Kabul è nuovamente nelle mani dei talebani. Passano gli anni, cambiano gli attori, ma la situazione è sempre la stessa.


A poche settimane dall’inizio del ritiro degli ultimi contingenti USA e NATO dall’Afghanistan, Kabul è nuovamente nelle mani dei talebani, ridiscesi dalle montagne per riprendersi il paese senza praticamente incontrare la resistenza dell’esercito regolare afghano, addestrato e finanziato dall’Occidente (Stati Uniti in testa). Venti anni di “occupazione straniera” sembrano così esser riusciti soltanto a congelare la situazione socio-politica del paese, tornata sostanzialmente uguale a quella della seconda metà degli anni ’90, quando i talebani sotto la leadership del Mullah Omar controllavano Kabul e circa il 90% del paese, mentre una parte dei mujaheddin, guidati da Ahmad Shah Massoud, resisteva nella regione nord-orientale del Panjshir formando il Fronte islamico unito per la salvezza dell’Afghanistan (Alleanza del Nord).

Ricambio generazionale

Il cambiamento più significativo di questo ventennio è stato forse il parziale ricambio generazionale che ha visto subentrare alla guida della resistenza del Panjshir (ex Alleanza del Nord) Ahmad Massoud, figlio del “Leone del Panjshir” ucciso in un attacco suicida qaidista nel 2001, e Mohammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar morto presumibilmente per tubercolosi nel 2013, alla guida dell’ala militare talebana.

L’accordo di Doha

Il recente successo dei talebani vede un passaggio fondamentale nell’accordo di Doha del 2020 quando hanno firmato un trattato di pace con gli USA di Trump, che impegnava gli americani a ritirarsi dall’Afghanistan in cambio di vaghe garanzie, puntualmente disattese dalla leadership talebana una volta ripreso possesso di gran parte del paese; firmatario dell’accordo per i talebani è stato Abdul Ghani Baradar, ex braccio destro del Mullah Omar, che insieme ad altri rappresentati dello “zoccolo duro” continua a guidare il movimento fondato più o meno ufficialmente nei primi anni ’90.


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La nascita dei Talebani e l’ascesa del Mullah Omar

Il movimento talebano, costituito per iniziativa del Mullah Omar, affonda le proprie radici negli anni ’80 quando, al fianco dei mujaheddin i futuri taliban combatterono in un fronte unito composto appunto anche da Massoud e dal MAK di Osama Bin Laden (con un ruolo abbastanza marginale) per respingere l’invasione dell’URSS. È proprio durante gli anni dell’invasione sovietica dell’Afghanistan che Mohammed Omar (futuro Mullah), appena ventenne all’inizio del conflitto nel 1979, si distingue come guerrigliero (perdendo l’occhio destro in combattimento) e inizia a radicalizzare le proprie credenze religiose. Mohammed nasce nel 1959 nella provincia di Kandahar da una famiglia di etnia Pashtun, gruppo etnico di religione musulmana originario dell’area che comprende rispettivamente la parte occidentale e orientale dell’attuale Pakistan e Afghanistan (di cui costituisce oltre il 40% della popolazione). Durante la guerra con l’URSS migliaia di musulmani confluiscono nel paese dando corpo a vari raggruppamenti di guerriglieri per prendere parte al Jihad contro l’invasore sovietico e le alleate forze della Repubblica Democratica dell’Afghanistan (RDA) in uno scontro che sarà classificato sia come parte della Guerra Fredda sia come guerra civile afghana. La Guerra Fredda si inserisce nel contesto nella misura in cui gli USA armano e addestrano i mujaheddin in funzione antisovietica, dimostrando una miopia strategica che pagheranno a caro prezzo qualche anno più tardi. Dopo la ritirata dell’URSS conclusasi nel 1989 (sancita dagli accordi di Ginevra dell’anno precedente) e la guerra terminata con la caduta del RDA nell’aprile del 1992, la galassia dei gruppi mujaheddin implode dando vita a diverse fazioni che si contendono la guida del paese. Nei primi anni ’90, Omar si pone così a capo di un gruppo di guerriglieri chiamati taliban, il cui significato letterale in pashtun è quello di “studenti”: formati nelle scuole coraniche, le madrase, del Pakistan e dell’Afghanistan i talebani basano la propria ideologia sul fondamentalismo islamico, con l’obiettivo imprescindibile che sia la sharia, la “Legge di Dio”, a imperare sui territori da loro controllati. Lo stesso Omar alla fine della guerra, da poco superati i trent’anni, approfondisce lo studio del Corano presso una madrasa, presumibilmente presso la città pakistana di Quetta; contestualmente leader militare e spirituale e religioso (Mullah) dei talebani che a partire dal ’92 si battono contro le altre formazioni di mujaheddin un tempo alleate e i signori della guerra, che avevano fatto sprofondare il paese in un vortice di violenza e corruzione. È così che alla guida dei guerriglieri talebani, cresciuti intanto per forza e numero, riesce a conquistare la natia provincia di Kandahar nel 1994; da qui, sferra un primo attacco alla capitale Kabul, difesa eroicamente da Massoud che costringe i talebani a ripiegare su Herat, occupata in poco tempo mettendo in fuga Ismail Khan, “il leone di Herat”. Presa anche Jalalabad, Kabul cade nel 1996 e Massoud batte in ritirata arroccandosi nel Pansjshir, lasciando il 90% del territorio afghano in mano al Mullah Omar che proclama la nascita dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan (nel 1997). In questi anni si concretizza il sodalizio tra i talebani e la nuova organizzazione terroristica di Osama Bin Laden denominata al-Qaida, alleanza che risulterà fatale per il governo di Omar che, costituitosi a Kandahar anziché a Kabul, impone la sharia interpretata in modo particolarmente rigido e severo su tutti i territori controllati. Il 2001 segna così quello che sembra essere l’inizio della fine per l’Emirato afghano: il 9 settembre 2001 un commando qaidista elimina il “Leone del Panjshir” e, due giorni dopo, gli attentati dell’11 settembre sul suolo americano, pianificati e realizzati sempre da al-Qaida, proiettano il Mullah Omar, rifiutatosi di consegnare Bin Laden agli americani, in cima alla black list USA.

