I conflitti che hanno segnato la storia di India e Pakistan, conseguenza di tensioni sociali e nazionalistiche che risalgono a più di sessanta anni fa, sono tuttora un capitolo importante della politica internazionale.

Dopo il crollo dell’Impero britannico, l’indipendenza acquisita nel 1947 e la successiva ripartizione dell’India non furono eventi sufficienti a contenere il crescente malessere e l’escalation di violenza che divampò nel corso del ventesimo secolo, portando così il Pakistan e India allo scontro in quattro diverse occasioni :

  • nel biennio 1947-1948, dopo l’indipendenza, per lo Stato di Jammu e Kashmir;
  • nel 1965, nuovamente per il Kashmir;
  • nel 1971, durante la guerra civile che ha portato alla divisione del Pakistan e la nascita del Bangladesh in Pakistan Orientale;
  • nel 1999, il  conflitto di Kargil, per il Kashmir.

Negli anni che precedono l’indipendenza dell’India, occuparono la scena politica dell’Asia meridionale la nascita del movimento nazionalista Indiano e di quello Pakistano, schierati uno contro l’altro e animati da una divergente concezione di Stato.

Nonostante le forti agitazioni interne, scatenate dalle opposte correnti ideologiche, il Partito del Congresso nazionale indiano (The Indian National Congress Party, INC), sostenne il progetto di un’India laica e democratica in contrapposizione alla “Teoria dei due paesi”, formulata alla fine degli anni trenta da Muhammed Ali Jinnah, leader del principale partito islamico dell’India britannica, “The All India Muslim League” , a sostegno di due nazioni distinte e separate[1].

Dal 1885, il Partito del Congresso si consolidò come organizzazione a maggioranza indù, costituita principalmente da appartenenti alla classe medio-alta della società e influenzata dai valori del liberalismo britannico, diretta a promuovere l’auto-governo costituzionale indiano. Intorno al 1920, Mohandas Gandhi modellò l’INC su una idea più vicina al partito del popolo, al fine di accogliere tutti gli ambienti della società indiana, individui e gruppi provenienti da diverse correnti politiche: socialisti, sostenitori della libera impresa e altri orientamenti politici ed economici[2].

Gandhi svolse un ruolo chiave nel processo di democratizzazione del Partito del Congresso; mentre Jawaharlal Nehru, che più tardi sarebbe poi diventato Primo Ministro, fu sostenitore del principio di laicità[3].

Dalla parte dei leader musulmani, invece, il timore di un’India governata dagli indù, insieme all’eredità del colonialismo britannico, favorì la nascita del nazionalismo pakistano.

A tal proposito, Sir Syed Ahmad Khan, intellettuale musulmano del XIX secolo, affermò che la creazione di istituzioni rappresentative, ispirate al modello inglese, avrebbe posto i musulmani in India ad una permanente situazione di svantaggio rispetto agli esponenti della comunità Indù, a causa della loro superiorità numerica.

Per ovviare a tale eventualità, fu ipotizzata la creazione di una separata circoscrizione con un sistema elettorale proporzionale. Il governo di Londra non respinse la proposta di Sir Syed in quanto ritenuta possibile soluzione al complesso problema di ricomporre la frattura tra i due gruppi etnici all’interno della struttura imperiale, consentendo così di contenere politicamente il nascente movimento nazionalista indiano e disattivare le forze disgreganti.

La Gran Bretagna era sicura della stabilità delle sue istituzioni e aspirava a esportarle per impiantarle in diverse parti dell’Impero, riconoscendo un autogoverno inquadrato in un sistema parlamentare che, sebbene non fosse condiviso all’unanimità, era diventato il punto di forza del programma del Congresso politico.

Nel 1909, il viceré Minto e il Segretario di Stato per l’India Morley votarono l’India Council Act, la riforma costituzionale che diede pieno effetto alla proposta di Sir Syed[4]. Il suffragio era indiretto e ristretto all’oligarchia dei proprietari terrieri e le decisioni finali sarebbero dovute essere approvate dal viceré; ma se da un lato, l’istituzione di elettorati separati ridimensionò il nazionalismo indiano, dall’altro, consolidò la comunità musulmana.

