Traffico di influenza illecite: una riflessione sulle due recenti sentenze della Corte di Cassazione riguardante l’ex sindaco di Roma Alemanno e gli acquisti della struttura Commissariale durante il periodo Covid-19.
A cura di Andrea Castaldo
Cos’è il traffico di influenze?
È un delitto introdotto nel 2012 con l’art. 346 bis c.p., e limitato alle relazioni asserite. Si noti come, in tal caso, anche il privato che offre denaro o altro vantaggio patrimoniale al mediatore viene punito. Si ha una limitazione delle mediazioni penalmente rilevanti esclusivamente a quelle finalizzate ad un pactum sceleris riconducibile ad una eventuale successiva corruzione impropria (art. 319 c.p.). Lo scopo della disciplina è di anticipare la soglia di punibilità, individuando le attività prodromiche alla possibile realizzazione di fatti corruttivi.
Nel 2012, tale fattispecie si aggiunse a quella del millantato credito (art. 346 c.p.). Occorre ricordare che il “millantare credito” veniva inizialmente interpretato come vanteria di un’influenza inesistente, idonea a ingannare il cd. “compratore di fumo”, il quale, credendo alle parole del millantatore, fornisce il denaro destinato a compensare la presunta mediazione. Successivamente, considerato che il reato di cui all’art. 346 c.p., è stato concepito per tutelare il prestigio della P.A. invece che il patrimonio del solvens, si è focalizzata l’attenzione sulla condotta dell’agente che si fa dare il denaro; facendo sì che si creasse una errata rappresentazione dei pubblici impiegati, visti come persone venali, corruttibili ed inclini ai favoritismi.
Si è così consolidato l’indirizzo interpretativo secondo cui, per integrare la millanteria, non è necessaria una condotta ingannatoria o raggirante, perché ciò che rileva è la vanteria dell’influenza sul pubblico ufficiale, che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l’immagine della P.A.
A questo punto, si deve tener conto dell’entrata in vigore della L. n. 190 del 2012 (Legge Severino, dal nome del Ministro della Giustizia del Governo Monti, Prof.ssa Severino), che, senza toccare l’art. 346 c.p., ha aggiunto la nuova fattispecie di reato denominata “traffico di influenze illecite”, che indica come presupposto della ricezione del denaro chiesto come prezzo della mediazione propria o come retribuzione per il pubblico ufficiale “lo sfruttamento delle relazioni esistenti” con quest’ultimo. Quindi, ex art. 346 bis c.p., l’autore del reato non è più chi millanta influenze, non importa se vere o false, ma solo chi sfrutta influenze effettivamente esistenti. Si ha poi, un diverso trattamento sanzionatorio riservato a chi paga ripromettendosi di trarne vantaggio: non punibile nel primo caso, un millantatore “puro”; concorrente nel reato nel secondo caso, che vede all’opera un faccendiere realmente in contatto con un Pubblico ufficiale.
Analisi della fattispecie.
Si sottolineò, nel 2012, come vi fosse necessità di introdurre questa nuova fattispecie in quanto è frequente che vi sia l’intercessione di un mediatore, indifferentemente un soggetto privato oppure un Pubblico ufficiale; il quale, sfruttando le proprie conoscenze e la capacità di influenza in certi ambienti istituzionali, provvede a mettere in contatto pubblici funzionari e cittadini in vista di un futuro accordo illecito.
Dunque, rappresenta una fattispecie illecita cd. sussidiaria, intesa a punire condotte prodromiche rispetto ai delitti di corruzione. Si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque, e qualora il mediatore rivesta una qualifica pubblicistica allora la fattispecie è aggravata ai sensi del terzo comma. Era necessaria la sua previsione nel nostro sistema, visto che con l’introduzione di tale reato l’Italia ha dato seguito agli obblighi internazionali discendenti dalla ratifica delle Convenzioni del Consiglio d’Europa del 1999 (art. 12) e quella dell’ONU di Merida nel 2003 (art. 18), nelle quali gli Stati si impegnavano ad intervenire sulla background corruption, cioè su tutte quelle ipotesi e fattispecie prodromiche alla realizzazione di reati di corruzione.
