Dialogo con lo storico Antonello Folco Biagini, rettore di Unitelma Sapienza e presidente della Fondazione Roma Sapienza, curatore del volume Tripoli, Italia. La politica di potenza nel Mediterraneo e la crisi dell’ordine internazionale.


 

Lo storico Antonello Folco Biagini, rettore di Unitelma Sapienza e presidente della Fondazione Roma Sapienza, curatore del volume Tripoli, Italia.

Fornire gli strumenti per comprendere il rapporto tra Roma e Tripoli, caratterizzato da una fitta rete di interdipendenza e di osmosi, attraverso un approccio multidisciplinare. Così potremmo sinteticamente definire in l’obiettivo del volume Tripoli Italia. La politica di potenza nel Mediterraneo e la crisi dell’ordine internazionale, pubblicato recentemente per Castelvecchi a cura del Prof. Antonello Folco Biagini.
Un lavoro corale opera di valenti studiosi che permette di approfondire le dinamiche di una regione in cui l’Italia assiste inerme dinanzi all’instabilità ed alle potenze concorrenti. Gabriele Natalizia, Andrea Carteny, Salvatore Santangelo, Alessandro Vagnini, Claudio Bertolotti, Elena Tosti Di Stefano, Leonardo Palma, Lorenzo Termine propongono alcuni saggi che consentono al lettore di osservare da diverse angolature la questione libica, seguendo il filo conduttore della crisi del sistema internazionale provocato dal progressivo retrenchment degli Stati Uniti dal proprio ruolo di gendarme mondiale e dal ritorno di vecchie e nuove potenze come Russia, Turchia e Cina.

Professor Biagini Tripoli Italia descrive ed analizza le relazioni fra l’Italia e quella che è stata rappresentata come la sua «quarta sponda», attraverso i contributi di studiosi di diverse discipline. Per quali ragioni ha scelto questo tipo di approccio metodologico?  

AFB, Quando si parla di relazioni internazionali è fondamentale utilizzare un approccio multidisciplinare, ricorrendo alla storia diplomatica, all’economia, all’analisi dei fenomeni sociali. Tra gli altri argomenti si è cercato innanzitutto di chiarire l’origine della politica coloniale italiana, maturata alla fine del XIX secolo e giunta alla guerra del 1911 seguendo una linea comune per l’epoca. Purtroppo l’assenza di «storicismo» nella nostra cultura non ha permesso di inquadrare la politica estera del neonato stato unitario nel concreto momento storico in cui è emersa, quando tentava cioè di allinearsi alla Francia ed all’Inghilterra. E’ possibile sostenere che una media potenza mediterranea quale era l’Italia, fatalmente doveva immaginare una politica di sicurezza destinata a sfociare nelle imprese coloniali e nella guerra con l’Impero Ottomano per il controllo dei territori della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan.

Nel suo saggio introduttivo lei parla di “Complesso della Crimea” come una tendenza della politica estera italiana a partire dal XIX secolo. Può spiegarci meglio il significato di questa espressione?

AFB. La partecipazione alla guerra di Crimea del piccolo Piemonte fra mille perplessità ed incertezze, si rivelò un passaggio fondamentale per il compimento del processo di unificazione nazionale. Dato che alcune linee di politica estera non cambiano nel tempo, l’Italia ha sempre teso a contrarre alleanze per raggiungere i propri obiettivi. A questa vocazione della politica estera italiana, tradita solamente fra le due guerre quando tentammo di percorrere una strada autonoma con esiti negativi, non siamo venuti meno neanche nel Dopoguerra con la nostra adesione al Patto Atlantico ed il ritorno ad una strategia di alleanze stabili che ci hanno comunque permesso di avere ampi spazi di manovra nella politica internazionale.

Il sottotitolo del libro recita La politica di potenza nel Mediterraneo e la crisi dell’ordine internazionale. Quale è il legame fra la disarticolazione dello stato libico e la crisi dell’ordine internazionale? 

