Nella scorsa parte[1] si è cercato di tratteggiare la storia delle truppe di élite, guardie di sovrani ed imperatori, dalla più remota antichità fino all’epoca romana; in questa ripercorreremo le vicende dall’evo tardo antico all’epoca moderna, analizzando brevemente quelle formazioni militari che più si avvicinano, per brama, cieca fedeltà e addestramento militare, alla nostra idea di pretoriani.
Le Scholae Palatinae, gli eredi dei pretoriani nell’epoca di Costantino il Vincitore[2]
“I soldati delle scholae palatinae, scelti tra i migliori e più valorosi, furono creati per la difesa dell’imperatore e della corte, mantenendo un costante presidio nelle città principali dell’impero e garantendo la sicurezza dell’imperatore stesso [3]”, così Ammiano Marcellino, lo storico dell’età di Giuliano Imperatore, descriveva le scholae palatinae, nate con la recente riforma militare ed amministrativa effettuata da Costatino il Vincitore.
Il corpo dei pretoriani si era estremamente compromesso dopo la battaglia di Ponte Milvio[4], dopo aver parteggiato per Massenzio, che, comunque, rimaneva un imperatore legittimo, sarebbe diventato un tyrannus, un usurpatore, solo dopo la vittoria di Costatino I; per questo il nuovo, unico, imperatore necessitava di un nuovo corpo di élite, che fosse fedele ed estremamente preparato. Nel 312, nacquero così le Scholae che servivano nel palazzo imperiale, per questo motivo venivano definite palatinae, composte dai migliori soldati dell’impero; questo corpo militare d’élite era diviso in unità, definite scholae, composte da circa cinquecento effettivi, comandante da un tribuno.
Erano dislocate nelle maggiori città dell’impero, in particolare nelle residenze imperiali, come Ravenna, Treviri e Costantinopoli; il loro armamento, il loro addestramento e l’estrema fedeltà alla dinastia costantiniana[5] li rendevano una forza esternamente professionale, il simbolo del potere e dell’autorità imperiale.
“Scholares palatini, qui ex ipsius imperatoris corpore sunt electi, cunctis honoribus ac privilegiis fruantur, quae divalibus sanctionibus fuerunt indulta”[6], con questa legge dell’età di Costantino, inserita nel Codice di Teodosio del V secolo, definiva l’alto status delle scholae, che di fatto ereditavano molti dei privilegi dei pretoriani.
Il loro compito principale era la protezione personale dell’imperatore e della sua famiglia, spesso però rivestivano il ruolo di semplici truppe da parata, intervenendo in occasioni ufficiali, come trionfi, cerimonie religiose e missioni diplomatiche.
Si distinguevano però anche in battaglia, la loro presenze nelle campagne militari, spesso a fianco dell’imperatore, aveva un forte impatto psicologico sul nemico ma anche sui commilitoni; presumiamo che durante l’epoca di Giustiniano I, VI secolo d.c., le scholae abbiano partecipato alle campagne dell’imperatore durante la sua restitutio Imperii, in Italia[7], Africa[8] e Persia.
Con il declino dell’impero romano d’Occidente le scholae persero gradualmente la loro importanza, venendo relegate, per l’oriente, a semplici compiti di rappresentanza, in attesa della comparsa sulla scena degli arabi mussulmani e delle riforme dell’imperatore Eraclio.
Le Haras, le guardie dei califfi arabi mussulmani.
“Leone di San Marco, leone del profeta
Ad est di Creta corre il tuo Vangelo
Si staglia contro il cielo il tuo simbolo strano
La spada, e non il libro, hai nella mano”[9],
Questo deve essere stato il sentimento degli uomini del VII secolo, che videro apparire sul teatro della storia gli arabi mussulmani e la loro nuova religione, che spazzò via le ultime vestigia dell’età antica del Mediterraneo.
Il concetto di haras, compare già nell’epoca preislamica, jāhiliyya[10], l’epoca degli idoli, costoro erano delle guardie assoldate e stipendiate dai grandi carovanieri dell’Arabia per proteggere i propri averi dalle incursioni e dalle razzie delle tribù vicine.