Inoltre, ne deriva che i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della Legge Severino, nei quali il soggetto attivo ha ottenuto la promessa o dazione del denaro vantando un’influenza sul Pubblico ufficiale effettivamente esistente, che ricadevano sotto l’art. 346 c.p., devono ora essere ricondotti nella nuova fattispecie descritta dall’art. 346 bis c.p. Questa ipotesi, comminando una pena inferiore, ha realizzato un caso di successione di leggi penali regolato dall’art. 2, co. 4, c.p. con applicazione della disposizione più favorevole al reo. Quindi, mentre l’art. 346, co. 1, c.p., stabilisce la pena della reclusione da uno a cinque anni, l’art. 346 bis c.p., prevede la reclusione da uno a tre anni, cioè una pena il cui massimo edittale, in caso di accertamento della responsabilità, comporta l’irrogazione di una sanzione meno severa e che preclude l’applicazione di qualsivoglia misura dal punto di vista cautelare.
Si può dunque affermare il seguente principio di diritto: le condotte di colui che, vantando un’influenza effettiva verso il Pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altre utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del Pubblico ufficiale – condotte finora qualificate come reato di millantato credito ai sensi dell’art. 346, co. 1 e 2, c.p. – devono, dopo l’entrata in vigore della L. Severino, in forza del rapporto di continuità tra norma generale e norma speciale, rifluire sotto la previsione dell’art. 346 bis c.p., che punisce il fatto con pena più mite.
Evoluzione normativa e giurisprudenziale.
Poi a seguito degli emendamenti apportati dalla Riforma del 2019 – cd. Legge “Spazzacorrotti” n. 3 del 2019 – la condotta del millantato credito, che è stata abrogata, è confluita nel nuovo art. 346 bis c.p., il quale, ad oggi, si riferisce non solo allo sfruttamento di relazioni esistenti, ma anche nella vanteria di relazioni asserite con un Pubblico ufficiale, un Incaricato di pubblico servizio o uno dei soggetti elencati all’art. 322 bis c.p.
Ad oggi, il fatto illecito si consuma con la dazione o la promessa di denaro o di altre utilità; invece, nella versione del 2012, la remunerazione per il mediatore o per terzi poteva essere rappresentata solo dal denaro o da altro vantaggio patrimoniale. Così facendo la modifica ha comportato un’estensione del precetto penale, posto che l’utilità può prescindere dalla semplice dazione. Il compenso indebito è il prezzo della mediazione illecita verso il pubblico agente (c.d. mediazione onerosa) oppure può costituire il corrispettivo per l’esercizio, da parte di uno di questi, delle sue funzioni o dei suoi poteri (c.d. mediazione gratuita). La riforma, quindi, ha portato ad una rilevante ampliamento della punibilità rispetto alle possibili finalità della mediazione, affiancando all’ipotesi di corruzione propria e alla corruzione in atti giudiziari anche quella per l’esercizio delle funzioni (art. 318 c.p.). Non è più necessaria la finalizzazione dell’accordo al compimento da parte del Pubblico ufficiale di un atto contra jus, e sotto il profilo della pena, la nuova disciplina è più severa.
Lo scopo del legislatore è stato, da ultimo, quello di intervenire in virtù di una realtà sempre più sottile, olistica, fluida, impalpabile, piena di faccendieri, i quali attraverso una fitta rete di favori, conoscenze e relazioni che coinvolgono molto frequentemente politici e/o funzionari di alto rango contaminano il processo di formazione delle decisioni pubbliche.
Il delitto, inoltre, viene introdotto tra i reati presupposto della responsabilità da reato dell’ente (D. Lgs. 231 del 2001).
Dal punto di vista giurisprudenziale, sussiste la continuità normativa? Inizialmente, la Cassazione ha accertato la continuità normativa tra la previgente diposizione del millantato credito (art. 346, co. 1, c.p.) e quella di cui al riformato delitto di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346 bis c.p., evidenziando come il trattamento sanzionatorio di quest’ultima sia più mite e individuandola, di conseguenza, come norma incriminatrice più favorevole. (Cass. pen. Sez.VI, sent. 30/04/2019, n. 17980).
Successivamente, la Corte ha cambiato indirizzo ed ha escluso la continuità normativa tra il secondo comma dell’art. 346 c.p. e il delitto di cui all’art. 346 bis c.p. Infatti, il secondo comma del millantato credito era autonoma figura di reato rispetto all’ipotesi del primo comma, era costruito sullo schema della truffa e lo assorbiva in sé: la persona offesa era il privato che subiva un danno patrimoniale come conseguenza di un raggiro (il pretesto) e non la P.A. Poi, non è stato ripreso, nel nuovo art. 346 bis c.p. il concetto di pretesto e quindi risulterebbe, infine, difficile punire il privato vittima del “venditore di fumo” ai sensi del secondo comma dell’art. 346 c.p.
