L’importanza dell’industria dello spionaggio e l’uso della sorveglianza sia nel paese che nella diplomazia regionale, rendono Israele un vero e proprio “Grande Fratello”.


Di Giovanni Luca Catucci

Introduzione

Nel mondo ultra-connesso del XXI secolo, tutto è accessibile ed effettuabile in rete, dove si può discutere la tesi di laurea e gestire l’illuminazione domestica. Dal 2011, si può anche organizzare una rivoluzione online.
Secondo la vulgata, le Primavere Arabe sono germogliate grazie alla diffusione dei social network – tanto da ribattezzarle le “Twitter Revolutions” – che ha permesso la mobilitazione di massa soprattutto fra i giovani in Nord Africa e Medio Oriente.[1] Questo presunto ruolo emancipatorio ha donato alle tecnologie digitali un’aura mitica, grazie al loro contributo alla circolazione di idee, conoscenza, diritti e libertà. Tuttavia, pochi anni dopo, diversi studi hanno dimostrato come i social media abbiano sì potuto amplificare la portata delle contestazioni, ma che non ne siano stati i fattori determinanti.[2] E oggi, contro ogni sogno futurista-liberale, le tecnologie digitali sono diventate un martello repressivo nelle mani di regimi autoritari. La novità sta nella loro invasività.

Autoritarismo digitale

Con “autoritarismo digitale”, ci si riferisce all’uso strategico di Internet e delle tecnologie correlate per estendere la longa manus della repressione politica e del controllo in ogni aspetto della sfera privata.[3]
I due casi più noti di autoritarismo digitale sono Russia e Cina, i cui modelli – dalle modalità ed obiettivi diversi – stanno trovando terreno fertile nel Golfo arabico. È importante, tuttavia, analizzare anche il ruolo delle democrazie. Non solo le potenze europee e gli Stati Uniti, ma anche un attore che, considerando solo la demografia, l’economia, e l’estensione geografica, non rientrerebbe nel discorso: Israele. Leader globale nell’industria dello spionaggio, lo stato ebraico utilizza entro i confini domestici ed esporta nella regione circostante armi cibernetiche fra le più sofisticate al mondo.[4]

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La contro-rivoluzione digitale

Facilitatrici delle insurrezioni del 2011, le tecnologie digitali sono presto state adottate dai governi in carica in Medio Oriente per il fine opposto: reprimere il dissenso.[5]
La contro-rivoluzione digitale ha impiegato strumenti come sistemi di videosorveglianza dotati di riconoscimento facciale e identificazione biometrica, il filtraggio e la censura di Internet, e il monitoraggio dei social media e dei cellulari, il tutto spesso governato dall’Intelligenza Artificiale. A supporto, un quadro normativo spesso lassista riguardo ai diritti individuali, come la privacy e la libertà di movimento e d’associazione, caratterizzato da formulazioni vaghe nelle leggi sulla sicurezza informatica e l’assenza di organismi di controllo efficaci.[6]

Sorveglianza e democratizzazione

Uno studio del 2020 rileva che la censura di Internet non sembra avere alcun effetto dannoso sui processi di democratizzazione. Al contrario, questi sono influenzati negativamente dalla sorveglianza mirata e di massa.[7] Il rapporto teorizza che la tecnologia di sorveglianza ostacola l’azione collettiva e la partecipazione politica individuale. Di fatto, l’obiettivo della contro-rivoluzione.
Il binomio crisi-sorveglianza non è nuovo, e ha un illustre precedente negli attentati dell’11 settembre 2001, che hanno giustificato l’emanazione di politiche di sicurezza controverse, ostensibilmente a difesa della sicurezza nazionale.
Parimenti, la pandemia di Covid-19 ha fornito un nuovo pretesto per raddoppiare gli sforzi di controllo, tramite app di tracciamento e raccolta dati di massa.[8]
Difatti, queste politiche vengono spesso giustificate facendo ricorso al famigerato gioco a somma-zero tra libertà e sicurezza, ove quest’ultima – soprattutto in Israele, paese costruito sul paradigma della minaccia – prevale sempre.