Il rafforzamento della comunità islamica indusse i leader, come Mohammed Ali Jinnah, a promuovere la creazione di una nazione divisa in base alle diverse identità etnico-religiose e libera dalla morsa inglese.

Se il Partito del Congresso però allargò la sua base, facilitando il dialogo al suo interno; la Lega musulmana restò fortemente legata al carattere forte di Jinnah e le adesioni continuarono a essere limitate ai ricchi proprietari terrieri musulmani delle Province Unite in India del nord[5]. Proprio Jinnah, fondatore del movimento per l’indipendenza del Pakistan, elaborò la teoria secondo la quale l’Asia meridionale dovesse essere destinata ai musulmani per formare un singolo paese. Uno Stato indipendente che avrebbe  garantito e tutelato i diritti e i privilegi di milioni di musulmani rimasti in India, sconfessando il piano di una patria separata, dopo l’indipendenza e la partizione[6].

Secondo alcune fonti storiche, l’ostilità delle relazioni indo-pakistana sembra affondare le sue radici nella politica coloniale condotta nel Subcontinente, perché la Corona britannica favorì la formazione di una identità religiosa e la nascita di due avversari facilmente inclini al conflitto[7].

Non mancano però tracce di scontri fra indù e musulmani già in anni che precedono l’Imperialismo britannico. Altri studiosi, invece, ritengono che la successione dei conflitti abbia avuto origine da motivazioni autoctone e, in particolare, da un punto di vista diverso che i due paesi dell’Asia meridionale avevano del mondo religioso: l’India, con una maggioranza indù, non avrebbe mai potuto costruire un rapporto con il Pakistan,  a maggioranza musulmana[8].

In ogni caso, al momento dell’indipendenza, i leader del Partito del Congresso erano diretti a promuovere il nazionalismo civile, una struttura politica e laica che avrebbe offerto garanzie di protezione alle minoranze religiose.

Infine, non si esclude che causa di discordia tra India e Pakistan sia stata Washington, indicando gli Stati Uniti responsabili di istigare e fomentare il conflitto indo-pakistano; sebbene, la prima guerra indo-pakistana scoppiò prima che il Pakistan firmasse accordi militari con gli USA e, nel 1962, dopo l’attacco lanciato dalla Cina all’India[9].

Peraltro, nonostante l’irritazione del Pakistan, Washington offrì supporto militare anche all’India e, allo scoppio della seconda guerra indo-pakistana, gli Stati Uniti bloccarono l’assistenza militare ad entrambe le nazioni[10].

Nel tempo, le tensioni non si sono placate. Ancora oggi, India e Pakistan sono vittime e carnefici di vecchi rancori e violenze e uno dei problemi più critici che il subcontinente asiatico deve ancora risolvere è la disputa territoriale che ha visto opposti il Pakistan –  patria dei musulmani dell’Asia meridionale che inseguivano il sogno di annettere il Kashmir per “completare” il paese nel nome di Allah – e l’India, che non ha mai rinunciato al tentativo di mostrare quanto le diverse identità religiose potessero convivere pacificamente sotto la guida di un unico governo secolare, <<uno Stato laico basato su un nazionalismo civile è chiaramente antitetico a ciò che ha trovato la costruzione delle loro istituzioni su basi etniche e religiose>>[11].

La controversia sul Kashmir prosegue da oltre sette decenni, con costi in termini umani molto elevati. Solo nel 2003, India e Pakistan hanno firmato un accordo di cessate il fuoco, ma la calma apparente è stata spesso interrotta da operazioni militari condotte da entrambi gli avversari.

Dal 2013, India amministra il 43 percento della regione, tra cui la maggior parte dello Jammu e del Kashmir Valley, Ladakh e il  Ghiacciaio Siachen. Il Pakistan controlla il 37 per cento del Kashmir, ossia Azad Kashmir e le zone settentrionali del Gilgit e Baltistan.