Anche il profeta Maometto, in particolare durante la Ghazwat Badr[11], la battaglia di Badr[12], godette della protezione di questa unità, di cui fecero parte illustri personaggi della storia dell’islam, come il primo califfo Abd Allah ibn Abi Quhafa, conosciuto come Abu Bakr.
Durante i raid arabi nella Siria bizantina[13], Usāma ibn Zayd ibn Ḥāritha al-Kalbī, uno dei primi compagni del profeta, guidò le haras lungo il Giordano, nella spedizione di Balqas[14], razzia che mostrò tutta la debolezza delle forze bizantine e che aprì le porte alla conquista araba di Siria, Palestina ed Egitto.
Con la nascita del califfato dinastico, quello degli ommayyadi (661 d.c.)[15] questi bodyguards divennero la norma, attirando sotto i propri stendardi greci rinnegati, persiani e anche cavalieri della steppa; si racconta che il primo califfo ommayyade, Muʿāwiya ibn Abī Sufyān, dopo un tentativo di assassinio rese ufficiale l’istituzione delle haras[16], rette da un capo che doveva essere leale al califfo, avere doti amministrative e sopratutto capacità militari. Come detto sopra queste unità erano composte da non arabi, dai mawali, ex schiavi o figli di schiavi, spesso greci, persiani, nubiani e anche turchi.
Ogni unità era composta da circa trecento individui che arrivarono a cinquecento sotto il regno di Abū ʿAbd Allāh Muḥammad ibn ʿAbd Allāh al-Mahd (745-785 d.c.)[17]. Erano armati con piccole lance e mazze chiamate ‘umud, mentre i capi calzavano alla cintura la scimitarra.
Le haras furono la base di potere di quelli che saranno i mamelucchi[18], schiavi addestrati al servizio militare, di origine principalmente asiatica e dalle montagne del Caucaso, che nel XIV secolo diventarono così potenti da fondare un proprio sultanato in Egitto, scalzando la dinastia ayyubide, fondata da Saladino[19].
Le sacre guardie di Palazzo a Costantinopoli, gli Immortali e i “Portatori d’ascia”.
Dall’altro lato della frontiera, nella parte di mondo occupata dall’impero Romano d’Oriente, o almeno quello che ne rimaneva dopo la sfolgorante avanzata araba del VII secolo, la paranoia degli imperatori, assisi sui loro troni dorati, adorni di congegni meccanici[20], non si era spenta.
Accanto alle scholae, sorsero gli ἐξκουβίτορες o ἐξκούβιτοι, dal latino excubitores, cioè quelli fuori dal letto, guardie preposte alle uscite delle camere imperiali, nei recessi del Palazzo, che veniva definito sacrum, sacro.
All’epoca dell’imperatore Leone I il Trace c’erano trecento excubitores reclutati fra gli isauri, una popolazione semibarbara dell’interno dell’Asia Minore[21].
Nell’VIII secolo queste guardie raggiunsero gli effettivi di ottocento uomini armati comandati da un Domestico[22], divenendo alla fine del secolo uno dei tagmata, cioè uno dei tanti eserciti professionali della Bisanzio Medievale, finendo per avere parte attiva nelle campagne militari contro gli arabi.
Durante la crisi iconoclasta[23], gli excubitores, ciecamente ed ossessivamente fedeli agli imperatori, parteggiarono per la distruzione delle immagini; con la fine dell’iconoclastia mel 786, ad opera dell’imperatrice Irene, quasi l’intero corpo delle guardie, circa millecinquento persone, fu esiliata dal palazzo e relegata in avamposti di confine[24].
Gli excubitores scompaiono dalla scena politica, o perlomeno, perdono quasi tutto il loro potere, dopo la sconfitta di Pliska, nell’811, quando le truppe bulgare del khan Krum annientano un esercito imperiale uccidendo anche l’imperatore Niceforo I Logoteta.