Ne consegue che: “non c’è continuità normativa tra l’abrogata ipotesi di millantato credito già prevista nell’art. 346, co. 2, c.p. nella condotta dell’agente che si riceve o fa dare o promettere denaro o altre utilità, col pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare e quella prevista nell’art. 346 bis c.p. nella parte in cui punisce il faccendiere che sfruttando o vantando relazioni asserite con l’agente pubblico si fa dare o promettere indebitamente denaro o altre utilità per remunerare l’agente pubblico in relazione all’esercizio delle sue funzioni; condotta che, in considerazione della intervenuta abrogazione dell’art. 346, co. 2, c.p. deve ritenersi integrare il delitto di cui all’art. 640, co. 1, c.p. allorché l’agente, mediante artifici e raggiri, induca in errore la parte offesa che si determina a corrispondere denaro o altre utilità a colui che vanti rapporti neppure ipotizzabili con il pubblico agente”. (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 18/09/2019, n. 5221).
Pronuncia sulla vicenda Alemanno.
Come detto, la Corte di Cassazione, si è nuovamente pronunciata sulla fattispecie del traffico di influenze illecite con la sentenza n. 40518 del 9 novembre 2021 (ud. 8 luglio 2021), Pres. Fidelbo, Rel. Calvanese.
I giudici hanno evidenziato e ribadito come con l’art. 346 bis c.p.: “il legislatore abbia inteso punire, in via preventiva e anticipata, il fenomeno della corruzione, sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell’altro (il privato interessato all’atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente)”.
Inoltre, dalla lettura della disposizione in esame, prosegue il provvedimento, si individua che: “il nucleo dell’antigiuridicità della condotta penalmente sanzionata non è nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce invero il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità “l’influenza illecita” sulla attività della P.A. Le parti devono avere di mira un’interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente; la norma, peraltro, non chiarisce quale sia l’influenza illecita che deve tipizzare la mediazione e non è possibile, allo stato, far riferimento ai presupposti e alle procedure di una mediazione legittima con la Pubblica Amministrazione (c.d. lobbying), attualmente non ancora regolamentata”.
La Corte prosegue osservando come il contenuto indeterminato dell’art. 346 bis c.p. comporti il rischio di “attrarre nella sfera penale le più svariate forme di relazioni con la Pubblica Amministrazione, connotate anche solo da opacità o scarsa trasparenza, ovvero quel “sottobosco” di contatti informali o di aderenze difficilmente catalogabili in termini oggettivi e spesso neppure patologici, quanto all’interesse perseguito. È necessario, quindi, ancorare la fattispecie ad un elemento certo che connoti la mediazione illecita e che costituisca una guida sicura per gli operatori e per l’interprete della norma”. Quindi, “la mediazione è illecita quando è finalizzata alla commissione di un “fatto di reato” idoneo a produrre vantaggi per il privato committente”.
L’Alemanno era stato condannato in primo grado e in appello a sei anni, poi la Cassazione ha annullato senza rinvio le accuse di corruzione, decidendo inoltre di far svolgere un nuovo processo di appello per rideterminare la pena e riqualificando il reato in traffico di influenze, per la vicenda dello sblocco dei pagamenti di Eur Spa.
Commissario Covid e traffico di influenze.
Inoltre, la Cassazione, con la pronuncia n. 35280 del 23 settembre 2021, ha affermato la responsabilità ex art. 346 bis c.p. dell’imprenditore che, sfruttando i rapporti di amicizia con il titolare della struttura Commissariale, costituita durante il periodo di emergenza Covid-19, ha ottenuto per sé benefici economici sotto forma di cospicue somme di denaro per l’attività di intermediazione con fornitori italiani corrispondenti di aziende fornitrici estere di presidi chirurgici.
Riguardo ai fatti di causa, nello specifico, all’indagato veniva contestato di avere svolto un’attività di mediazione illecita al di fuori di qualsiasi ruolo istituzionale o professionale, basata solo ed esclusivamente sul rapporto di conoscenza personale intercorrente tra l’interessato ed il Commissario Nazionale per l’emergenza epidemiologica da Covid-19, in ordine alle commesse di fornitura di n. 801 milioni di dispositivi di protezione individuali – mascherine di tipo chirurgico, FFP2 e FFP3 – ordinate dal Commissario a tre società cinesi individuate attraverso l’intermediazione di altro soggetto, il quale agiva, a sua volta, insieme ad altre persone.
