Balloons in the colors of the French flag in front of the Eiffel Tower --- Image by © Paul Hudson/fstop/Corbis

Ancora scossi dall’ultimo attentato a Parigi, i francesi oggi sono chiamati al voto per il primo turno delle presidenziali. Tali elezioni si inseriscono in una serie di appuntamenti elettorali che riguardano anche altri paesi europei: in settembre si voterà in Germania e, nello stupore di tutti, anche gli inglesi saranno chiamati alle urne il prossimo 8 giugno. Dopo la cocente delusione del quinquennio di Hollande, quello odierno è un voto che esce dagli schemi classici del bipolarismo francese: i candidati dei due maggiori partiti, Les Républicans ed il Partito Socialista, rispettivamente, François Fillon e Benoît Hamon, con molta probabilità non passeranno il primo turno. Gli scandali pubblici che hanno riguardato il primo e la sostanziale continuità con la presidenza Hollande del secondo, hanno imposto sulla scena politica l’affermazione di partiti “anti-sistema/anti-establishment”: dal Front National di Marine Le Pen, al movimento En Marche! di Emmanuel Macron, alla “sinistra radicale” di Jean-Luc Mélenchon. Per tali motivi, l’esito delle elezioni resta ancora fortemente incerto e ricco di sorprese.   

  

Il grado di incertezza dell’esito elettorale delle presidenziali francesi è senza precedenti nella storia della V Repubblica. La campagna elettorale è stata interessata da una serie di eventi politici e mediatici del tutto imprevedibili: alle primarie del centro-destra sono stati eliminati i due candidati favoriti (Sarkozy e Juppé) con la vittoria di François Fillon (dato terzo nei sondaggi); un Presidente uscente che, per la prima volta, non si ripresenta alle elezioni; gli scandali pubblici che hanno fortemente minato l’immagine del candidato del centro-destra François Fillon; i candidati (Fillon e Hamon) dei due partiti che da sempre hanno rappresentato l’alternanza di governo, hanno serie probabilità di non passare al primo turno. Tutte queste variabili fanno ritenere che la partita è ancora tutta aperta tra i quattro maggiori candidati.

Una della protagoniste indiscusse della campagna elettorale è senz’altro Marine Le Pen, leader del Front National (ad oggi primo partito in Francia). Il principale punto su cui ha fatto leva la candidata del FN è da tempo noto all’opinione pubblica: l’interpretazione delle incertezze, della rabbia e della delusione verso la politica, di un pezzo importante dei cittadini francesi, fortemente toccati dalla crisi economica del 2010-2011. Protezione dei confini e sicurezza contro flussi migratori e terrorismo, forte critica della globalizzazione (e di riflesso dei sui principali attori, le Multinazionali), volontà di abbandonare il progetto europeo (e di conseguenza di uscire dalla moneta unica attraverso un referendum), l’affermazione del modello di assimilazione come unico possibile per la Francia (a scapito di quello multiculturale), sono i principali punti programmatici del Front National. Marine Le Pen è stata inoltre molto abile nel convincere una parte importante di elettorato proveniente anche da altri orientamenti politici, temperando e ripensando ad alcune proposte fatte in passato considerate troppo radicali.

Altro candidato “anti-establishment” (o come si è presentato) è Emmanuel Macron, leader del movimento politico En Marche. Creato meno di un anno fa, tale movimento si è subito imposto sulla scena politica come soggetto di rottura rispetto agli equilibri politici preesistenti. Ex banchiere di Rothschild ed ex ministro dell’Economia di François Hollande (a proposito di rottura con l’establishment), Macron ha saputo intercettare sia le correnti riformiste della sinistra, sia gli elettori di centro-destra di tradizione gaullista, laica e popolare, delusi da Fillon. Fortemente europeista (ma critico verso la politica di austerità della Germania), i punti fondamentali del suo programma riguardano il controllo ed il taglio della spesa pubblica, gli investimenti nella formazione professionale e nella scuola, gli sgravi fiscali per imprese e famiglie, la riforma del mercato del lavoro e delle pensioni in continuità con la linea tracciata da Hollande.

François Fillon, leader dei Républicains, al contrario ha perso molto terreno in seguito agli scandali che lo hanno direttamente riguardato (impieghi fittizi della moglie, regali degli amici potenti e prestiti in denaro), inquinando l’immagine di persona rigorosa e sobria che si era ritagliato durante la campagna elettorale. Fillon ha rappresentato certamente la delusione più amara in quanti vedevano in lui la persona più adatta a ricoprire l’incarico presidenziale: una forte esperienza alle spalle come Primo Ministro e Ministro; una solida conoscenza dei meccanismi statali; l’abile gestione di molti dossier di politica interna ed internazionale. Promotore di un programma di radicale riassetto dello Stato, egli propone la soppressione di 500.000 impieghi nella pubblica amministrazione, un aumento del tempo di lavoro (il superamento delle 35 ore), una “rinascita” dell’identità nazionale nella scuola e nella società (dice di voler combattere le nuove forme di comunitarismo nate in Francia in seno alla comunità musulmana a danno della Repubblica), la riapertura del dialogo con le grandi potenze (Russia inclusa) nella lotta al terrorismo internazionale.

Altro leader che, con stupore di tutti, è riuscito ad affermarsi nell’arena politica, è Jean-Luc Mélenchon (attualmente al 20%). Molto popolare tra i giovani, gli operai e gli ecologisti, il suo programma riprende i temi tipici della sinistra socialista e dei verdi: imposizione fiscale ricentrata sui più ricchi e sulle imprese, contrasto della precarizzazione nel mercato del lavoro, forte critica sulla politica di austerity perpetrata dall’Europa (con la proposizione di un referendum sull’uscita dall’UE), la c.d. “economia del mare” (a fianco dell’economia “verde”).

Tale quadro è complicato anche dalle imminenti elezioni legislative, due settimane dopo le presidenziali. I candidati alla presidenza capaci di poter ottenere una maggioranza in parlamento sono pochi. Il candidato che sicuramente potrebbe ottenerla è il solo Fillon. Più difficile che ciò avvenga per Macron (costretto, data la situazione nella quale versa il PS, ad una coabitazione con un Primo Ministro scelto dai Républicans), e decisamente impossibile per Mélenchon e Le Pen.