornire intelligence militare direttamente sul campo) e la “prediletta” FSB che possono non solo operare all’esterno ma anche su vari livelli, dalle operazioni segrete di spionaggio e assassinio (FSB) sino a quelle di sabotaggio e disorientamento del nemico (utilizzando anche attacchi cibernetici) hanno ricoperto un ruolo fondamentale in questa direzione. “Since Putin’s return to the presidency in 2012, though, the regime has unleashed increasingly powerful intelligence agencies in campaigns of domestic repression and external destabilisation, appearing to genuinely want to revise the structures of the international order”[24]. Questo modus operandi, in un certo senso, trova grande spazio di manovra con la nuova politica estera lanciata da Putin, che vede la Russia non solo come nuovo grande attore regionale nello scacchiere internazionale ma anche come un attore fortemente interventista anche se in maniera estremamente più mirata e defilata rispetto a quelle che erano le strategie Sovietiche. La crisi in Ucraina e la seguente annessione della Crimea alla Federazione Russa sono un primo esempio.

The GRU had penetrated Ukraine’s security structures and was deeply embedded in Crimea, home of Russia’s Black Sea Fleet. Even the Interior Ministry exerted influence over Kyiv’s law enforcement structures. […] Nonetheless, when Yanukovych fled to Russia, it was the hapless Foreign Intelligence Service that bore the brunt of Putin’s wrath, and sacrificial sackings and demotions ensued. Through deft footwork, the FSB managed to escape blame even though Colonel General Sergei Beseda, of the FSB department tasked with operations in former Soviet republics, had visited Kyiv just ten days before Yanukovych’s flight. Indeed, it used the opportunity to claim primacy over future intelligence operations in Ukraine.[25]

Il passo sopracitato, riguardante le prime importanti infiltrazioni dell’intelligence russa nel governo ucraino mette in risalto anche una importantissima questione già anticipata; nel periodo dei primi anni duemila vi fu quella che è stata chiamata una “silovik war” tra le varie agenzie di intelligence. All’epoca però il presidente Putin riuscì a sfruttare al meglio la situazione di competitive intelligence (il nome dato a questo processo dagli americani) non solo per accelerare i progressi in quella che sarebbe diventata la strategia di annessione della Crimea ma anche per consolidare e accentrare ulteriormente il suo potere lasciando che le agenzie di intelligence si mettessero in competizione tra loro (una strategia non dissimile da quella utilizzata dal suo predecessore Yel’tsin all’interno della sua “famiglia” politica). In politica estera e nelle operazioni militari del Cremlino, però, a predominare è stato il ruolo svolto dalla GRU, un’agenzia, come detto, fortemente operativa e che ha dimostrato a più riprese di poter operare ad ogni livello.

Russia’s agencies regard themselves as not just sources of intelligence for decision-makers and advocates for particular policies, but also as instruments of direct action. This is especially evident within the GRU, which has established its reputation as a service willing to operate in highly unstable regions and through questionable and dangerous proxies and agents, from arms dealers such as Viktor Bout (in US prison since 2010) to the gangster warlords, militias, and mercenaries of the Donbas. As a former GRU officer put it, “not all of us were Spetsnaz, but we like to think we all are like Spetsnaz.”[26] 

