“Storie e frammenti di calcio sovietico e post-sovietico” a cura di Andrea Tommasi, gestore della pagina “Calcio Sovietico”, edizioni Festival delle Scoperte, è una raccolta di storie e personaggi del mondo del calcio sovietico e post-sovietico.


 

L’attrazione verso il mondo sovietico, e per la vita che scorreva al di là della “cortina di ferro”, persiste anche a trent’anni dalla crollo dell’Urss. Non sempre è una questione ideologica, né tantomeno possiamo parlare di un fenomeno paragonabile alla “nostal’gija po SSSR” che ha colpito ¾ dei russi che ritengono che l’epoca sovietica sia stato il periodo migliore nella storia del loro Paese. E’ qualcosa di diverso. Ci sono studiosi che si appassionano al filmografia, altri alla letteratura, altri alle analisi politiche e sociologiche. E poi c’è chi, come Andrea Tommasi, si appassiona allo sport e più precisamente al calcio. Ed ecco che abbiamo “Storie e frammenti di calcio sovietico e post-sovietico”, un viaggio tra aneddoti e racconti incredibili legati al mondo del calcio. Dal campione Strelsov spedito in un Gulag, al triste primato del Rakvere Tarvas, squadra estone che detiene il record negativo di punti raccolti in una stagione, 3. Dagli oligarchi nel pallone alla Dinamo del “Colonello Lobanovsky”.

Quando nasce la passione per il calcio sovietico?

L’interesse nasce tra il 2005 e il 2010 in concomitanza con i grandi risultati raggiunti dalle squadre di club dell’Est (Zenit, Shakhtar, CSKA) e della nazionale russa, senza dimenticare la figura di Shevchenko. Da due-tre anni abbiamo cominciato a seguire con più attenzione i campionati di questa zona geografica che sono un po’ meno conosciuti rispetto ai nostri.

Quale storia che troviamo nel libro è quella che più ti ha appassionato?

Escludendo quelle che ho vissuto in prima persona nei Paesi Baltici mi è piaciuto molto scrivere dello Stadio Olimpico di Baku, dal momento che forse è quella che con il calcio c’entra meno e dà uno sguardo alla situazione politica dell’Azerbaigian.

Nel libro racconta la storia dell’Anži Machačkala, squadra del Daghestan, che nel 2011 viene acquistata dal magnate del potassio Sulejman Kerimov per competere con i grandi centri di potere russo e in breve tempo riesce ad acquistare tanti giocatori importanti (Eto’o, Roberto Carlos ect). La squadra però non decolla e in breve tempo fallisce. Come valuta l’ingresso degli oligarchi nel calcio?

Dal punto di vista del tifoso o dell’appassionato ovviamente mi disgusta il fatto che dei miliardari decidano d’un tratto di cambiare gli equilibri di un campionato o di stravolgere la storia di una squadra per i propri interessi: ancora di più se ci sono ragionevoli dubbi sulla provenienza dei fondi o sulla moralità del personaggio.

Analizzando le cose con un po’ di giusto distacco mi rendo conto che l’entrata nel calcio di oligarchi, grandi gruppi industriali, addirittura di governi stranieri (pensiamo al Qatar) è assolutamente nell’ordine delle cose. Io sono dell’idea che dentro la testa di ognuno non ci siano i soldi ma il potere, e che i soldi siano un mezzo per raggiungere il potere. Di conseguenza chi dispone di riserve enormi di denaro non costruisce una piscina di monete per nuotarci dentro ma cerca in ogni modo di influenzare governi, istituzioni, persone. E il calcio, sport globale e che dà una grande risonanza alle azioni di chi lo comanda, finché manterrà questo status attirerà sempre gli Abramovič, i Berlusconi o gli emiri.

La peggior squadra della storia del campionato russo è stata lo SKA Khabarovsk, compagine dell’estremo oriente russo. Quando la distanza diventa un fattore chiave…

È un fattore chiave perché a certi livelli il costo di essere dall’altra parte del mondo è troppo alto. La percentuale che se ne va in aerei e hotel per un club dal budget ridotto è superiore alle altre, senza contare gli stipendi che devono essere più alti per giocatori a pari livello tecnico. Chi a parità di stipendio andrebbe a vivere in mezzo al nulla?