Nel 972, l’imperatore guerriero Giovanni I Zimisce ricostituì gli Immortali, imitando i persiani achemenidi. Gli Ἀθάνατοι/ Athanatoi,[25] una unità di lancieri, che attorniava l’imperatore nel fitto della battaglia, ebbero il loro battesimo del fuoco durante la guerra contro i Rus di Kiev, espugnando Dorostopol, la moderna Silistra in Bulgaria.
Dopo aver piegato il collo dei Rus, moltissimi di questi predoni del nord dai capelli fulvi, ammirati dal valore dei greci e del loro imperatore guerriero, decisero di provare la fortuna mettendosi al servizio degli imperatori. Nacque così quella che è conosciuta oggi come Guardia Varangiana, ma che i bizantini conoscevano come Τάγμα τῶν Βαράνγων/Tágma tōn Varángōn o pelechoforos, i portatori d’ascia.
Composti inizialmente da Vareghi, i normanni che andarono ad insediarsi nelle steppe ucraine e russe, con il tempo furono gradualmente sostituiti da normanni della Scandinavia e dagli anglosassoni dell’Inghilterra[26].
Estremamente fedeli agli imperatori, nonostante il noto carattere infido degli uomini del nord, resero un servizio non indifferente all’impero, annoverando anche personalità di spicco, come il futuro re di Norvegia Harald Sigurdsson (1015-1066).
Un brillante intellettuale bizantino dell’IX secolo, nonché navigato uomo di corte, Michele Psello, chiama queste truppe come pelekyphoroi barbaroi, barbari portatori d’ascia.
Li ritroviamo ancora durante la Quarta Crociata, l’infame spedizione guidata dai veneziani che portò alla caduta della Città, nel 1204; la Guardia Varangiana si battè con coraggio contro gli assalitori latini ( veneziani e crociati francesi), venendo però alla fine sopraffatta e segnando così il suo tramonto.
I giannizzeri, una nuova casta di schiavi guerrieri, al soldo dei sultani ottomani.
Mentre quanto rimaneva di Roma e del suo impero crollava sotto i colpi implacabili dei turchi, sorsero i Giannizzeri (in turco, Yeniçeri ossia nuova milizia), erano il corpo d’élite dell’esercito ottomano, attivo dal XIV secolo fino alla loro dissoluzione nel 1826[27].
Fondati dal sultano Murad I nel 1363, essi svolsero un ruolo cruciale nell’espansione dell’Impero Ottomano e nel mantenimento dell’ordine interno.
Il loro reclutamento avveniva grazie ad un sistema noto come devşirme, ovvero raccolta, attraverso il quale i ragazzi cristiani provenienti dai territori conquistati venivano prelevati dalle loro famiglie, convertiti all’Islam e addestrati come soldati al servizio esclusivo del sultano.
Questo sistema contribuiva a creare un esercito leale e altamente disciplinato, formato da soldati che non avevano legami con le élite turche preesistenti, il che garantiva una fedeltà incondizionata al sovrano.
I Giannizzeri divennero presto noti per la loro abilità nel combattimento e la loro disciplina ferrea. Addestrati sin dalla giovane età, ricevevano un’istruzione militare e religiosa rigorosa, che li preparava a diventare guerrieri d’élite. Indossavano uniformi distintive, con copricapi specifici che simboleggiavano il loro status, ed erano equipaggiati con armi all’avanguardia per l’epoca, come archi composti, spade ricurve e, successivamente, armi da fuoco.
La loro organizzazione militare era altamente strutturata e disciplinata, e i Giannizzeri svolgevano un ruolo fondamentale in molte delle principali vittorie ottomane, tra cui la conquista di Costantinopoli nel 1453[28] .
Nonostante il loro successo militare, col passare del tempo, i Giannizzeri iniziarono a perdere il loro carattere d’élite e a diventare sempre più coinvolti nella politica interna dell’Impero Ottomano, confermando il detto che niente di nuovo c’è sotto il sole, finendo per assomigliare ai loro predecessori pretoriani.
Nel corso del XVII e XVIII secolo, i Giannizzeri acquisirono un notevole potere politico, influenzando la nomina dei sultani e diventando una forza conservatrice all’interno dell’impero. Questo portò a frequenti tensioni con il sultano e altre fazioni della corte.