Il ruolo dell’FSB invece non si è affermato, come detto, solo nel territorio nazionale, le operazioni all’esterno anzi sono aumentate e sfruttando al meglio quelli che sono i nuovi strumenti di controllo, e spionaggio di cui la Russia è stata, negli ultimi anni promulgatrice e “pioniera”; “FSB is especially involved with launching cyber attacks or commissioning them from Russian hackers”[27]. In conclusione il “nuovo” esercito che la Russia è in procinto di ultimare potrà vantare del supporto delle agenzie di intelligence come mai prima e le ultimissime strategie di politica estera Russa si stanno confermando vincenti grazie proprio all’elasticità delle operazioni fornita e garantita dall’intelligence stessa. Da tenere in conto però è comunque la nebbiosa questione politica interna; il potere che i siloviki a capo delle agenzie di sicurezza stanno guadagnando sta al momento favorendo la politica di Putin, che ha saputo sfruttare al meglio anche le lotte interne tra queste, “the agencies have prospered because – and when – they are useful to the Kremlin. Putin funds the FSB lavishly because he wants an instrument of political control, not because they control him or he fears them. He supports the Foreign Intelligence Service and GRU because he wants intelligence information and “left hand” covert operations”[28]. Negli ultimi, anni però, la crisi economica del paese e i principi di contestazioni politiche al regime di Putin hanno fatto sì da rendere meno stabile la posizione del presidente agli occhi dei siloviki, la qual cosa ha spinto proprio alla fondazione della già citata Guardia Nazionale. In questo clima, seppur come detto “nebbioso” e non ben definito, il bisogno di Putin dei servigi delle agenzie di intelligence e sicurezza è accresciuto per consolidare la sua posizione perpetuando la sua politica di “proiezione verso l’esterno” dei problemi, ma anche dei grandi trionfi.

As Putin loses his old basis for legitimacy – his capacity to guarantee steadily improving standards of living – he is seeking to shore up his position with a narrative of foreign threats and external triumphs. The agencies play a crucial role not just in supporting the narrative but also in conducting operations against enemies of the state, both real and constructed. Counterterrorism has long been a priority across the services and is often conducted abroad, from monitoring and if need be eliminating ringleaders and supporters, through to interdicting sources of finance and recruits.[29] 

 A questo proposito, dopo la questione Ucraina, la crisi siriana accorsa nel periodo 2011/12 ha risposto perfettamente alle necessità del Cremlino per perpetuare questa strategia e infatti la Russia è stata il primo paese estero ad intervenire direttamente nella questione della guerra civile siriana mettendo in campo tutte le nuove tattiche e i nuovi modus operandi che abbiamo sin qui illustrato. In particolare va riportato l’utilizzo di agenzie di contractors, assoldati dalle agenzie di intelligence e per estensione dal Cremlino per portare a termine tutta una vasta gamma di operazioni terrestri per perseguire gli obiettivi tattici designati che avrebbero richiesto, altrimenti, un più vistoso e dispendioso utilizzo dell’esercito regolare. Nel 2018 in particolare un gruppo di contractors (conosciuto come Wagner Group) sembrava aver raggiunto un’influenza significativa sul Cremlino e su Putin stesso grazie alla figura di “Yevgeny Prigozhin, a man referred to as President Vladimir Putin’s “chef” who is believed to lead Wagner”.[30] Questo gruppo di contractors, composto da un effettivo di circa 5mila uomini ed equipaggiato  con armamenti e mezzi moderni dell’esercito russo regolare nel periodo 2017-2018 era non solo considerato il più affidabile dalle agenzie di intelligence come il GRU e dal Cremlino stesso ma anche il più dispiegato in diversi teatri operativi, in primis quello ucraino e quello siriano ma anche in Africa centrale e Sud America con missioni atte a destabilizzare ancor di più quelle zone favorendo gli interessi della Federazione Russa. Ufficialmente questi “gruppi” sono illegali secondo le leggi russe, come anche le loro operazioni sul campo e non godono di alcuna protezione o legame diplomatico. Questa particolare condizione aveva giocato a favore delle agenzie di intelligence russe e i contractors (in particolare quelli del gruppo Wagner) si erano dimostrati affidabili per perseguire gli obiettivi assegnati.

