Lo scorso 7 dicembre è ricorso l’anniversario dell’invasione indonesiana di Timor Est, nel 1975. Le drammatiche dinamiche militari che hanno contribuito a depredare il Paese delle sue risorse umane e materiali, i gravi crimini di guerra, le violazioni dei più basici diritti individuali ed economici si proiettano finanche sulla storia più recente.


 

Geografia dell’occupazione

 Timor (“orientale” in indonesiano) Est rappresenta una piccola realtà che ha lottato per la sua indipendenza dai giganti asiatici ed europei che ne hanno riconosciuto il potenziale strategico e hanno perseguito occupazioni ed annessioni militari a tal fine. E’ situato nel settore orientale dell’isola di Timor, che occupa un’enclave fra Australia, che ne è il maggior partner commerciale, e il vasto arcipelago indonesiano lungo la famosa linea di Wallace, e ricomprende amministrativamente anche le isole di Jaco, Atauro e l‘exclave di Oecusse nel Timor occidentale. L’arcipelago delle Isole della Sonda, infatti, è quasi completamente annesso politicamente all’Indonesia ad eccezione di Sarawak, Sabah e Brunei e la parte più orientale di tali isole, Timor Est, seppure da meno di un ventennio.

Prendendo il nome di Nusa Tenggara Orientale, tuttavia, gran parte dell’isola di Timor resta provincia dell’Indonesia, che ha sostituito dal 1975 fino al 2002, anno della formalizzazione di una effettiva indipendenza, l’amministrazione portoghese anche nella attuale Repubblica Democratica di Timor Est. I portoghesi furono i primi a scoprire l’intera isola nel 1500, ma gli olandesi seppero estendere il loro dominio coloniale in maniera più efficiente ed ampia. La colonia portoghese rimase circoscritta, oltre a Macao e Goa, a Timor Est e si caratterizzò per un notevole sfruttamento delle popolazioni nella provincia della capitale Dili, mentre la gran parte della zona rimaneva principalmente sotto la guida di tribù locale. Un fattore decisivo nell’alimentare l’avanzamento delle istanze indipendentiste del XIX secolo, oltre alle susseguitesi vicende che destituivano i presupposti di carattere internazionalistico del colonialismo, fu il brutale metodo di sfruttamento applicato dai coloni alla popolazione principalmente agricola, che si intensificò maggiormente nel 1900.
Durante la seconda guerra mondiale, il Portogallo neutrale portò olandesi ed australiani ad occupare Timor vedendo la minaccia nipponica sempre più vicina. Quando arrivarono i soldati giapponesi nel 1942, non fu infatti una sorpresa per le truppe che congiuntamente perpetuarono una guerriglia che costrinse l’occupante a fuggire da quell’area del Sud – Est asiatico. Gli olandesi e gli australiani ristabilirono i confini porto-olandesi. Il crollo della dittatura portoghese ed il nuovo corso ebbe un impatto immediato sul processo di decolonizzazione sia africano che asiatico, lasciando spazio alle istanze democratiche e filo-indonesiane e quelle indipendentiste di conquistare lo spazio politico sociale di Timor Est.
Così, della cacciata dei portoghesi ha approfittato immediatamente, tramite l’occupazione, l’Indonesia di Suharto, che sin dall’ottenimento della libertà dall’oppressore olandese aveva voluto sancire il dominio del nazionalismo indonesiano su tutta Timor, carico di una visione ottimistica del porre fine alle antiche rivalità determinanti lo scontro tra olandesi e portoghesi[1].