Un altro protagonista della controversia è però anche la Cina, che occupa il 20 percento del Kashmir a seguito del conflitto contro l’India del 1962, ma la tensione resta tra Nuova Delhi e Islamabad, lungo la linea di controllo (LOC), temporaneo confine tra le due nazioni.

La frontiera fu sancita al momento della partizione del territorio in India e Pakistan, successivamente all’Indipendenza. Tuttavia i due governi non sono mai giunti alla conclusione di un trattato di pace che fissasse definitivamente i confini. È proprio la mancanza di tale accordo che rende il conflitto indo-pakistano una delle più antiche controversie nella Storia moderna.

La linea di controllo divide la zona, sul lato est, nello Stato di Jammu e Kashmir sotto il controllo indiano e, sul lato ovest, in una parte del Kashmir assegnato al Pakistan, ma se ci si chiede perché è il Kashmir il contenitore degli scontri nel subcontinente indiano, la risposta può essere individuata nelle aspirazioni geopolitiche e gli interessi economici, terreno fertile per il crescente rischio di attacchi terroristici, religiosi e/o di matrice separatista[12]. Nella regione sono attive unità paramilitari in lotta per l’indipendenza del Kashmir; gruppi ispirati da un deviato e fanatico Islam, supportati dal Pakistan, e di ceppo induista, a sostegno del fronte indiano.

Tra tutti questi attori, il gruppo che riceve più attenzione è a Lashkar-e-Toiba, di matrice jihadista, legato ad al-Qaeda e responsabile degli attentati di Mumbai nel novembre 2008. L’attentato, che causò 175 morti e 308 feriti, è stato casus belli di una nuova rottura delle relazioni Indo-Pakistane.

Nuova Delhi sostenne, infatti, che Jammu e Kashmir fossero epicentro delle attività terroristiche del fondamentalismo islamico, legati a elementi dei servizi di intelligence di Islamabad (Inter-Services Intelligence, ISI), facendo del Kashmir un territorio strategico per il traffico di armi e droghe da e verso il teatro di guerra afgano. Ma c’è un’altra ragione che spiega l’impegno, sia di Islamabad che di Nuova Delhi, nel Kashmir. Infatti, l’area è il principale spartiacque dell’Indo. Fiume più lungo dell’India che ha origine in Cina e si snoda attraverso il Jammu-Kashmir, sviluppando però la sua massima capacità in Pakistan.

Nel 1960, Islamabad e Delhi firmarono un trattato che avrebbe consentito l’uso equo delle risorse idriche del Kashmir. Con l’obiettivo di creare una rete di dighe e centri idroelettrici di uso comune, fu istituita la Commissione Permanente dell’Indo.

Dopo questa fase iniziale di apparente collaborazione, in seguito al secondo conflitto indo-pakistano (1965), la Commissione si trasformò in una “scatola” vuota, utile solo a fungere da cassa di risonanza per l’attrito tra i due giganti asiatici[13]. Da allora, ogni paese ha deciso autonomamente di portare avanti le proprie politiche di sfruttamento delle risorse naturali, ma una crescente e pericolosa escalation militare in Kashmir negli ultimi mesi del 2016, ha riacceso nuovamente i toni, spostando la crisi tra India e Pakistan dal Kashmir al fiume Indo, mettendo in discussione il trattato firmato nel 1960, che regolava l’accesso al fiume e la distribuzione delle acque tra i due paesi[14].

In base all’accordo, il controllo dei fiumi Chenab, Indus e Jhelum è assegnato al Pakistan e all’India il fiume Beas, Ravi e Sutley. I tre bacini del Pakistan, tuttavia, scorrono prima sul territorio indiano, limitando lo sfruttamento dell’acqua utilizzata per l’agricoltura o progetti idroelettrici, escludendo la costruzione di dighe, come determinato dall’Esecutivo di Nuova Delhi. A tale proposito, il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha minacciato di tagliare le forniture di acqua al Pakistan, dichiarando che: “Sangue e acqua non possono fluire insieme”, ma la reazione del governo pakistano non è tardata ad arrivare, annunciando un appello all’ONU e alla Corte internazionale di giustizia, avvertendo l’India che qualsiasi sospensione del trattato sarebbe stata interpretata dal governo di Islamabad come una dichiarazione di guerra[15].