AFB.Con la fine della Guerra Fredda ed il conseguente venir meno del sistema internazionale basato sul bipolarismo, alcune regole sono completamente saltate. Il Mediterraneo lungi dal venir meno alla sua importanza geopolitica ha recuperato una notevole centralità. Ed in quest’area il disimpegno statunitense dal suo ruolo di attore-controllore della politica mondiale, ampiamente manifestata proprio in occasione degli eventi che nel 2011 hanno portato alla destabilizzazione del regime libico, così come la proiezione di altre paesi quali Francia, Russia o Turchia, con interessi diversi rispetto a quelli italiani, hanno reso il Mediterraneo terreno di scontro e di ricomposizione dei rapporti di forza fra potenze.

La caduta di Gheddafi e le fallimentari «primavere arabe» che ruolo hanno avuto nel processo di scomposizione della regione mediterranea? 

Quante Libie in Libia? . Fonte: Treccani

AFB. Le primavere arabe non devono essere confuse con la caduta del leader libico e con la situazione che ne è scaturita.
In Egitto piuttosto che in Tunisia si è manifestato un movimento che dal basso chiedeva una modifica dei rapporti sociali e dunque anche di quelli della rappresentanza politica. In tali circostanze non ci sono state ingerenze esterne. Nel caso libico invece, il processo di disgregazione del sistema creato da Gheddafi è stato fomentato dall’esterno riattivando dei meccanismi di contrapposizione interna che chiaramente esistevano ma a cui si è affiancato un decisivo intervento militare. Pur non rimpiangendo quel regime, dobbiamo tuttavia constatare che la sua caduta ha provocato notevoli problemi all’l’Italia ed all’Europa, scatenando alcuni fenomeni latenti quali il terrorismo di matrice islamica e la massiccia immigrazione verso le nostre coste.

La posizione riassunta nella perentoria affermazione del Presidente del Consiglio che “Non saranno le armi a decidere le sorti della Libia” non appare come un alibi per giustificare l’inazione e la sostanziale irrilevanza italiana nell’area?  

AFB.Non confondendo quello che potremmo definire come un imperativo per qualunque diplomazia, ovvero quello di risolvere le controversie senza l’utilizzo delle armi, dobbiamo registrare nel caso libico una perdita di autorevolezza, dovuta per la verità anche ai conflitti interni che si sono riverberati sulla nostra politica estera. In una vicenda importante come questa non abbiamo adottato una linea precisa tale da renderci protagonisti.

Perché nel nostro Paese quando si ragiona in termini di potenza la si considera una questione una del passato? 

AFB.Per molti anni in Italia, a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, non si è potuto parlare di geopolitica. Così mentre nei paesi anglosassoni si elaboravano teorie e si affrontavano determinati argomenti, il dato culturale diffusosi nel nostro Paese generava una certa ritrosia rispetto al tema al pari di quello che scattava nei confronti del concetto di interesse nazionale. Non se ne poteva discutere senza essere etichettati in maniera spregiativa, contribuendo in questo modo a creare quelle condizioni di debolezza tipiche degli Stati che non riescono a definire i propri interessi.

Alla luce del cessate il fuoco proclamato alcuni giorni fa tra il GNA di Fayez al-Sarraj e l’Esercito Nazionale Libico (Libyan National Army, LNA) del generale Khalifa Haftar, crede ci sia spazio in futuro per un’unica entità statuale libica?

Il Generale Khalifa Haftar.

AFB. Non credo ci siano i presupposti per tornare ad avere un’unica entità statale libica, data la difficoltà di riaggregare delle forze che si sono messe in movimento e su cui pesano anche le influenze estere, quelle esercitate da altri attori statali. Potrebbe spettare a loro il compito di imporre dall’alto una soluzione in grado di pacificare un territorio oramai diviso e che potrebbe ritrovarsi insieme solo sotto forma di una Federazione di Stati.


Foto copertina: Copertina libro.