Alla fine, il loro crescente potere e il loro declino come forza militare d’élite portarono alla loro soppressione. Nel 1826, il sultano Mahmud II, nel tentativo di modernizzare l’esercito ottomano, ordinò lo scioglimento dei Giannizzeri in un evento noto come “Il massacro dei Giannizzeri” o “Il fortunato incidente” (Vaka-i Hayriye), ponendo fine a secoli di influenza di questo corpo militare all’interno dell’Impero Ottomano.
I Fedayyin di Saddam Hussein, la guardia nell’ombra del rais dei due Fiumi.
Secoli dopo Bisanzio, dopo i grandi califfi arabi e la Sublime Porta, in quella che era l’antica Mesopotamia, sorsero nuovi uomini armati, devoti esclusivamente al loro signore, sono i Fidāʾīyū Ṣaddām, i “Devoti di Saddam”.
Fondati nel 1995, quando l’Iraq era sotto la stretta morsa delle sanzioni internazionali, in un momento in cui Saddam Hussein iniziava a sentire delle minacce al suo potere, i Fedayyin divennero un forza paramilitare speciale, indipendente dall’esercito, direttamente al soldo della famiglia del rais[29].
Mentre le forze armate irachene tradizionali si indebolivano sotto il peso delle guerre e delle sanzioni, i Fedayyin si ergevano come un baluardo di lealtà cieca e obbedienza assoluta. Erano reclutati principalmente tra i giovani Baathisti, spesso scelti per la loro ferocia e fanatismo piuttosto che per abilità militari; venivano addestrati con metodi brutali e inculcati di un fervente culto della personalità di Saddam[30].
Fedayyin erano quei “guardiani invisibili[31]” che apparivano e scomparivano come spettri, seminando terrore e mantenendo l’ordine voluto dal regime. Armati fino ai denti, spesso vestiti di nero, erano noti per la loro crudeltà senza pari. Rapimenti, torture e esecuzioni sommarie erano all’ordine del giorno, usati come strumenti per soffocare qualsiasi dissenso o sospetto di tradimento.
Il loro potere andava oltre le operazioni militari tradizionali. Erano maestri della propaganda, spesso coinvolti in operazioni psicologiche volte a diffondere la paura e a glorificare l’immagine di Saddam. La loro presenza non era solo una minaccia fisica, ma anche psicologica: un avvertimento costante che la disobbedienza sarebbe stata punita con la morte. Le strade irachene erano piene di manifesti che ritraevano Saddam come un guerriero invincibile, come un sovrano babilonese, e i Fedayyin come suoi angeli della morte, pronti a difenderlo a qualsiasi costo.
Con l’invasione dell’Iraq da parte delle forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003, i Fedayyin di Saddam si trasformarono in guerriglieri, lottando disperatamente per difendere il regime ormai in declino. Nonostante la loro reputazione di ferocia, non furono in grado di opporsi alla schiacciante superiorità tecnologica e numerica delle truppe americane e alleate. Le loro tattiche di guerriglia, gli attentati suicidi[32] e gli agguati divennero il segno di una resistenza disperata.
Tuttavia, il vero colpo mortale per i Fedayyin venne con la caduta di Baghdad e l’arresto di Saddam Hussein. Senza il loro leader carismatico, la forza e la coesione che li aveva uniti svanirono. Quelli che non furono uccisi o catturati si dissolsero nel caos post-bellico, alcuni unendosi ad altre formazioni ribelli o sfuggendo nell’ombra.
I Fedayyin di Saddam non erano semplici soldati; erano la lama invisibile che Saddam Hussein brandiva contro il suo stesso popolo. Un simbolo di lealtà cieca e di terrore senza confini, queste forze paramilitari hanno giocato un ruolo cruciale nella sopravvivenza del regime di Saddam fino alla sua inevitabile caduta. Ma la loro storia è anche un monito: il potere ottenuto attraverso la paura e la violenza non può durare per sempre. Prima o poi, ogni tiranno deve fare i conti con le ombre che ha creato.