La guerra al terrore

Con l’operazione Enduring Freedom inizia la guerra al terrorismo proclamata dalla prima amministrazione Bush junior e l’Afghanistan viene invaso: prima che il 2001 finisca i talebani sono in rotta verso le montagne del Pakistan mentre l’Alleanza del Nord, orfana del proprio leader, rientra a Kabul. L’immane squilibrio di potenza tra i due schieramenti sembra assicurare una facile vittoria alla coalizione Nato (e non) guidata dagli USA ma, in realtà, i talebani sono tutt’altro che sconfitti: Bin Laden sarà ucciso solo dieci anni dopo l’inizio delle operazioni ma in territorio pakistano, ad Abbottabad nel 2011, mentre i talebani mantengono le proprie inespugnabili posizioni sull’Hindu Kush e il Mullah Omar scompare dai radar rifugiandosi presumibilmente in Pakistan. Ricercato dalle Intelligence di mezzo mondo, si sarebbe invece nascosto a pochi chilometri da una base americana nella provincia di Zabul, in Afghanistan, fino alla sua morte avvenuta nel 2013 per tubercolosi e annunciata dalla leadership talebana soltanto nel 2015. Intanto, l’occupazione dell’Afghanistan continua con un susseguirsi di missioni Nato, che cambiano nome ma non sostanza, e gli USA rimangono impantanati nel paese per venti anni mentre alla Casa Bianca trascorrono due mandati di Bush, due mandati di Obama e il controverso mandato di Trump. Nel 2021, il nuovo presidente americano Biden avvia il ritiro definitivo del contingente USA dall’Afghanistan, tenendo fede agli accordi di Doha firmati con i talebani nel 2020 dagli Stati Uniti. Prima che gli ultimi marines impegnati a garantire la scurezza dell’evacuazione abbiano lasciato il paese, i talebani entrano di nuovo a Kabul ed il 19 agosto 2021 proclamano la restaurazione dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan relegando nuovamente ciò che resta dell’Alleanza del Nord nella valle del Panjshir.

L’occupazione americana si è quindi praticamente concretizzata in una “bolla” durata venti anni e scoppiata in poche settimane riportando la situazione al punto di partenza, con i talebani a controllare gran parte del territorio, agguerriti e tenaci come un tempo e forti di un fondamentalismo ancora integro e soprattutto integralista, nonostante la scomparsa del proprio fondatore nonché della propria guida militare e ideologica, il Mullah Omar.


Foto copertina: Un avviso in un giornale pakistano che elenca i premi per la cattura di militanti. Sono stati offerti 10 milioni di dollari per il Mullah Omar (terzo da sinistra, in alto).

 

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Federica Fanuli
Federica Fanuli si laurea con lode in scienze politiche e relazioni internazionali presso l'università del Salento, dove consegue anche la laurea specialistica in scienze politiche, studi europei e relazioni internazionali . Junior consultant per agriconsulting spa, Federica collabora con il centro studi internazionali di Roma e successivamente frequenta il corso di analisi di politica estera di equilibri, muovendo i primi passi nel settore come editorial board member di rassegna stampa militare e poi, come editorial board manager di mediterranean affairs. Editor-at-large di indrastra global, editorial board member di cosmopolismedia.it, analista desk sud e sud-est asiatico dell'institute for global studies (igs) e guest contributor del middle east institute di Washington, Federica attualmente frequenta il master in giornalismo internazionale presso l'igs e il master di II livello in intelligence e sicurezza della link campus university, presso cui lavora come responsabile gestionale master dell'ufficio postgraduate, e collabora con l'osservatorio sulla sicurezza e difesa cbrne.