Matteo Zola, con la collaborazione di Alessandro Ajres, Ilona Babkina, Oleksiy Bondarenko, Andrea Braschayko, Giovanni Catelli, Davide Denti, Michal L. Giffoni, e Sofiya Stetsenko, ha approfondito e sviscerato il conflitto ucraino nel suo completo sviluppo. In questo articolo, oltre a una breve recensione del libro ““Ucraina – Alle radici della guerra” (Paesi Edizioni, 2022) sono state inserite delle domande che abbiamo posto all’autore, per analizzare al meglio i punti salienti del libro.
“Ucraina – alle radici della guerra” (Paesi Edizioni, 2022) a cura di Matteo Zola è la mappa di cui abbiamo bisogno per seguire senza perderci, il conflitto che si sta consumando in Europa. Come un percorso di Google Maps il libro di East Journal di evidenzia i “luoghi di interesse” tracciando, capitolo per capitolo, il miglior percorso per giungere alla chiara comprensione della guerra.
Primo merito degli autori del libro (acquista qui) è sicuramente la scelta del linguaggio: specifico, misurato e intuitivo. Nonostante la vastità degli argomenti affrontati, non si viene risucchiati da un vortice di termini comprensibili solo “agli addetti ai lavori”, i tecnicismi sono abilmente spiegati; questo permette anche ai più navigati del diritto internazionale di riflettere su concetti come “diritto all’autodeterminazione dei popoli”, o “divieto di aggressione”. Nulla è dato per assodato in questo libro che sembra aver scelto il ruolo di bussola in quella che è, a tutti gli effetti, una tempesta nelle relazioni internazionali. L’analisi procede attraverso macro-tematiche: la storia dell’Ucraina, le sfaccettature della società ucraina e il suo rapporto con la sfera politica, i rapporti bilaterali russo-ucraini, e i personaggi protagonisti del conflitto. Prima di addentrarci nella recensione, chiediamo all’autore:
Ci sono delle tematiche, soprattutto a livello “micro” che non sono state inserite nella ricostruzione dei fatti? Se sì perché?
Gli autori hanno sapientemente coniugato il racconto storico-politico con la spiegazione delle conseguenze nella guerra odierna. Eventi come la rivoluzione arancione, Euromaidan, l’invasione della Crimea, gli accordi di Minsk, vengono sviscerati e messi in connessione tra loro, permettendo al lettore di trasformare queste informazioni in strumento attivo di analisi politica. La storia del popolo ucraino ci porta a compiere inevitabilmente una profonda riflessione su concetti come sovranità, democrazia, nazionalismo, e confini territoriali. A prova della sensibilità degli autori verso queste tematiche è interessante la distinzione tracciata tra confine e frontiera da Zola nel capitolo “I confini ucraini sono artificiali?”: “Il confine è una linea immaginaria che separa; la frontiera invece è qualcosa che, nel momento in cui separa, unisce: è uno spazio in cui due società separate danno vita a processi di scambio”[1].
Quando una frontiera diventa confine? E perché in questi anni facciamo fatica a distinguere confini e frontiere?
La spiegazione della storia ucraina avviene per strati, di ogni evento gli autori esaminano superficie e sottosuolo. Esempio di questo metodo è il capitolo “E allora il Donbass?”: fornendo le coordinate storico-politiche essenziali, Matteo Zola si addentra nel friabile e umido terreno del Donbass, rivelando i comportamenti mafiosi e ipocriti che nutrono da anni questa regione. Come dice l’autore: “Quello, che secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso.” [2]– con questo incipit si dà avvio a una tagliente analisi che porta alla luce le connessioni fatali tra Donbass e Russia, e i volti degli oligarchi che hanno curato questi rapporti, come Achmetov, Yefremov e Kolesnikov.
