La transizione energetica: il punto in Asia Centrale

[vc_btn title=”Ascolta il Podcst” color=”primary” size=”lg” css_animation=”bounceIn” link=”url:https%3A%2F%2Fanchor.fm%2Fopiniojuris%2Fepisodes%2FLa-transizione-energetica-il-punto-in-Asia-Centrale-e1ablpo|||”]

Al di là dei maggiori importatori ed esportatori di energia fossile, l’Asia Centrale è senza dubbio una leva nella transizione ecologica globale. Il Turkmenistan ricava la totalità della sua energia da gas e petrolio, e Tagikistan, Uzbekistan e Kazakhstan si collocano fra il 97 e il 96%.  In più, I cinque “Stan” nell’insieme costituiscono una delle regioni con più scarsa efficienza energetica.


Il settore petrolifero domina la struttura dell’export kazako, ma proprio l’eccessiva volatilità del prezzo degli idrocarburi degli ultimi anni ha indotto le autorità a mobilitare il Paese verso un’economia a “zero carbonio”,  attraverso l’incremento della quota di gas sul totale della produzione, lo sviluppo di biometano, la realizzazione di bioraffinerie e lo sviluppo di idrogeno blu e verde.
Turkmenistan e Uzbekistan sono i principali produttori di gas metano della regione. Il primo ha iniziato un allontanamento dai gasdotti russi della Gazprom nel 2015, attraverso il TAPI, che rifornirà per circa 30 anni Afghanistan, Pakistan e India.
Tuttavia, queste misure sono per definizione incompatibili con la decarbonizzazione in quanto basate su energia fossile.
In Kirghizistan, per caratteristiche naturali, l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili supera il 92%. Tuttavia, proprio con l’aumento della variabilità dei flussi d’acqua a causa dello scioglimento dei ghiacciai, si verificano sempre più frequenti interruzioni nella generazione di energia negli impianti idroelettrici.
Il volume dei ghiacciai del Tagikistan che costituiscono il 60% delle risorse idriche di tuta l’asia centrale, è più che dimezzato e 1000 ghiacciai sono già completamente sciolti. L’acqua si candida a diventare catalizzatrice di tensioni lungo le frontiere, come è accaduto anche recentemente tra Tajikistan e Kirghizistan.
L’Unione Europea aveva lanciato nel 2016 WECOOP2, un programma finalizzato a rafforzare il dialogo circa lo sviluppo sostenibile tra i partner dell’Asia centrale e a facilitare la loro cooperazione con l’UE, ponendo al centro la gestione multilaterale delle risorse, specie quelle idriche. Ma anche superando ogni prospettiva retorica e adottando le lenti europee rivolte alla diversificazione delle importazioni rispetto alla Russia, da cui ricava più del 40% del fabbisogno energetico, i progetti odierni non sembrano essere sufficienti.