Le Amazzoni in Libia
n un mondo dominato da immagini di forza e controllo, il leader libico Muammar Gheddafi ha catturato l’immaginazione globale non solo per la sua politica e il suo stile di leadership controversi, ma anche per la sua decisione di circondarsi di una guardia personale composta esclusivamente da donne. Queste donne, note come “Le Guardie Amazzoni” o “La Guardia Femminile di Gheddafi”, o Ar-rāhibāt ath-thawriyyāt (Le Suore della Rivoluzione)[33] erano un gruppo selezionato di guerriere addestrate, che hanno affascinato, incuriosito e talvolta scioccato il mondo occidentale con la loro presenza enigmatica.
Composta da circa 300 o 400 donne[34], questa guardia speciale era scelta personalmente da Gheddafi, basandosi su criteri rigorosi di fedeltà, coraggio e disciplina. Le donne venivano addestrate in tecniche di combattimento corpo a corpo[35], uso delle armi da fuoco e strategia militare, a livelli comparabili a quelli delle forze speciali. Indossavano uniformi di un inconfondibile blu o cachi, completate da baschi rossi, spesso armate fino ai denti.
Una delle regole fondamentali per far parte di questa élite era la promessa di castità, un giuramento di verginità che rafforzava l’idea di purezza e dedizione al leader libico, una sorta di Vestali con la sciabola. In cambio, le Amazzoni ricevevano un addestramento di alto livello, una vita di privilegio e la promessa di protezione dal leader stesso.
L’uso di una guardia femminile era un messaggio potentemente simbolico per Gheddafi. In una regione spesso caratterizzata da una forte tradizione patriarcale, l’idea di donne che svolgessero un ruolo protettivo così visibile e centrale sfidava le norme culturali e rappresentava un atto di ribellione contro gli stereotipi di genere. La presenza delle Amazzoni esprimeva anche l’ideologia del Libro Verde di Gheddafi, che promuoveva l’uguaglianza dei sessi, almeno in teoria.
Nonostante la loro visibilità e il loro status elevato, le vite delle Amazzoni erano avvolte nel mistero e spesso oggetto di speculazioni. Dopo la caduta del regime di Gheddafi nel 2011[36], alcune ex guardie hanno raccontato storie di abusi fisici e psicologici, coercizione e manipolazione. Mentre alcuni le consideravano simboli di emancipazione femminile, altri vedevano la loro presenza come una dimostrazione del potere di Gheddafi di piegare le tradizioni culturali a suo favore, anche se ciò significava esporre le donne a un ruolo pericoloso e controverso.
Queste contraddizioni alimentano ancora oggi il mito delle Amazzoni di Gheddafi. Simbolo di un’era e di un regime che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della Libia e del Medio Oriente, le guardie femminili rappresentano un punto di incontro tra immaginazione, potere e realtà brutale. L’eredità delle Amazzoni, infatti, continua a provocare discussioni, a stimolare riflessioni e a sfidare le percezioni della leadership femminile nel contesto dei conflitti e della geopolitica contemporanea.
Nei giorni successivi alla guerra civile libica, che portò alla “detronizzazione” di Gheddafi, si venne a sapere, da fonti rivoluzionarie, perciò ostili al vecchio “Leader Fraterno della Rivoluzione”, che diverse Amazzoni, negli anni avevano subito violenze sessuali sia da Gheddafi sia dai suoi figli.
Delle Ar-rāhibāt ath-thawriyyāt, dopo la fine del potere di Gheddafi, non se ne è saputo più nulla, molte sono fuggite dandosi alla macchia, altre sono state giustiziate dal nuovo governo mentre alcuni, pare, si siano unite alle forze rivoluzionarie[37].
La storia della Guardia Femminile di Gheddafi è un mosaico complesso di realtà e leggenda, che continua ad affascinare per la sua unicità. Le Amazzoni erano più di semplici guardie del corpo: erano simboli viventi di un regime, rappresentazioni di ideali e strumenti di propaganda. Il loro mito persiste come un ricordo di un’epoca in cui il potere e l’immaginazione si mescolavano in modi che il mondo non aveva mai visto prima, che le primavere arabe hanno spazzato via completamente.