La genesi e la caratterizzazione dei personaggi chiave dei rapporti russo-ucraini sono temi cari agli autori, e nel corso del libro vengono forniti ritratti dettagliati e completi. La figura di Zelensky viene contestualizzata e non viene risparmiata da ombre e oscurità; l’autrice del capitolo, Sofiya Stetsenko, racconta inoltre il rapporto tra il Presidente ucraino e il suo popolo, consegnandoci così un quadro dinamico e illuminato. Il capitolo avvia il lettore a una inevitabile riflessione sul ruolo politico e mediatico del Presidente ucraino, e noi sulla scia di questa, domandiamo a Matteo Zola:
Zelensky rappresenta probabilmente il mito dell’uomo “social” moderno: l’ecletticità, l’apparenza coniugata all’intelligenza e la capacità di improvvisazione. Si può dire che la forza di Zelensky risieda nell’immagine e nel carisma, più che nella sua astuzia diplomatica e politica? Quanto influenzerà la genesi della classe politica nazionale e internazionale in futuro?(…) La guerra ha cambiato tante cose, che difficilmente torneranno allo status quo. Abbiamo imparato a conoscere l’Ucraina sotto un’altra veste e anche il suo Presidente, ma chi era lo “Zelensky politico” prima della guerra?Dulcis in fundo è sicuramente il capitolo “Una guerra mediatica?” di Alessandro Ajres, dove vengono analizzati paragrafo per paragrafo i momenti più salienti del conflitto sul web. Posto al termine del libro, questo capitolo sembra farci rivivere l’ultimo anno della nostra guerra, fatta di immagini eclatanti e sconcertanti, caroselli di foto su Instagram notificate come “contenuto sensibile”. Durante la lettura riemergono quindi in noi queste diapositive, ormai impresse nella memoria, e interrogarci sul perché certi scatti siano diventati così emblematici e significativi diventa fondamentale ai fini della corretta analisi politica dell’evento. L’autore spiega come la composizione di certe foto rievochi in noi immagini ben note nel nostro inconscio civile, come l’utilizzo di uno specifico termine richiami a eventi storici conosciuti alla società odierna: resuscitando spiriti e fantasmi della storia umana passata abbiamo costruito la nostra percezione del conflitto. L’enfasi è quindi posta sul peso della cultura precedente e contemporanea alla strage, e al suo duplice ruolo di lama e carezza durante la guerra. Esempio di questa ambiguità sono le poche, ma altisonanti, forme di protesta russe alla guerra che sono state definite “artivismo” in virtù del loro principio artistico e culturale; queste, sono state punite duramente, e come sostiene l’autore, “è dall’inizio delle ostilità, del resto, che la cultura è attaccata materialmente tramite la distruzione concreta di università, monumenti, teatri, nonché idealmente, tramite la sua negazione o il suo stravolgimento[3]”. Le conclusioni del libro riservano profonde riflessioni, germogliate e cresciute nell’arco dei capitoli precedenti. Un finale, forse inaspettato, che accompagna il lettore in un’analisi non più puramente politica, ma umana: due realtà strettamente legate, che spesso non riusciamo ad osservare nella loro interezza. Il libro raggiuge quindi questo duplice obiettivo: spiegare la trama geopolitica e sociale del conflitto ucraino, e ricordarci che non stiamo giudicando eventi, ma uomini.
Note
[1] M. Zola, “L’Ucraina – Alle radici della guerra”, p. 77
[2] M. Zola, “L’Ucraina – Alle radici della guerra”, p. 131.
[3] A. Ajres, “L’Ucraina – Alle radici della guerra”, p. 212.
Foto copertina: Ucraina – Alle radici della guerra FILE – A Ukrainian serviceman guards his position in Mariupol, Ukraine, Saturday, March 12, 2022. Russia began evacuating its embassy in Kyiv, and Ukraine urged its citizens to leave Russia. Unbroken by a Russian blockade and relentless bombardment, the key port of Mariupol is still holding out, a symbol of staunch Ukrainian resistance that has thwarted the Kremlin’s invasion plans. (AP Photo/Mstyslav Chernov, File)