Il grande fratello israeliano

Nella regione, Israele viene spesso raccontato come l’unico baluardo democratico. Il giudizio si fa però più complesso se si considera l’importanza dell’industria dello spionaggio israeliana e l’uso della sorveglianza sia nel paese che nella diplomazia regionale. Start-up nation per antonomasia, Israele ospita poco meno di trenta produttori di tecnologie di spionaggio, contando 0,33 aziende di questo tipo ogni 100.000 abitanti.[9]
L’industria tecnologica israeliana gode di un fondamentale vantaggio competitivo: gli stretti legami con le Forze di Difesa (IDF). Uno studio del 2018 mostra che l’80% dei dipendenti delle aziende informatiche israeliane è stato addestrato nell’Unità 8200 – l’Unità di spionaggio d’élite delle IDF – o in unità affini.[10] Inoltre, l’ISA – l’oscura Agenzia per la Sicurezza Nazionale, o “Shin Bet” – gode di uno status unico per pervasività e libertà di manovra.
Nel contesto della pandemia, è stato rivelato che lo Shin Bet detiene un database segreto con dati sensibili sull’intera cittadinanza, sifonati dai gestori delle telecomunicazioni all’oscuro della società civile. Nato come uno strumento per l’antiterrorismo, il database (“The Tool”) è stato messo a disposizione delle autorità persino per effettuare il contact tracing, incrociando i dati con il Ministero della Salute, e monitorare le catene di contagio da coronavirus.[11]
Come nel Panopticon di Bentham, anche in Israele è dunque possibile essere osservati perennemente senza accorgersene, in palese violazione dei diritti universalmente riconosciuti ad essere protetti da interferenze arbitrarie nella sfera privata, senza adeguata giustificazione.[12] È dunque lecito chiedersi “quis custodiet ipsos custodies”?
L’utilizzo dell’ISA per la gestione della pandemia riflette la maniera in cui Israele affronta molte problematiche, con un approccio securitario e militarizzato, e la permissività del quadro normativo. Prima dell’intervento della Corte Suprema nella primavera del 2020, che ha imposto un’autorizzazione parlamentare per l’uso di The Tool per fini sanitari – e non ha sindacato sulla sua stessa esistenza – la libertà dello Shin Bet è sempre stata tutelata dalla legge ISA del 2002. In assenza di una legge per la conservazione dei dati, e che disponga la necessità di autorizzazione giudiziaria ex ante per la loro acquisizione, la definizione del mandato e del margine di manovra dell’agenzia è sottoposto soltanto all’esecutivo, che disciplina il trattamento dei dati acquisiti. L’uso dei dati è poi sottoposto all’autorizzazione del direttore dell’Agenzia. Tuttavia, tutte queste informazioni, ça va sans dire, sono classificate.[13]
Questo sistema consolidato si trova oggi in bilico, poiché è nelle mani della Corte Suprema la decisione sulla legalità del programma di raccolta dati di massa The Tool, nel caso ACRI v. ISA. In quest’ottica, l’ambita riforma della giustizia del governo in carica assume ancora più rilevanza; ciononostante, gli analisti si rivelano pessimisti sulle potenzialità di un “caso Snowden israeliano”.[14]

La biopolitica della sorveglianza

Se già in Israele il diritto alla privacy assume valore relativo, le criticità maggiori sono nei territori palestinesi occupati (OPT), dove sistemi di videosorveglianza sono dispiegati a tappeto grazie a un vuoto normativo. Così, gli OPT costituiscono un laboratorio di sperimentazione di politiche securitarie a disposizione di governo e aziende israeliane, che lavorano spesso in tandem.

L’utilizzo di tecnologie per il riconoscimento facciale (FRT) negli OPT è stato ampiamente documentato da inchieste giornalistiche e studi indipendenti.[15] L’ultimo report di Amnesty sottolinea l’onnipresenza della videosorveglianza negli OPT, soprattutto a Gerusalemme Est, Hebron, e nei checkpoint fra Cisgiordania e Israele. Raccogliendo e conservando illegalmente i dati biometrici dei palestinesi, e incrociandoli con informazioni sui loro background e rapporti sociali, le forze israeliane sono in grado di creare dei rating di pericolosità. Questo avviene anche tramite il monitoraggio delle attività online, grazie al controllo delle infrastrutture di internet e delle telecomunicazioni. Va da sé che il rating può determinare il destino dei soggetti interessati.

È fondamentale, per mantenere l’occupazione, sapere tutto degli occupati. Scientia potentia est, nell’accezione di Edward Said.[16] Se da un lato il possesso di informazioni è funzionale al controllo della quotidianità degli occupati, esso crea anche un ambiente ostile di sorveglianza perenne, in cui non è dato sapere quando e dove si è osservati – né da chi, dacché anche l’Autorità palestinese contiene il dissenso tramite lo spyware.[17]

La sorveglianza perenne mira a disciplinare gli osservati, imponendo delle condotte da incorporare nella vita quotidiana. Come nel concetto foucaultiano di “bio-potere”, l’obiettivo è far conformare la popolazione alle norme e aspettative sociali, fino al farle esercitare una specie di auto-sorveglianza: il sogno autoritario.[18] Lo strumento, invece, è la soggezione ad ansia, stress e paura costanti.