Ci può fare una breve panoramica del calcio negli – Stan dell’Asia centrale?

Il calcio in Asia Centrale sta crescendo molto: il Tagikistan ha mandato la nazionale al Mondiale Under-17 (unica post-sovietica), il Turkmenistan ha qualche buon giocatore all’estero e le squadre di tutti i Paesi partecipano sempre ai tornei asiatici, in qualche caso facendo molto bene.
Come Ilyas Zeytulaev, ex nazionale uzbeko, ai tempi ci aveva detto un grosso problema è la mancanza di competenza tattica tra gli allenatori, come credo tutti possano immaginare. A mio avviso però il problema principale è che le federazioni sono corrotte fino al midollo, al pari dei governi cui fanno a capo. Questa questione è comune a tanti paesi dell’area di cui ci occupiamo e dell’Est Europa in generale.

È un peccato perché ai centroasiatici piace molto giocare a calcio: ne ho conosciuti di persona e tutti coloro che abbiamo contattato lo confermano. Le Nazionali pur essendo non avendo tradizione sono competitive e hanno tanto talento grezzo, specialmente quella uzbeka.
Sempre a proposito dell’Uzbekistan, Shomurodov recentemente passato al Genoa è trattato in patria da semi-dio e speriamo porti molti giovani a seguire il suo esempio.

E sull’area del Caucaso?

È l’area indubbiamente con più passione e con più potenziale tra le nostre in Europa. A mio modo di vedere può diventare una piccola Penisola Balcanica calcistica se le federazioni decidono di investire in tecnici bravi anche stranieri (lo ha fatto l’Armenia con lo spagnolo Caparros, allenatore della Nazionale dopo una vita in Liga anche con Siviglia o Villarreal, e l’Azerbaigian con Gianni De Biasi).

La Nazionale georgiana e quella armena hanno fatto molto bene nelle ultime qualificazioni, speriamo proseguano su questa strada e Mkhitaryan invecchi lentamente.

Calcio e Geopolitica: il caso dello Sheriff Tiraspol e del Qarabağ

La storia dello Sheriff è tra le più assurde: una squadra di club che esiste per legittimare l’oligarchia (l’azienda Sheriff) di uno Stato di fatto (la Transnistria) che domina il campionato di uno Stato (la Moldavia) da cui si autoproclama indipendente. Non riesco a capire se dominino così tanto perché hanno i soldi e il potere ad alti livelli o perché sono l’unico club organizzato in un campionato caotico. Probabilmente entrambe. Il Qarabag è una squadra che esiste puramente per legittimare anche nel calcio (strumento di potere) l’appartenenza del Nagorno Karabakh (=Qarabag)/Artsakh all’Azerbaigian.

Una legittima una repubblica separatista, l’altra uno Stato: ma entrambe sono veicoli di potere e dominano con soldi, astuzie e know-how i rispettivi tornei. Personalmente seguire queste vicende a livello politico mi interessa molto ma a livello sportivo mi fanno perdere la passione.

Quale futuro per il movimento calcistico sovietico?

Sia a livello di Nazionali sia di club vedo i paesi centroasiatici relativamente più competitivi a livello continentale con l’Uzbekistan ai mondiali entro 2-3 edizioni; le altre, in particolar modo la Russia e l’Ucraina, in declino rispetto al resto d’Europa. Le grandi Nazionali europee avranno per almeno vent’anni da ora il vantaggio di contare su generazioni di immigrati di seconda generazione che, generalmente più poveri, crescono nei campetti: l’Est Europa al contrario si sta spopolando. Inoltre non vedo una volontà politica di far crescere il movimento che non consista in buttare vagonate di soldi in maniera estemporanea.
Nutro speranza nel Caucaso, pur sapendo che per semplice numero di abitanti e forza economica le squadre difficilmente potranno competere ai massimi livelli. Ma se la Croazia è arrivata in finale ai Mondiali…


Foto copertina: Copertina libro