L’ordine internazionale visto, passivamente, da Timor Est

In questa dinamica la “lunga mano” statunitense era presente in latenza. L’Indonesia ha sempre rappresentato un Paese strategico per la grande potenza americana, il cui controllo, concretizzatosi in maniera lampante nell’appoggio al nazionalista e primo presidente Sukarno prima e al dittatore criminale Suharto dal 1967, è sempre stato più importante di quello della penisola indocinese. Infatti, sin dal 1949, anno dell’indipendenza dal colone olandese, più volte l’Indonesia aveva provato ad estendere i propri interessi amministrativi ed economici nell’arcipelago. Gli Stati Uniti hanno sostenuto tali mire nazionalistiche indonesiane in funzione antigiapponese e poi anche anticinese. Inoltre, il Paese è ricco di risorse utili allo sviluppo industriale ed economico[2]. In senso anticomunista, così, gli Stati Uniti erano a conoscenza e sostennero, secondo molti studiosi, i massacri del 1965 e 1966 perpetrati da una parte delle forze armate indonesiane contro il leader comunista nonché Presidente Sukarno. Così, gli eventi ed i massacri (che contano dalle 2 alle 3 milioni di vittime) ne causarono l’efficace ma drammatica caduta[3], con la connivenza del mondo occidentale a guida statunitense[4].

Ad ogni modo, il Presidente Suharto affermò la dottrina espansionista dell’Indonesia, minacciando il controllo portoghese su Timor Est, ad esempio attraverso l’incoraggiamento di ribellioni, caratteristiche di una strategia di politica estera che non si arrestò nel 1976, quando il piccolo territorio sarà proclamato 27ima provincia amministrativa indonesiana.
La proclamazione seguì ad una rapida escalation di eventi tragicamente dimenticati dalla maggior parte dei Paesi occidentali, che pur acconsentirono, nel silenzio, ad un genocidio che, si calcola, ha quasi dimezzato la popolazione timorense dell’est. Durante il progressivo ritiro dell’amministrazione portoghese, fra 1974 e 1975, le forze politiche emersero ed il fronte indipendentista e socialista vinse le elezioni con il 55% dei voti grazie ad un rafforzamento di consensi ed una radicalizzazione delle istanze rivoluzionarie contro la temuta ingerenza indonesiana, diventando il FRETILIN. Il partito democratico connivente alle mire di Suharto non potette accettare la sconfitta, anche se faceva ormai parte del nuovo governo di transizione. Così, dopo un colpo di stato, seppur spento presto dal braccio armato del FRETILIN e dal sostegno popolare alla promessa socialista di un ordine libero ed indipendente, il fronte democratico permise di fatto all’esercito indonesiano di inserirsi nel nuovo ma precario contesto sociopolitico.

Nell’autunno 1975, infatti, l’Indonesia moltiplicava le provocazioni arrivando ad occupare diverse aree marginali mentre il FRETILIN vide crescere il pericolo nella non risposta delle Nazioni Unite alla richiesta di aiuto, che lo portò a dichiarare l’indipendenza nella speranza di allontanare l’esercito indonesiano. Il Portogallo però non la riconobbe e davanti ad un territorio formalmente ancora sotto il suo dominio coloniale si limitò all’interruzione delle relazioni diplomatiche con Giacarta, ma fu in sostanza connivente a ciò che seguì. I soldati di Suharto entrarono il 7 dicembre a Dili e iniziarono a compiere stragi indicibili, crimini efferati, saccheggi, stupri ed uccisioni di massa, decimando l’etnia di Timor Est, che si placò sette mesi dopo con l’annessione da parte di Suharto.

Dal punto di vista interno, l’ex generale avviò un corso denominato “Nuovo Ordine” saldo attorno ai valori dell’anticomunismo e dell’autoritarismo. A livello internazionale ciò presuppose la rottura dei legami diplomatici con URSS e Cina Popolare da un lato, e la ripresa ed il rafforzamento delle relazioni politiche ed economiche con i Paesi occidentali, in primis con la grande potenza statunitense, in via di consolidamento del Sea Power nei mari asiatici. Il processo di accentramento della provincia non passò inosservato alla comunità internazionale per via delle reiterate violenze e persecuzioni della popolazione civile, vittima di violazioni dei diritti umani condannate ripetutamente dall’ONU, nonché di un pianificato processo di immigrazione di massa volto a “diluire” la popolazione di Timor Est, per la quasi totalità cristiana, con la comunità musulmana indonesiana, con l’obiettivo di ottenere il sostegno di una popolazione costruita in senso filo-indonesiano[5].