Ostruire i corsi d’acqua al Pakistan significherebbe mettere a dura prova la sopravvivenza dell’intera nazione. Nel 2009-2010, durante il summit tra India e Pakistan si è profilata una possibile distensione, una ripresa del dialogo potrebbe aiutare a risolvere anche altri problemi che si concentrano nell’Asia centro-meridionale, come l’Afghanistan. Aumentare le tensioni in un quadrante è una potenziale causa di radicalizzazione della violenza nell’altro[16].

Conclusione

Dalla disputa indo-pakistana sul Kashmir, il Pakistan approfitta delle istanze autonome, con la chiara intenzione di creare ostacoli al governo indiano e l’omogeneità etnica delle sue due province, Jammu e Kashmir,  potrebbe facilitare questa linea.

Tuttavia, se un giorno il Kashmir diventasse veramente indipendente, il Pakistan sarebbe il primo a perdere il controllo su importanti risorse idriche e sulla parte strategica del suo territorio.

L’India, invece, è ferma sulla scelta di contenere l’autonomia della regione e il crescente rischio del terrorismo infiltrato nel Kashmir. Peraltro, dichiarandosi l’unica democrazia in Asia, con una proiezione sull’Oceano Indiano, Nuova Delhi impone un atteggiamento di alta responsabilità etica – perché in Kashmir l’India è attore fondamentale – che impone un passo risolutivo, cercando però di confermarsi nazione egemonica nell’Asia centrale e meridionale. 

L’indipendenza del Kashmir non sembra dunque convenire a nessuno.

 


[1] Cfr. E. Stokes, The English Utilitarians and India, Claredon Press, Oxford 1959;

[2] Cfr. R. Kothari, Politics in India, Orient Longman, New Delhi, 1970;

[3] Cfr. R. Kothari, Politics in India, Orient Longman, New Delhi, 1970;

[4] Cfr. J. Nehru, Toward Feedom: the Autobiography of Jawaharlal Nehru, Beacon, Boston, 1958;

[5] Cfr. M. Doreen Wainwright e C.H. Phillips, The Partition of India: Policies and Perspectives, Allen and Unwin, London 1975;

[6] Cfr. A.D. Smith, The Ethnic Origins of Nations, Blackwell, Oxford, 1994;

[7] Cfr. N.B. Dirks, Colonialism and Culture, University of Chicago Press, Ann Harbor, 1992;

[8] Cfr. S.P. Cohen, The Strategic Imagery of Elites, in J. Roherty (a c. di), Defence Policy formation, University of South Carolina Press, columbia, 1976;

[9] Cfr. J. Nehru, The Discovery of India, Signet Press, Calcutta, 1946;

[10] Cfr. A. Jajal, The State of Martial Rule: the Origins of Pakistan’s Political Economy of Defence, Cambridge University Press, Cambridge, 1990;

[11] Cfr.

[12] Cfr. S. Ganguly, Storia dell’India e del Pakistan. Due paesi in conflitto, Bruno Mondadori, 2004, pp. 7-8;

[13] http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/OS_Pubb_File_Singoli_per_Area/India/2016/2016_ASTARITA_OS_01.pdf;

[14] Cfr. http://eastwest.eu/attachments/article/254/east40_La_guerra_infinita.pdf;

[15] cfr. http://siteresources.worldbank.org/INTSOUTHASIA/Resources/223497-1105737253588/IndusWatersTreaty1960.pdf;

[16] Cfr. http://www.africamedioriente.com/2017/01/23/india-e-pakistan-la-contesa-sul-fiume-indo/.

Copertina: Inquisitr