Born out of a need for plausible deniability in Moscow’s military operations abroad, Wagner contractors were at the forefront of some of the heaviest fighting in eastern Ukraine and Syria in recent years before exploding into the headlines with their brazen assault on a U.S. military position in northeast Syria in February 2018. Wagner seemed to herald a new reality, one in which it would form the spearhead of an aggressive new Russian policy abroad. But Wagner may be less influential than it seems.[31]

Conclusioni

In questo percorso, iniziato con quello che è il significato storico-politico della parola siloviki, ampliato nelle sue diramazioni e sfaccettature sino ad arrivare al potere e all’utilizzo delle agenzie di intelligence della Federazione Russa, gestite da siloviki e “nate” da quello che era il servizio segreto sovietico (KGB), abbiamo largamente fatto riferimento alla figura del presidente Vladimir Putin, al suo background e alla “storia” del suo potere.
Potere che ad oggi, nonostante i vistosi tentativi di copertura già citati, non sembra più essere “quello di una volta”. Come già accennato, il presidente Putin sin dagli inizi del suo primo mandato ha dovuto affrontare numerosissime sfide interne alla sua amministrazione e che spesso hanno riguardato proprio i siloviki scelti da quest’ultimo per affiancarlo nella leadership del paese.
Le guerre interne tra le varie agenzie di intelligence e di cui noi abbiamo osservato solo la parte più “vistosa” sono un esempio, ma sicuramente non un esempio di minaccia diretta al potere di Putin poiché in quell’occasione dimostrarono non solo la loro dipendenza dalle decisioni di quest’ultimo ma anche il fatto che nessuna agenzia singolarmente poteva essere una minaccia al potere del presidente, in accordo con le parole di Galeotti tratte dal suo paper scritto per l’ECFR:

The paper rejects the widely held belief that the intelligence agencies are the power behind the throne in Moscow. Their lack of unity and common goals, and their dependence on Putin, mean that they should be considered as merely another branch of the elite. Meanwhile, the highly personalised systems for evaluating intelligence and transmitting it to the president damage its quality and impact on policy. While the agencies should by no means be discounted, what emerges is that for all their apparent effectiveness, they have serious weaknesses. Unlike the hydra with its single controlling intellect, the agencies are often divided, competitive, and poorly tasked. They are certainly not in charge of the Kremlin, but nor is the Kremlin wholly adept at managing them.[32] 

Dunque, secondo la tesi di Galeotti, è impossibile al momento che le agenzie di intelligence e i siloviki al loro comando siano una reale minaccia per il potere presidenziale, ma dal testo sopracitato si evince una problematica derivante da questo non secondaria e forse altrettanto pericolosa per Putin e la sua amministrazione. Il tentativo di ottenere supporto e mettersi in mostra al di sopra dei “concorrenti” agli occhi del presidente è spesso la causa della scarsezza della qualità delle stesse informazioni trasmesse e per estensione questo causa un danno non solo alle strategie del paese ma anche alla figura presidenziale stessa e questo è maggiormente evidente in questioni di politica estera dove gli occhi del mondo si posano in primis sulla figura di Putin (avallate anche dal fatto che l’immagine di Putin come solo uomo al comando è molto forte).
Sicuramente la situazione politica interna della Russia contemporanea è tutt’altro che stabile e probabilmente è la figura stessa di Putin a essere diventata indispensabile nel ruolo di “pacificatore” di queste lotte intestine altrimenti molto più vistose e probabilmente cruente visto il potere non solo politico ma anche militare di alcuni attori quali le agenzie di intelligence dei siloviki, dotate di truppe e mezzi rispondenti direttamente alle proprie direzioni e ministeri. A mio avviso però la Russia nel corso dell’ultimo secolo e anche prima ha vissuto momenti particolarmente bui e drammatici e ben conosce il costo di grandi e cruenti sconvolgimenti politici. In conclusione e in accordo con le parole di Robert Service su quello che è stato il tortuoso percorso della Russia: “La Russia ha tratto insegnamento dalle esperienze di un cambiamento che non fosse pacifico e graduale: ha un’acuta memoria della guerra civile, della guerra mondiale, della dittatura e dell’intolleranza ideologica. […] diventò e poi cessò di essere una superpotenza. Era stata un impero in larga misura agricolo e analfabeta e oggi è istruita, industriale e privata dei suoi domini di confine. La «Russia» non ha smesso di cambiare per tutto il secolo.”[33]
Questo cambiamento è incontrovertibilmente tuttora in “corso d’opera” e non accenna a fermarsi. La Federazione Russa è a mio avviso, una giovanissima nazione “millenaria”, con molto ancora da dimostrare.