Una libertà che sembra irraggiungibile

Il governo Suharto cedette in seguito ad un aumento di proteste da parte dell’élite e della popolazione, sempre più riluttanti al suo controllo e alla corruzione sempre più palese durante la crisi finanziaria che colpì il continente nel 1997. Lo sostituì Habibie che, pressato da una rinnovata apertura dell’ONU e dei paesi europei, sensibilizzati in primis dal Portogallo, alla questione timorense, instaurò il dialogo diplomatico con la leadership portoghese. La disponibilità a concedere autonomia a Timor Est portò al referendum monitorato dalla delegazione delle Nazioni Unite e alla vittoria con il 78% degli indipendentisti, che si scontrò con la subitanea contrarietà delle milizie filo- indonesiane. Secondo Noam Chomsky: «In un mese, queste massicce operazioni militari uccisero circa 2.000 persone, violentarono centinaia di donne e ragazze, sfollarono tre quarti della popolazione, e demolirono il 75% delle infrastrutture del paes[6]. Le conseguenze furono disastrose sul piano urbanistico, elettrico, sanitario, infrastrutturale e formativo; inoltre, ci fu una vera e propria diaspora dei civili verso Timor ovest: una crisi umanitaria con pochi precedenti nella storia: “Indonesia’s occupation was the beginning of almost a quarter-century of immense atrocities and human rights abuses, during which almost one-third of the population of Timor-Leste, some 200,000 people, lost their lives”[7].

L’insurrezione armata costrinse Habibie ad accettare i risultati ed ammettere l’intervento dapprima della forza paramilitare de {l’ONU dell’INTERFET e della missione della UNTAET[8]United Nations Transitional Administration in East Timor}. Questa era volta ad assicurare il controllo della transizione politico-amministrativa nel rispetto dell’indipendenza del Paese e guidata principalmente da truppe australiane, tailandesi e neozelandesi. In realtà, furono circa 20 i Paesi che parteciparono alla missione[9], tutti di matrice regionale e desiderosi di un rilancio della propria dottrina militare nella ridefinizione degli interessi nazionali in un quadro di mutamento dell’ordine globale tutto da ridipingere. Nel 2002, la nuova leadership timorense assunse finalmente la guida del Paese, che sarà affiancata dalla sorveglianza e dal supporto della missione UNMISET, conclusasi definitivamente nel 2005.

Prima di evacuare l’isola, i membri della missione lasciarono un segno profondo sul futuro del diritto internazionale e del Timor orientale. Nel 2001 fu creata una Commissione per l’accoglienza, la verità e la riconciliazione a Timor orientale (CAVR), che nel 2005 produsse un report conclusivo di moltissime interviste ed investigazioni, con la quale si decretò all’Indonesia la colpa dell’uccisione di almeno 102800 morti in Timor Est nei 24 anni di dittatura. Il report afferma come l’occupazione indonesiana non si limitava a distruggere la vita sociale, culturale, civile a Timor Est tramite le persecuzioni della minoranza cinese e dei movimenti di resistenza, ma fu colpevole di disumanità come la fame, perpetrata anche con la rovina dei raccolti tramite l’utilizzo di armi chimiche e bombe al napalm.