La Cassazione ha, quindi, evidenziato come il ricorso presentato dall’imprenditore andasse rigettato, ponendo in rilievo le circostanze di fatto relative allo sfruttamento, da parte dell’indagato, del suo stretto e consolidato rapporto di amicizia con il Commissario, al fine di favorire il fornitore nella procedura di acquisto di presidi chirurgici dalle tre società cinesi, con le quali quest’ultimo era già in contatto.
La Corte ha poi evidenziato gli elementi a disposizione del Tribunale del Riesame, il cui provvedimento è stato appunto oggetto di ricorso, in ordine all’accordo raggiunto fra l’indagato e il terzo interessato “al fine di sfruttare il periodo dell’emergenza sanitaria e le relative possibilità di concludere affari legati alla fornitura delle mascherine grazie al canale preferenziale di accesso rappresentato” dallo stesso indagato e alla remunerazione percepita da quest’ultimo mediante una serie di bonifici effettuati dalle società cinesi, dietro l’ordine ricevuto dal fornitore, su conti correnti appositamente aperti e riferibili all’indagato.
Lacune della disciplina.
La fattispecie ex art. 346 bis c.p. è purtroppo, ancora oggi, carente di tassatività ed è infatti incapace di esprimere un tipo criminoso sufficientemente determinato e le aspettative dell’opinione pubblica e della dottrina a seguito della sua introduzione e della sua riforma, in vista di un rafforzamento della lotta alla corruzione, sono state profondamente disattese.
In attesa, inoltre, di un auspicabile ed urgente intervento legislativo in materia di lobbying, si deve attuare una lettura restrittiva della disposizione, in modo tale che essa sia maggiormente rispettosa dei principi di offensività e determinatezza. Si potrebbe delimitare l’ambito applicativo della fattispecie, tenendo conto dell’art. 18[1] della Convenzione ONU di Merida che fonda la punibilità della mediazione alla sua destinazione verso un vantaggio indebito. In tal modo si escluderebbe la rilevanza penale di quei patti che mirano ad ottenere un vantaggio dovuto, non illecito e non idoneo a causare una disfunzione nell’attività amministrativa, sempre aspettando un serio intervento del legislatore in merito.
Ancora, l’art. 12 della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa stipulata a Strasburgo nel 1999, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con la L. n. 110/2012 obbliga ogni Stato Parte ad adottare le necessarie misure legislative e di altra natura volte ad incriminare “il fatto di promettere, offrire o procurare qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di rimunerazione a chiunque afferma o conferma di essere in grado di esercitare un’influenza sulla decisione” di pubblici ufficiali nazionali, di membri di assemblee pubbliche nazionali o straniere ovvero di funzionari internazionali o, ancora, di giudici di corti internazionali. La disposizione in esame invita altresì ciascuna Parte ad attribuire rilevanza penale al “fatto di sollecitare, ricevere o accettarne l’offerta o la promessa a titolo di rimunerazione per siffatta influenza, indipendentemente dal fatto che l’influenza sia o meno effettivamente esercitata oppure che la supposta influenza sortisca l’esito ricercato”.
Uno sguardo al lobbying.
Vorrei, infine, ricordare che per lobbying si intendono le attività concertate volte a influenzare l’elaborazione delle politiche e il processo decisionale. L’attività di lobbying si iscrive nel contesto più ampio della rappresentanza di interessi limitatamente agli aspetti legislativi ed esecutivi della stessa. Tali attività sono fortemente disciplinate in altri ordinamenti sia di common law che di civil law, purtroppo, ancora non in Italia. Infatti, vi è l’assenza di una regolamentazione delle attività di quei gruppi di persone che, senza appartenere a un partito politico e senza avere incarichi di governo, esercitano legittimamente un’influenza sulle Istituzioni, così da ottenere l’emanazione di provvedimenti coerenti con i propri interessi.
I lobbisti sono professionisti che lavorano per aziende, associazioni di categoria, gruppi di interesse, ma anche coloro i quali rappresentano il settore no-profit, hanno un ruolo rilevante e importante, cioè portare il loro punto di vista ai politici e ai funzionari pubblici. Inoltre, i lobbisti forniscono ai decisori pubblici dati, informazioni e notizie, sulla base delle quali vengono fatte scelte che influiranno sulle nostre vite.
Oltre 50 disegni di legge in più di 50 anni non sono riusciti a produrre un testo che regolamenti il lobbying in Italia, mantenendo opaco e grigio un processo che dovrebbe invece essere aperto, trasparente, alla luce del sole e fondato sulla accountability.