Note

[1] M. Galeotti, In Russia comandano i siloviki, Limes, luglio 08, 2014, cit., p. 1

[2] B. Renz, “Putin’s Militocracy? An Alternative Interpretation of Siloviki in Contemporary Russian Politics”, Europe-Asia Studies, Vol. 58, No. 6, September 2006, 903

[3] Ivi., p. 904

[4] Ivi., p. 905

[5] Ivi., p. 906

[6] Ivi., p. 907

[7] Ivi., p. 910

[8] Ivi., p. 913

[9] Ibidem

[10] Ibidem

[11] M. Galeotti, In Russia comandano i siloviki, Limes, luglio 08, 2014, cit., p. 6

[12] M. Galeotti, In Russia comandano i siloviki, Limes, luglio 08, 2014, cit., p. 3

[13] M. Galeotti, Putin’s Hydra: Inside Russia’s Intelligence Service, European Council on Foreign Relations, Maggio, 2016, cit., p. 2

[14] M. Galeotti, In Russia comandano i siloviki, Limes, luglio 08, 2014, cit., p. 6

[15] Ibidem

[16] Ivi., pp. 3-4

[17] Ivi., p. 6

[18] https://www.ecfr.eu/paris/post/affaire_skripal_le_royaume_uni_sur_un_chemin_solitaire

[19] M. Galeotti, In Russia comandano i siloviki, Limes, luglio 08, 2014, cit., p.8

[20] Ivi., p. 9

[21] R. Connolly, C. Sendstad, Russian Rearmament, Routledge 2018, cit., p.144

[22] M. Galeotti, In Russia comandano i siloviki, Limes, luglio 08, 2014, cit., p. 6

[23] R. Connolly, C. Sendstad, Russian Rearmament, cit., p.155-156

[24] M. Galeotti, Putin’s Hydra: Inside Russia’s Intelligence Service, European Council on Foreign Relations, Maggio, 2016, cit., p. 2

[25] Ivi., p. 4

[26] Ivi., p. 5

[27] Ivi., p. 7

[28] Ivi., p. 11

[29] Ivi., p. 8

[30] N. Hauer, The Rise and Fall of a Russian Mercenary Army, Foreign Policy, 6 Ottobre, 2019

[31] Ibidem

[32] M. Galeotti, Putin’s Hydra: Inside Russia’s Intelligence Service, European Council on Foreign Relations, Maggio, 2016, cit., p. 2

[33] R. Service, Storia della Russia del XX secolo, cit., pp. 576-578

BIBLIOGRAFIA

  1. Renz, “Putin’s Militocracy? An Alternative Interpretation of Siloviki in Contemporary Russian Politics”, Europe-Asia Studies, Vol. 58, No. 6, September 2006
  2. Connolly, C. Sendstad, Russian Rearmament, Routledge 2018
  3. Adamsky, Moscow’sSyria campaign, Notes de l’Ifri, luglio 2018
  4. Galeotti, Putin’s Hydra: Inside Russia’s Intelligence Service, European Council on

Foreign Relations, Maggio, 2016

  1. Service, Storia della Russia del XX secolo, ed. Riuniti, Roma, novembre 1999
  2. Bettanin, Putin e il mondo che verrà storia e politica della Russia nel nuovo contesto internazionale, ed. Viella, Roma, Marzo 2018
  3. Galeotti, In Russia comandano i siloviki, Limes, luglio 08, 2014
  4. Hauer, The Rise and Fall of a Russian Mercenary Army, Foreign Policy, 6 Ottobre, 2019

SITOGRAFIA

https://www.ecfr.eu/publications/summary/putins_hydra_inside_russias_intelligence_services

https://www.ecfr.eu/paris/post/affaire_skripal_le_royaume_uni_sur_un_chemin_solitaire

https://www.ecfr.eu/article/commentary_changing_of_the_guard_putins_law_enforcement_reforms_6084


Foto copertina: Putin. Washington Post


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