Tuttavia, l’instabilità sociale e politica non si è arrestata a Timor Est. I tumulti e le proteste popolari non terminarono, dovute, forse, anche a una scarsa propensione a credere nella pace e nella serenità democratica. Il parlamento di Dili ha visto il FRETILIN perdere progressivamente consensi, sfidato, sin dal 2007, da un’ampia coalizione di forze, l’AMP, che si contendono governi instabili in quanto saldamente legati a promesse ed accondiscendenze programmatiche, e non.
Il Paese è alla ricerca di una collocazione geostrategica nel panorama asiatico e mondiale, puntando sulle sue risorse energetiche, è bramoso di una rinascita materiale, politica, della solidarietà di una comunità attenta all’inclusività anche nei termini di cooperazione e sviluppo. In questi termini, si può considerare Timor Est uno dei tanti Stati “sopravvissuti” al rigetto di un sistema di autoregolazione della giustizia e del rispetto dei principi di diritto individuale ed internazionale, il cui rispetto è un frutto opportunistico e le cui radici coloniali non possono essere dimenticate. Sono infatti tanti, tuttavia, a non aver assimilato la lezione più grande impartita dal tempo, quella del colonialismo che, sotto più di un velo, rimane sempre attuale.


Note

[1] E’ difficile reperire testi sulla storia di Timor Est. Qui una recensione ed una piccola cronistoria: isole.ecn.org /Timor Est.” La drammatica storia dell’indipendenza fino all’intervento ONU” da “Timor Est. La storia drammatica dell’indipendenza fino all’intervento dell’ONU (1900-1999)”, Maurizio G. Montagna, 1999, Ed. Datanews
[2] Per una lettura degli svariati crimini derivati dal colonialismo occidentale si legga: “Terrorismo Occidentale”, Noam Chomsky, Andre Vltchek, 2015, Edizione  Ponte Delle Grazie
[3] In seguito ai tentativi di omicidio pianificati ai danni del Presidente comunista, egli aveva accentrato il potere ed instaurato una svolta autoritaria, rompendo anche le relazioni diplomatiche con i Paesi Bassi a causa delle divergenze circa il destino dell’ormai indipendente Papua occidentale. L’opposizione all’indipendenza della Malesia del 1963 portò alla fine del sostegno militare americano all’Indonesia e della partecipazione indonesiana al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Lo stesso anno, nel 1965, Sukarno fu rapito e costretto a cedere la guida indonesiana al generale Suharto, mentre il leader comunista si avviava alla sua morte agli arresti domiciliari.
[4] In sostanza, al di là della versione ufficiale dei fatti circa lo spodestamento voluto dallo stesso partito comunista indonesiano (PKI), vi sono prove che il rovesciamento sia stato pianificato e orchestrato dagli Stati Uniti, percependo la minaccia del rafforzamento della minaccia del comunismo e il pericolo da sventare ad ogni costo di una sua diffusione in tutta l’Asia, nonché a causa degli stretti ed amichevoli rapporti di Sukarno con la Repubblica Popolare e l’URSS.
[5] www.treccani.it/enciclopedia/timor-est
[6] Occidentale, Noam Chomsky, Andre Vltchek, 2015, Edizione  Ponte Delle Grazie
[7] Per una analisi dettagliata delle violenze, le cause del conflitto e sulle metodologie di investigazione dei crimini, si legga https://www.ictj.org/sites/default/files/ICTJ-TimorLeste-Criminal-Process-2006-English.pdf The Serious Crimes Process in Timor-Leste: In Retrospect, Caitlin Reiger, Marieke Wierda, the International Center for Transitional Justice, 2006, publ. su ICTJ.org
[8] https://www.un.org/en/peacekeeping/missions/past/etimor/untaetR/Reg0011E.pdf
[9] Qui i dettagli dell’intervista ad un membro italiano della missione per formiche.net https://formiche.net/2020/05/timor-est-missione-arpino/


Foto copertina: Nella foto, gli scolari sventolano bandiere in miniatura del Timor orientale per salutare il presidente Jose Ramos-Horta al suo ritorno dall’Australia il 17 aprile 2008. Credito fotografico: MARIO JONNY DOS SANTOS / AFP / Getty Images