Tale situazione non permette all’attività di lobbying di essere svolta nel pieno rispetto del principio di trasparenza. Altresì, risulta incerto il confine tra condotte illecite previste dal nuovo art. 346 bis c.p. e le attività di lobbying. Ricordo che, come suddetto, l’art. 346 bis c.p. punisce chi sfrutta o vanta relazioni esistenti o asserite realizzando una mediazione illecita, ma non chiarisce cosa sia lo sfruttamento o la mediazione lecita. Figurarsi poi che, il lobbying è ammesso anche dall’art. 11, par. 1, 2 e 3 TUE[2]. Il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione Europea dispongono di un registro comune per la trasparenza. Tale registro facilita le persone nel reperire informazioni sulle attività di rappresentanza di interessi svolte presso le istituzioni dell’UE, nonché dati statistici su tutte le parti iscritte nel registro. Inoltre, tutti i rappresentanti di interessi sono invitati a registrarsi su base volontaria se svolgono attività destinate a influenzare l’elaborazione delle politiche, l’attuazione delle politiche e il processo decisionale delle istituzioni UE. Tuttavia, ogni Istituzione dispone di norme per rafforzare il sistema, rendendo la registrazione una condizione preliminare per lo svolgimento di determinate attività di rappresentanza d’interessi. Inoltre, tutti i soggetti iscritti nel registro devono rispettare un apposito Codice di condotta.
Conclusioni
L’evidente trasformazione che ha riguardato le fattispecie corruttive, comportando il malfunzionamento e l’inefficienza della P.A., oltre ad una errata e distratta distribuzione della ricchezza e dei fondi pubblici, ha richiesto numerosi interventi da parte del legislatore sovranazionale e nazionale che hanno consentito l’introduzione, nel nostro ordinamento, di nuove fattispecie di reato poste a presidio dei principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione.
È importante, ribadisco, per una democrazia ispirata al pluralismo, dotarsi di una apposita regolamentazione dell’attività di lobbying, così da assicurare trasparenza nei processi decisionali pubblici e parità di accesso agli stessi, avendo ben presente la necessità che a conclusione di tali processi sia sempre e comunque soddisfatto l’interesse generale.
Vorrei evidenziare come a poco servirebbe un continuo ricorso alle sanzioni penali, dobbiamo invece impegnarci a intervenire sul mondo “viscido” dei faccendieri e facilitatori, su quella rete di opacità, favori e relazioni informali che incide, inquinandola, l’assunzione di decisioni pubbliche.
Come poi ha più volte evidenziato il Prof. Mongillo[3], il legislatore nazionale ha assorbito con pigrizia e sciatteria il dettato normativo sovranazionale, non impegnandosi seriamente in una sua traslazione sistematica, criminologica e, prima ancora, lessicale consona all’ordinamento “ricevente”. Con ciò dimenticando che “nel magmatico universo delle fattispecie a matrice sovranazionale”, ci si trova di fronte a una «disposizione-fonte» che “indulge ineluttabilmente alla indeterminatezza e alla porosità, anche per consentire adattamenti e rispettare il margine di apprezzamento dei singoli Stati”. Molto è stato fatto, e molto ancora c’è da fare.
*Andrea Castaldo dottore in Giurisprudenza, contestualmente al Master in Compliance, ho svolto i 18 mesi di pratica forense in ottica preparazione esame di avvocato, ovviamente lo studio e l’approfondimento continua oltre questo periodo di pratica, con corsi di formazione e aggiornamento, ecco perché ho frequentato anche una serie di lezione focalizzate sull’antiriciclaggio
Note
[1] L’articolo 18 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione impone agli Stati Parte di punire il “fatto di promettere, offrire o concedere ad un pubblico ufficiale o ad ogni altra persona, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio affinché detto ufficiale o detta persona abusi della sua influenza reale o supposta, al fine di ottenere da un’amministrazione o da un autorità pubblica dello Stato Parte un indebito vantaggio per l’istigatore iniziale di tale atto o per ogni altra persona”, nonché il “fatto, per un pubblico ufficiale o per ogni altra persona, di sollecitare o di accettare, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per se o per un’altra persona al fine di abusare della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito vantaggio da un’amministrazione o da un autorità pubblica dello Stato Parte”; {vds. UNCAC, 31 October 2003, by resolution 58/4}.
[2] “Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile.” {Vds. Trattato sull’Unione Europea, Gazzetta Ufficiale n. C 326 del 26/10/2012 pag. 1-390}.
[3] {cfr. V. Mongillo, S. Giavazzi, “Lobbying e traffico di influenze illecite”, Giappichelli, Torino, 2019}.
Foto copertina: Corte di Cassazione