Conclusione
In conclusione delle forze armate al proprio servizio, fuori da qualsivoglia giuramento di fedeltà ad uno stato o ad un’entità statale ben riconosciuta, rappresentano un fenomeno che attraversa culture, epoche ed ideologie differenti, rimanendo sempre uguale sè e sempre.
La Federal’naja služba vojsk nacional’noj gvardii Rossijskoj Federacii[38], la cosiddetta Rosgvardia, che fa risalire la propria fondazione allo zar Alessandro I, colui che sconfisse Napoleone, sebbene formalmente abbia giurato fedeltà alla Federazione Russa, essa de facto è un corpo di bucellari[39] al soldo dello zar Vladimir Putin.
Di habitus affine, sempre in campo slavo, si potrebbe citare il Gruppa Vagnera[40], di cui oggi, dopo la Marcia della Giustizia[41] dei loro fondatori, Evgenij Viktorovič Prigožin e Dmitrij Valer’evič Utkin, rimane solo una pallida ombra, o i Corpi Slavoni[42], l’embrione dei Wagner, che nacquero come milizia privata di un ricco ed ancora ignoto magnate siriano[43].
Infine una piccola menzione tocca anche al corpo armato dell’ultimo stato teocratico in Europa, lo Stato del Vaticano, la cosiddetta Cohors Pedestris Helvetiorum a Sacra Custodia Pontificis o Guardia Svizzera creata nel 1506, mentre l’Italia era incendiata dalle Guerre d’Italia[44], che ancora oggi difende il successore di Pietro.
La Guardia, dopo il tentativo di assassinio di Giovanni Paolo II, nel 1981, assunse un notevole rilievo, divenendo nuovamente le uniche e vere guardie del corpo del pontefice[45].
Queste forze, pur variando per formazione e scopo, condividono un elemento comune: incarnano la linea di difesa più vicina e personale per i leader, fungendo da simbolo di potere e di controllo, ma anche in un certo senso, il suo contrario, cioè come riflesso delle paure e delle vulnerabilità di chi detiene il potere.
Note
[1]https://www.opiniojuris.it/opinio/i-custodi-del-potere-personale-dai-pretoriani-ai-fedaykin/.
[2] Costantino il Vincitore, Alessandro Barbero, Salerno Editrice, 2016.
[3] Res Gesate, XV, 5, 25, Ammiano Marcellino, a cura di Antonio Stern, Utet, 2014.
[4] Storia Nuova, II, 15, 1, Zosimo, a cura di Fabrizio Conca, Milano, Rusconi, 1977.
[5] R.I. Frank, Scholae Palatinae. The Palace Guards of the Later Roman Empire Rome, 1969.
[6]”I membri delle Scholae Palatinae, che sono stati scelti personalmente dall’imperatore, godano di tutti gli onori e privilegi che sono stati concessi dalle leggi imperiali”, Codice Teodosiano, VI, 24, 4.
[7] De Magistratibus, Giovanni Lido, I, 27.
[8] Bellum Vandalicum, Procopio di Cesarea, I, 11, 4-7.
[9] Dalla canzone Asia, di Francesco Guccini.
[10] Robert G. Hoyland, Arabia and the Arabs – From the Bronze Age to the coming of Islam, Londra e New York, Routledge, 2001.
[11] https://www.islamweb.net/en/article/187318/
[12] Leone Caetani, Annali dell’Islām, 10 voll., Milano-Roma, Hœpli-Fondazione Caetani della Reale Accademia dei Lincei, 1905-1926.
[13]Ibn Jarir at-Tabari, Muhammad. The History of Al-Tabari Vol. 10 The Conquest of Arabia: The Riddah Wars A.D. 632-633/A.H. 11 (Fred Donner Translation ed.). State University of New York Press. Retrieved 14 October 2021.