La sorveglianza, tuttavia, è solo uno degli strumenti al servizio della “bio-politica” negli OPT, che regola la condotta delle popolazioni, normalizzando le pratiche funzionali all’occupazione e stigmatizzando quelle contrarie. In teoria, consiste nel rendere gli individui dei “soggetti” docili e disciplinati. In pratica, controllando la mobilità, l’igiene pubblica, la criminalità, l’urbanistica, e l’accesso alle risorse naturali, alle cure mediche, e all’istruzione, il potere è in grado di soggettivare i cittadini tramite tecnologie apparentemente neutrali e garantire l’ordine sociale ambito – ossia la perpetuazione dell’occupazione.[19]

Conclusione

Le tecnologie digitali, finita l’epopea liberatrice, sono oggi diffusamente utilizzate per controllare le popolazioni, nelle autocrazie così come nelle democrazie. In Israele, la tecnologia di sorveglianza mirata e di massa è impiegata per finalità politiche domestiche e per perpetuare l’occupazione, ma anche come arma diplomatica.


Note

[1] Lynch, M., Schwedler, J., Yom, Y., (eds), The Political Science of the Middle East: Theory and Research Since the Arab Uprisings, Oxford Academic, New York (2022), p. 80.
[2] Hollander, E. and Byun, C., Explaining the Intensity of the Arab Spring (August 11, 2012). APSA 2012 Annual Meeting Paper.
[3] Yayboke, E., and Brannen, S., Promote and Build. A strategic approach to Digital Authoritarianism, CSIS Briefs, Center for Strategic and International Studies (CSIS), (2020), pp. 1-11.
[4] Lynch et al., (2022), p. 57 ss.
[5] El-Ashy, O., Maroni, I., Mizyed, H., Nammar, H., and Al-Maskati, M., Big Brother in the Middle East and North Africa: The expansion of imported surveillance technologies and their supportive legislation, in Global Campus Human Rights Journal, 3 (2019), p. 237 ss.
[6] Ibid.
[7] Stoycheff, E., Burgess, G., Martucci, M., Online censorship and digital surveillance: the relationship between suppression technologies and democratization across countries, Information, Communication & Society, 23:4, (2020), pp. 474-490.
[8] Lynch et al., (2022), p. 13.
[9] Privacy International, The Global Surveillance Industry, July 2016, Privacy International, https://privacyinternational.org/sites/default/files/2017- 12/global_surveillance_0.pdf.
[10] Shezaf, H., Jacobson, J., Rivelato: Israel’s Cyber-spy Industry Helps World Dictators Hunt Dissidents and Gays, 20 ottobre 2018, Haaretz. https://www.haaretz.com/israel-news/2018-10-20/ty-article-magazine/.premium/israels-cyber-spy-industry-aids-dictators-hunt-dissidents-and-gays/0000017f-e9a9-dc91-a17f-fdadde240000?v=1653648123666.
[11] Shwartz Altshuler, T., Aridor Hershkowitz, R., How Israel’s COVID-19 mass surveillance operation works, July 6, 2020, Brookings, https://www.brookings.edu/techstream/how-israels-covid-19-mass-surveillance-operation-works.
[12] Shtaya, M., Nowhere to hide: The impact of Israel’s digital surveillance regime on the Palestinians, 27 Aprile 2022, Middle East Institute, https://www.mei.edu/publications/nowhere-hide-impact-israels-digital-surveillance-regime-palestinians.
[13] Bergman, R., Schwarztuch, I., The Tool is leaked: The GSS’s Ssecret database that collects your text messages, calls, and location, 27 marzo 2020, Yedioth Ahranoth, https://www.yediot.co.il/articles/0,7340,L-5701611,00.html (Heb).
[14] Cahane, A., Confronting a blunt Tool: Perspectives on Israel’s mass surveillance litigation, About Intel, 28 giugno 2022, https://aboutintel.eu/israels-mass-surveillance-litigation/.
[15] Amnesty International, Automated Apartheid, report, 2 maggio 2023, https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/05/israel-opt-israeli-authorities-are-using-facial-recognition-technology-to-entrench-apartheid/.
[16] Said, E. W., Orientalism. New York, Pantheon Books, 1978.
[17] Shtaya, 2022.
[18] Foucault, M., La nascita della biopolitica. Milano, Feltrinelli, 2005.
[19] Griffiths, M., Repo, J., Biopolitics and Checkpoint 300 in Occupied Palestine: Bodies, affect, disciplinePolitical Geography (2018), 65: pp. 17–25.


Foto copertina: Tecnologia, democrazia e sorveglianza in Medio Oriente: il caso di Israele