[14] Gil, Moshe. A History of Palestine, 634–1099. Translated by Ethel Broido. Cambridge: Cambridge University Press.1997 [1983]
[15]Perlman Yaara “The Bodyguard of the Caliphs During the Umayyad and the Early Abbasid Periods”. Al-Qanṭara. 36 (2): 315–340. 2015
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18]Pipes Daniel. Slave Soldiers and Islam The Genesis of a Military System; al Maqrizi; Mawaiz. Yale University Press.1981
[19] https://books.google.it/books?id=WoPF9T4ZiWsC&pg=PA32&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false
[20] Come ci racconta lo storico occidentale Liutprando di Cremona, 920-971, quando andò in ambasceria a Costantinopoli per conto dell’imperatore germanico Ottone I.
[21] Brian Croke, Leo I and the palace guard, in Byzantion, vol. 75, Peeters Publishers, 2005, pp. 117-151.
[22]Warren Treadgold, A History of the Byzantine State and Society, Stanford, California, Stanford University Press, 1997.
[23] Mark Whittow, The Making of Byzantium, 600–1025, Berkeley and Los Angeles, California, University of California Press, 1996
[24] Ibidem.
[25] Kazhdan, Alexander (1991). “Athanatoi”. In Kazhdan, Alexander (ed.). The Oxford Dictionary of Byzantium. Oxford and New York: Oxford University Press. p. 220. [26]Theotokis Georgios. “Rus, Varangian and Frankish Mercenaries in the Service of the Byzantine Emperors (9th–11th c.). Numbers, Organisation and Battle Tactics in the operational theatres of Asia Minor and the Balkans”. Byzantine Symmeikta, vol. 22, Athens: 2012.
[27] Jean-Paul Roux, Storia dei Turchi. Duemila anni dal Pacifico al Mediterraneo, traduzione di Barbara Besi Ellena, Milano, Garzanti, 1988.
[28] Nicolle, David. The Janissaries. Osprey Publishing, 1995.
[29]https://www.abc.es/opinion/abci-fedayines-sadam-200303300300-171123_noticia.html.
[30]https://archive.nytimes.com/www.nytimes.com/cfr/international/backgroundiraq2032503.html.
[31]https://ghostarchive.org/archive/owwwR.
[32]https://www.gettyimages.it/detail/fotografie-di-cronaca/members-of-iraqi-president-saddam-hussein-fotografie-di-cronaca/51425202?adppopup=true.
[33]https://archive.org/details/eldoradocanyonre00stan/page/19.
[34]https://www.corriere.it/sette/12_novembre_07/2012-45-bossi-fedrigotti-gheddafi_818a92c2-28f1-11e2-9e66-88ac4e174519.shtml
[35]https://www.quotidiano.net/esteri/2011/03/08/470576-fine_hanno_fatto_amazzoni_gheddafi.shtml [36]https://www.washingtonpost.com/blogs/blogpost/post/gaddafis-female-bodyguards-say-they-were-raped-abused-by-the-libyan-leader/2011/08/29/gIQA8TOKnJ_blog.html
[37]http://www.spiegel.de/international/world/0,1518,784369,00.html.
[38]https://rosguard.gov.ru/.
[39] Il termine viene dal tardo latino bucellatum, che indicava una galletta di grano che mangiavano i soldati. I bucellari indicarono, nel tardo impero romano e nel primo impero bizantino una milizia privata stipendiata da grandi nobili e ricchi latifondisti. [40]https://www.patreon.com/posts/la-compagnia-la-87073585. [41]https://www.ft.com/content/9cd09366-25db-4057-a41d-0ea04b659d97#post-afe02cd3-667f-458f-a4dd-52a3a5133bb8 [42]https://archive.today/20140826012501/http://www.companies-hongkong.com/slavonic-corps-limited-10a5v/ [43]https://archive.today/20140826012501/http://www.companies-hongkong.com/slavonic-corps-limited-10a5v/
[44] Remo Ankli: Die Schweizergarde in den Jahren vor dem Sacco di Roma (1518–1527). Eine Analyse der Briefe von Gardehauptmann Kaspar Röist an den Rat in Zürich, in: Schweizerische Zeitschrift für Religions- und Kulturgeschichte 99 (2005), S. 251-266.
[45] David Alvarez, The Pope’s Soldiers, p. 365, .
Foto copertina: Pretoriani parte 2